Tesla, profitti al minimo dal 2021

Tesla vede diminuire i suoi ricavi in modo sostanziale, per la prima volta dal 2020 e ancor di più di quel che successe in corrispondenza con la pandemia di coronavirus. Un trimestre davvero sofferto per l’azienda di Elon Musk.

Tesla e il primo record negativo dal 2012

È importante contestualizzare tutto questo, visto che Tesla è in pratica il leader americano delle auto elettriche. E per quanto si possa non essere d’accordo con alcune politiche del magnate di Twitter, finora non erano mai stati registrati cali di questa tipologia per quel che riguarda il suo settore automotive. È il primo record negativo registrato dal 2012 e gli utili sono crollati a livelli più bassi dal 2021.

Tecnicamente parlando, sono stati registrati cali del 55% nei profitti e del 9% nel fatturato. Inutile dire che le attese degli analisti sono state deluse. E con esse probabilmente anche quelle dei soci dell’azienda.

Parlando nel corso della conferenza con gli analisti, in merito ai risultati Elon Musk ha sorpreso un po’ tutti. Pur essendo abituati ai suoi colpi di testa, in pochi si aspettavano novità in arrivo. O meglio non se le aspettavano così in anticipo sui tempi.

Il manager ha fatto infatti sapere che la produzione dei nuovi modelli avverrà all’inizio del 2025 se non addirittura alla fine del 2024. Le previsioni di Tesla precedenti collocavano questo particolare evento non prima della seconda metà del 2025. Elon Musk ha parlato anche degli investimenti impiegati nel settore dell’intelligenza artificiale, in ritardo rispetto a una ideale tabella di marcia. Ha anche raccontato di aver instaurato colloqui con una grande causa automobilistica per dare in licenza il proprio sistema di guida assistita avanzata.

In atto riorganizzazione e tagli

In qualche modo il patron di Tesla deve aver convinto i mercati, dato che il titolo ha conquistato un incremento dell’11%. Forse proprio per via della promessa di nuovi veicoli. Si sussurra, tra l’altro, che tra di essi vi sarebbero una nuova vettura a basso costo è un robotaxi.

Ciò non toglie che il titolo stesso rimane a circa un -40% rispetto all’inizio del 2024. Qualcosa, va detto, causato anche dalla frenata mondiale del settore delle auto elettriche, da una concorrenza più elevata e da un certo conflitto a livello di prezzi.

Dobbiamo inoltre calcolare che Tesla, per affrontare la crisi, ha recentemente iniziato una riorganizzazione che prevede il taglio del 10% della forza lavoro in tutto il mondo. Licenziamenti che hanno visto andar via anche due top executive manager.

Tecnicamente Tesla ha registrato profitti per 1,13 miliardi di dollari pari a 45 centesimi per azione, rispetto ai 51 centesimi previsti dalle previsioni.

Tavares: Stellantis non lascia l’Italia

Carlo Tavares, ceo di Stellantis, conferma che il gruppo non ha assolutamente intenzione di lasciare l’Italia. E che notizie di questa tipologia devono essere considerate semplicemente come fake news.

Rassicurazioni di Tavares non sufficienti

Non possiamo non ricordare però che, al netto di parole molto decise in questo caso, il gruppo Italo francese per quanto rassicuri parlando, si trovi al momento a gestire una situazione tutt’altro che rosea a livello lavorativo. Mirafiori ne è il simbolo.

Carlos Tavares non ho mai smesso di ripetere che Stellantis non è intenzionata ad abbandonare l’Italia. Ma va pure sottolineato che, tecnicamente, sembra che davvero poco venga fatto per migliorare la situazione dei lavoratori.

Non possiamo dimenticare le quasi 4000 uscite volontarie incentivate dal gruppo: una condizione che preoccupa sempre di più i sindacati. E a ragione, anche perché accompagnata dalla difficoltà di intavolare trattative risolutive.

Non è una questione di capacità produttiva, come potrebbe sembrare quando Carlos Tavares sottolinea che Stellantis è in grado di concorrere con i cinesi in materia di auto elettriche. Si parla comunque di una realtà decisamente solida nel settore auto. Ciò che perplime le parti sociali riguarda essenzialmente la produzione e gli investimenti. Sono loro il punto debole dell’intera situazione. Per ragioni, tra l’altro, ampiamente esplorate nelle scorse settimane.

Stellantis ovviamente è in grado di rapportarsi alla produzione cinese. Ed è anche in grado di superarla in tema di qualità. Ma è spontaneo chiedersi a cosa porteranno tutte le uscite incentivate nel nostro paese. È l’esternalizzazione l’incubo più grande del comparto occupazionale italiano del gruppo.

Paura di chiusura ed esternalizzazioni

Meno lavoratori può significare meno produzione e meno produzione può rappresentare chiusura. Mirafiori è senza dubbio un impianto importante è valido per la produzione di macchine in Italia. Ma è impossibile non notare come questa concatenazione di eventi poco si sposi bene con le assicurazioni di Tavares in tal senso.

C’è chi dice che vogliamo andarcene dall’Italia”, sottolinea. “Queste sono fake news e le fake news aprono la finestra per fare entrare i cinesi”. Una scusa? Non proprio. È corretto infatti sottolineare che l’arrivo di un competitor possa portare una riduzione della quota di mercato. Anche a chi ha leader in un settore come accade a Stellantis per l’Italia.

Da parte di Carlos Tavares dovrebbero arrivare però a maggiori rassicurazioni rispetto al sottolineare che, in questa tipologia di scontri a livello commerciale, il rischio di produrre cicatrici sia comunque alto. L’Italia non vuole diventare la cicatrice di Stellantis. Soprattutto se questo significa l’avere archiviato la potenziale chiusura di alcuni stabilimenti.

Tim, lo Stato dovrà risarcirla per un miliardo

Una buona notizia per Tim e una pessima per lo Stato italiano. Quest’ultimo infatti è stato condannato in appello a pagare un miliardo di euro all’ex monopolista nelle comunicazioni.

Una buona notizia per Tim

La ragione? I canoni di licenza e più precisamente quelli del 1998 che sono stati indebitamente versati al Ministero dell’Economia. Si parla di 528 milioni di euro più conguagli, interessi e spese legali. Insomma un conto salato che la Corte d’appello del Tribunale civile di Roma ha consegnato direttamente allo Stato. Nello specifico a pagare sarà la Presidenza del Consiglio dei ministri costituita in giudizio e difesa dall’avvocatura di Stato.

Anticipata da Bloomberg la notizia è stata capace di far crescere il titolo di Tim in borsa del 5,19%. Una vera e propria manna dal cielo se si pensa a ciò che le azioni di Tim hanno passato in queste ultime settimane a causa del nuovo piano industriale. E ovviamente alla previsione di cessione della rete al fondo KKR. Soldi che in qualche modo potranno forse aiutare Tim ad abbassare i propri livelli di debito?

A ogni modo Palazzo Chigi ha già annunciato la richiesta di sospensione del pagamento, immediatamente esecutiva e il ricorso. A prescindere da come finirà realmente questa situazione, si tratta di una storia che dura da 25 anni e rappresenta una pessima pagina di storia italiana.

La storia di questo “scontro”

Anche perché è una delle prime volte in cui viene condannata la Presidenza del Consiglio per via di una sentenza del Consiglio di Stato ritenuta sbagliata. Telecom si trovò 25 anni fa costretta a versare il canone di licenza per via di leggi nazionali che prorogarono l’obbligo di pagamento di un anno, nonostante l’Europa con una direttiva del 1997 lo avesse annullato. Tim ricorse al Tar del Lazio che spostò la questione alla Corte di Giustizia europea, la quale nel 2008 diede ragione alla società.

Cosa succede però? Il Tar decise di dar ragione al Ministero del Tesoro e di conseguenza Tim ricorse in appello. Il Consiglio di Stato nel 2009 confermò la sentenza del Tar e dal punto amministrativo la faccenda si concluse. Questo non accadde però in sede civile, dove Tim chiamò in causa Palazzo Chigi “per violazione manifesta del diritto comunitario dei magistrati del Consiglio di Stato” in base alla legge n.117 del 1998.

Da qui continua un iter lunghissimo, formato dalla necessità di dichiarare l’ammissibilità della competenza del Tribunale. Prima la richiesta della società venne considerata inammissibile. Poi in appello ribaltata. Nel 2015 la sentenza di primo grado considerò inammissibile la domanda dell’ex monopolista, la quale fece nuovamente ricorso.

La sentenza attesa per l’aprile del 2019 venne man mano rinviata fino a ora. Momento in cui la Corte d’appello di Roma ha dato ragione alla società di telecomunicazioni. Quei soldi non dovevano essere pagati.

Tassi di interesse, calo a giugno per BCE?

Per quel che riguarda i tassi di interesse la BCE sarebbe intenzionata ad abbassarli a partire da giugno. Almeno è questo e quello che ha fatto intuire la presidente Christine Lagarde.

Pronti a calo tassi di interesse

Una decisione che non segue, per la prima volta, quello che accade in America dove la Fed ha deciso ieri di lasciare invariati i suoi tassi di interesse e rimanere più guardinga rispetto al da farsi. Soprattutto a causa dell’ancora alta inflazione.

La BCE decide di fare differentemente, sebbene non escluda che l’inflazione possa farsi risentire. Questo perché a Francoforte si pensa che le proiezioni economiche di giugno daranno un quadro molto più favorevole al taglio dei tassi di interesse rispetto a quello attuale. Soprattutto dopo dieci aumenti del costo del denaro. La presidente della Banca centrale europea sottolinea che se questi dati riveleranno un sufficiente allineamento tra le loro proiezioni e l’andamento dell’inflazione di fondo, la politica monetaria potrebbe diventare meno restrittiva.

Allo stesso tempo Christine Lagarde ha però confermato che, come sempre, le loro decisioni saranno collegate ai dati che riceveranno e prese di riunione in riunione. Cosa significa questo? Che anche nel caso in cui i tassi di interesse verranno abbassati un po’ a giugno, non è detto che il percorso della politica monetaria verrà ammorbidito.

Secondo alcuni analisti questa mini apertura sarebbe anche un modo per tenere buono chi all’interno del board della BCE borbotterebbe un po’ troppo per la lunghezza del periodo restrittivo. Strutturalmente non cambia però nulla, dato che l’istituto centrale, prima di ammorbidire la propria linea, deve vedere che tutti i vari elementi siano incastrati come necessario.

Questo significa che la dinamica dei salari deve rallentare, i margini di profitto aziendali devono rimanere compressi e la produttività deve salire per garantire la discesa del costo del lavoro.

Posizione della Fed molto simile

Va sottolineato che, nonostante il mancato abbassamento dei tassi di interesse, la posizione della Fed è molto simile a quella della BCE. Il presidente Jerome Powell ha infatti sottolineato che le decisioni continueranno a essere prese riunione per riunione. Anche se a un certo punto, nel corso del 2024, inizieranno a esserci dei tagli del costo del denaro.

Secondo le previsioni degli esperti, anche in America il primo taglio potrebbe avvenire a giugno. Ma molto sarà legato a quelli che saranno i prossimi dati economici. Altri pensano che luglio sarà il mese più adeguato per via di una ancora mancante fiducia nella traiettoria di calo dell’inflazione. I dati di gennaio e febbraio 2024, infatti, non sono stati positivi dal punto di vista inflazionistico.

E questo ha portato a rallentare il tutto. Soprattutto perché, sottolinea Jerome Powell, se il costo del denaro viene ridotto troppo presto, il rischio è quello che l’inflazione risalga alle stelle. Danneggiando tutto ciò fatto finora.

Tassi di interesse, BCE verso nuovo stop

In materia dei tassi di interesse anche la BCE si avvicinerà presto a un nuovo stop. Ma se parliamo di tagli, la questione è ancora tutta da decidere. Analogamente a quel che sta accadendo negli Stati Uniti.

Al momento non pensabile taglio dei tassi di interesse

Un taglio dei tassi di interesse è la notizia che molte categorie vorrebbero sentire. Il punto è che la attuale politica monetaria continua a essere necessaria, se si vuole raggiungere l’obiettivo del 2% per quel che concerne l’inflazione. E decidere quale sia il momento giusto per agire con eventuali tagli non è semplice.

Manca qualche giorno alla prossima riunione del Consiglio direttivo e da piccole indiscrezioni stampa i tassi di interesse permangono essere il fulcro della discussione. Soprattutto perché i dati raccontano che è consigliabile mantenere alta la concentrazione sull’inflazione e su come sistemarla. E lo ripetiamo: una politica monetaria restrittiva è quello che tecnicamente serve.

Sono molti gli investitori internazionali che richiedono un taglio dei tassi di interesse. Ma la BCE sembra voler prendere tempo.  E a ragione, pensando a cosa c’è in gioco. Valutando come sempre i numeri e i dati provenienti dal mercato. Soprattutto perché l’inflazione rimane alta per quel che concerne i servizi e perché esiste un avvitamento nel rapporto tra prezzi e salari che richiede prudenza.

A eseguire una possibile previsione, i tassi di interesse dovranno rimanere a questi livelli almeno fino a giugno 2024.

Dobbiamo pero sottolineare che sia normale che i mercati finanziari richiedano il taglio dei tassi. In questo modo sarebbe possibile evitare che il rallentamento generale registrato dall’Eurozona si trasformi in recessione. Il pericolo è stato scampato nel 2023: sarà possibile fare lo stesso nel 2024?

Per la BCE, in attesa di nuovi dati, è meglio attendere per capire quale sia l’evoluzione dei prezzi. E per ogni prodotto presente nell’Eurozona. Dello stesso avviso sarebbe anche il presidente della Bundesbank, Joachim Nagel che sostiene come le prospettive dei prezzi ancora non siano chiare.

In attesa di dati migliori

È palese e chiaro: l’inflazione generale sta rallentando, scendendo al 2,6% a febbraio. Ci si aspettava di più però. Senza contare che il dato core, è ancora sopra il 3%. Insomma, vi è ancora molto da fare. Le posizioni a Francoforte sono eterogenee. Ecco quindi che c’è chi sostiene che sia necessario tenere ancora duro per quel che concerne il costo del denaro e chi vuole iniziare a parlare di riduzione.

È considerabile accettabile iniziarlo a fare già dalla prossima riunione? Non proprio. Anche se alcuni analisti si aspettano un comportamento “kamikaze”  da qualcuno che chiami in discussione il taglio dei tassi di interesse. Nonostante si pensi che nessuno avrà il coraggio di proporre date al riguardo.

Uno dei maggiori problemi da affrontare è che non vi sono sicurezze importanti al momento. Ragione per la quale, per la quale sembra abbastanza condivisibile la posizione del presidente della BCE Christine Lagarde di attesa. In modo tale da capire come muoversi mantenendo il più possibile la stabilità dei prezzi.

 

 

Stellantis, a rischio stabilimenti in Italia?

Sono a rischio gli stabilimenti italiani di Stellantis? E’ questa l’impressione che si ha leggendo il botta e risposta tra il presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il ceo del gruppo Carlos Tavares.

Stellantis e Governo ai ferri corti?

Al netto della diatriba verbale, il problema consta nel fatto che quel che si evince è che due degli stabilimenti più importanti di Stellantis sul territorio italiano rischiano di essere ancora più in difficoltà di quanto siano attualmente.

Gli scambi tra i due non sottintendono niente di meglio. Il botta e risposta a distanza è nato nel momento in cui il presidente del Consiglio ha iniziato a criticare alcuni comportamenti del gruppo per quel che concerne gli investimenti.

Non è fattore ignoto che Stellantis, al pari di altre aziende automotive starebbero orientando parte degli investimenti in Africa. Tutto legittimo, ovviamente, se non fosse che in Italia alcuni rami di azienda sono ancora in cassa integrazione. E quindi viene spontaneo chiedersi: perché mentre in Italia la situazione è precaria si investe da altre parti?

Il governo ha ovviamente fatto sentire la sua voce. Tavares dal canto suo ha risposto a tono. Nel corso di una intervista con Bloomberg ha cercato di rispondere a ogni accusa. E ha sottolineato che in realtà l’Esecutivo “evita di assumersi la responsabilità del fatto che, se non si danno sussidi per l’acquisto di veicoli elettrici, allora si mettono a rischio gli stabilimenti italiani”.

Il discorso sulle auto elettriche e il loro mercato è ovviamente più ampio e non riducibile solo a tale commento. Bisognerebbe chiamare in causa il parere dei sindacati e le rassicurazioni giunte da Stellantis in passato sull’occupazione.

Gli impianti potenzialmente a rischio

stellantis esordio in borsa

A essere a rischio, in base a quel che si evince, sarebbero Pomigliano e Mirafiori che producono rispettivamente Fiat Panda, suv Alfa Romeo Tonale e Dodge Hornet e Fiat 500 bev e Maserati GT e GC.

Per il ceo di Stellantis sono questi gli stabilimenti che pagano una politica di supporto non adeguata da parte del Governo Italiano. Il quale dovrebbe sostenere meglio, attraverso incentivi per l’elettrico, l’occupazione.

Sebbene sia comprensibile che Stellantis voglia rispedire al mittente le accuse, viene da chiedersi se non sottintenda di voler avere ulteriori incentivi per mantenere i due impianti aperti, quando comunque il piano di investimenti dell’azienda continua.

Non è mancata una risposta da Tavares alla Meloni anche per quel che concerne le accuse relative alla fusione tra FCA e PSA. Secondo il presidente del Consiglio più che un’operazione di questo tipo sembra essere avvenuta una cessione di FCA ai francesi.

Il problema è forse la mancanza dell’Esecutivo all’interno del cda di Stellantis?

Ita-Lufthansa, decisione rinviata a giugno

Ita Airways-Lufthansa? La decisione viene rimandata al prossimo giugno. La ragione è l’indagine approfondita voluta dalla Commissione Europea per comprendere meglio il dossier.

Ancora un rinvio per Ita

In questo modo si passa direttamente alla fase 2 dell’esame dell’Antitrust. Forse ci si aspettavano tempi meno lunghi per questa decisione riguardante Ita Airways. La decisione di aprire un’indagine approfondita sull’operazione e acquisizione del capitale nasce per via di alcune preoccupazioni legate alla concorrenza. Secondo Bruxelles infatti l’operazione potrebbe portare a una riduzione di questa su alcune rotte a lungo raggio e a corto raggio.

Il MEF ha immediatamente commentato sottolineando che l’Esecutivo continua con decisione nel percorso intrapreso, nella speranza che si possa arrivare una decisione prima del 6 giugno prossimo. La decisione della Commissione europea in merito all’operazione Ita-Lufthansa arriva per un motivo. Ovvero perché gli impegni presentati dal vettore tedesco in merito alla cessione dello slot di Linate e alcune frequenze Europa-Stati Uniti non sono state ritenute sufficienti.

Come ha sottolineato Margarethe Vestager la commissione europea vuole verificare che questa fusione non porti ha una riduzione della concorrenza e a un aumento dei prezzi. Tra gli scenari da verificare è anche quello che riguarda l’attività del vettore italiano, di Lufthansa e dei partner di Star Alliance (Air Canada e United) e come debbano essere gestiti una volta che avverrà la fusione.

La Commissione europea, quindi, vuole vederci chiaro prima di dare l’assenso a questa operazione. Non perché le due compagnie siano considerate non adatte, ma perché si vuole verificare che non vengano a crearsi situazioni scomode a livello concorrenziale all’interno del mercato.

Necessità di controlli approfonditi

Il Ministero del Tesoro e Ita Airways si aspettavano controlli di questo genere, sebbene non così approfonditi. Lufthansa continua a essere fiduciosa, sebbene sembri vagamente irritata dall’atteggiamento dell’Antitrust europeo. Ha comunque sottolineato di essere convinta che la procedura verrà autorizzata e che il vettore italiano diventerà “una parte complementare importante del sistema multi hub” tedesco.

È evidente che un’operazione di questa portata necessiti di controlli approfonditi, soprattutto data la storia passata di Alitalia. Ita è una newco ben strutturata e snellita al punto giusto per rappresentare un ottimo guadagno per Lufthansa. A tal punto che, ovviamente, l’Antitrust europeo necessita di accertarsi che non porti squilibri all’interno del mercato comunitario.

Una cosa è certa: quando si tratta del vettore italiano sembra che la possibilità di un assenso al primo colpo sia qualcosa di estremamente difficile da ottenere. Non resta altro che attendere quindi la conclusione della indagine approfondita.

Elon Musk pronto a scalata economia italiana?

Elon Musk è pronto a una scalata tutta italiana per entrare di peso nella nostra economia? Da quel che si evince da indiscrezioni stampa il ceo di Tesla, Space X e di Twitter avrebbe proprio questa intenzione.

elon musk più ricco mondo

Elon Musk interessato alla banda larga

E a tale scopo avrebbe dato vita a incontri con le istituzioni. Secondo Il Sole 24 ore, infatti. Elon Musk sarebbe impegnato in una trattativa con il Dipartimento per la trasformazione digitale, il Ministero delle Imprese e del Made in Italy. E anche con la presidenza del Consiglio per comprendere se vi sia margine per una sua partecipazione come investitore a progetti legati alla diffusione della banda ultra larga. Nonché al superamento del digital divide attraverso il suo Starlink e alla connessione internet via satellite.

Da quel che è stato possibile comprendere quindi Elon Musk avrebbe avviato un tavolo prima di tutto con Open Fiber, nel nostro paese concessionaria statale per quel che concerne Internet ad alta velocità. E tra le altre cose vincitrice insieme a Tim di “Italia a 1 giga“, la fara del PNRR per la copertura delle aree grigie. Starlink potrebbe, con il suo servizio di connessione, rappresentare un integrazione tra la tecnologia mista Fwa e la fibra ottica. Insomma, Elon Musk avrebbe da guadagnarci. Tanto quanto Open Fiber, in caso.

Impatto inesistente su Tim

Nel caso di una discesa in campo di Elon Musk come investitore nelle telecomunicazioni, gli analisti di Intermonte non vedono problematiche di sorta per Tim. L’ex monopolista è infatti impegnata nella vendita della sua infrastruttura di rete. Quel che sarebbe interessante scoprire è se rappresenterebbe un operatore ex novo o un collaboratore di Open Fiber. In questo secondo caso il vantaggio della sua presenza sarebbe sfruttabile da tutti i reseller presenti sul territorio.

Gli stessi analisti non escludono invece un impatto non propriamente positivo per operatori Fwa come Linkem ed Eolo che potrebbero risentire di un ulteriore interlocutore. Sebbene venga sottolineato come negli Stati Uniti l’alternativa di Starlink abbia portato gli altri operatori Fwa ad aumentare gli investimenti.  Soprattutto dove la copertura non era importante.

Va detto che generalmente non si calcolano altri impatti su operatori più piccoli. Sarà in generale interessante vedere come Elon Musk si muoverà davvero una volta entrato realmente nella partita. Le sue risorse potrebbero attirarlo nel voler partecipare di più e sarebbe interessante vederlo rapportarsi come realtà simili a Vivendi. Tanto per citarne una.

Le trattative con il Governo a quanto pare sono già aperte. Non resta che vedere cosa accadrà.

Azioni USA in calo, cosa significa

Il calo delle azioni USA è qualcosa che non ci si aspettava. Gli ultimi giorni di contrattazione in Borsa hanno evidenziato come la crescita non sia più da dare così scontata.

Cosa sta accadendo alle azioni USA tecnologiche?

Nessun allarmismo, ovviamente. Ma appare curioso che quelli che sono stati considerati come i magnifici 7, ovvero le Big cap dell’S&P 500 stiano vivendo una inversione di tendenza. Mettendo in qualche modo in discussione la sostenibilità nella crescita in conto capitale. Parliamo delle società a forte contenuto tecnologico che già nella prima metà di quest’anno hanno mantenuto attivo il dibattito che le riguarda. .

E quindi è arrivato il momento di chiedersi, pensando a queste azioni USA, se non stia per palesarsi un nuovo periodo di ribasso. In particolare ci riferiamo a Meta, Apple, Netflix, Amazon, Google e i loro titoli corrispettivi. Quelle azioni USA che sono in grado in qualche modo di fare il buono e il cattivo tempo proprio per il loro campo di azione.

Tecnicamente il loro indice è chiamato FAANG ed è possibile notare un andamento contrario dei prezzi, iniziato successivamente alla rottura dei massimi del 2023, avvenuti a luglio. Al momento la contrazione dei l’indice FAANG è arrivata al 4% rispetto ai massimi registrati, ma Meta in particolare sta facendo registrare una flessione intorno al 5%.

Fattore questo che sta portando gli analisti a riflettere su come potranno comportarsi le azioni USA in generale, se quelli appartenenti a questo indice stanno mostrando una certa debolezza.

Attenzione anche ai dati macroeconomici

È importante non dimenticare di aggiungere a questo quadro quelli che sono i dati macroeconomici statunitensi generali. Non sono solo le azioni USA a dettare il buono e cattivo tempo economicamente. Dobbiamo tenere conto dell’inflazione, in calo rispetto al passato, ma pur sempre non al livello del 2% tanto agognato.

Dobbiamo pensare alla politica economica della Fed che, sebbene abbia fermato il rialzo dei tassi, non sembra essere intenzionata al momento a eseguire dei tagli. Tutto quindi collabora alla creazione di una certa situazione, che non può essere risolta con uno schiocco di dita. E non è un caso che questo ribasso delle azioni dei tecnologici sia saltato fuori in concomitanza con la divulgazione dei dati relativi al PIL statunitense.

Assurdamente, la positività di questi dati va in contrasto col raggiungimento degli obiettivi della Banca centrale in materia di politica monetaria. Ragione per la quale sarà necessario per gli Stati Uniti trovare un nuovo equilibrio. E osservare l’andamenti questi grandi per prevedere cosa potrà accadere.

BCE, a rischio stabilità bancaria

La BCE sottolinea che In Europa vi sono rischi sia in merito a una potenziale recessione che alla stabilità bancaria. E la colpa sarebbe da ricercare a livello globale.

bce

I timori della BCE in merito all’economia europea

Il rapporto sulla stabilità finanziaria presentato questo novembre dalla Banca centrale europea è abbastanza chiaro. I mercati sono a rischio, principalmente per via di ciò che sta succedendo in Medio Oriente e per le varie tensioni a livello geopolitico. È possibile, già ora, prevedere che la situazione porterà a potenziali criticità future.

Per la BCE il rischio di recessione è più che concreto. E andrebbe a inficiare una situazione già particolare dal punto di vista economico. Come da ormai alcuni mesi il problema è lo stato di incertezza che sta conquistando diversi settori e che potrebbe rendere ancora più complesso il quadro. La stabilità finanziaria in Europa è attaccata su diversi fronti e in particolare Il Medio Oriente rischia di influenzare più del necessario l’intera situazione.

Si è già parlato in tal senso di crisi energetica ma potrebbe calare anche la fiducia degli investitori. Non dobbiamo dimenticare che in questo momento l’Europa è caratterizzata da una crescita debole  e la BCE sottolinea come lo stato di incertezza potrebbe allontanare gli investitori e fermare ancor di più la nostra economia.

È palese che siano già presenti condizioni finanziarie più restrittive, anche se il vero impatto sull’economia europea non è ancora arrivato. Secondo la BCE il problema riguarda riguarderà sia i settori non finanziari che quelli finanziari. Tutti avranno a che fare con costi più alti.

Cosa può accadere al settore bancario

Un esempio di tutto ciò è il mercato immobiliare dove sta avvenendo una contrazione dei prezzi collegata alla maggiore difficoltà per i consumatori di ottenere un mutuo. Anche l’immobiliare commerciale non va come dovrebbe, caratterizzato da una domanda più bassa a causa dei problemi riscontrati nel corso della pandemia.

Secondo la BCE al momento si salverebbe il settore bancario. A prescindere dagli shock subiti nel periodo post pandemico le banche sono caratterizzate da un aumento della redditività. Questo non deve portare a ignorare però i rischi già presenti. Ci sono possibilità che gli attivi bancari incontreranno problemi a livello qualitativo e che crescano i costi di finanziamento delle banche. Potrebbero presentarsi problemi anche per la redditività bancaria che secondo la BCE potrebbe essere trainata negativamente da un calo rilevante dei volumi di prestito.
Deve essere sottolineato però che, secondo la Banca centrale europea, il settore potrebbe essere abbastanza forte da riuscire a non subire conseguenze.

Mario Draghi, rischio recessione ma senza paura

Mario Draghi ipotizza l’arrivo di una recessione in Europa. Ma non pensa che questa possa essere talmente dannosa da metterne a repentaglio l’economia.

Mario Draghi e la recessione

È questo il pensiero espresso da Mario Draghi parlando con il Financial Times e più nello specifico con Martin Wolf. Ed è facile notare quanto l’economista confermi ancora una volta di saper fare il suo lavoro. Comunicando dei giudizi in modo serio e posato senza che questi possano apportare problematiche al mercato. Anche solo di riflesso.

Mario Draghi è tra i migliori del suo settore di appartenenza e il suo curriculum parla da sé. Sa che le sue parole hanno un peso specifico per quel che riguarda l’economia. E quindi, pur sottolineando che quella della recessione è una concreta possibilità, spiega anche che l’Unione Europea, alla fine, non ha molto da temere.

Dato che possiede i mezzi per uscirne. “C’è un rischio di recessione ma non direi né profondo né destabilizzante” spiega. Perché “il punto di partenza è molto alto, con la disoccupazione più bassa di sempre e un mercato del lavoro robusto“. Qualche criticità potrebbe presentarsi quindi, ma affrontabile.

Al contrario, per Mario Draghi l’Unione Europea dovrebbe farsi delle domande sulla propria produttività, visto che nonostante la sua resilienza ci troviamo dietro a Stati Uniti, Giappone, Cina e Sud Corea. Secondo Draghi dovremmo affrontare velocemente questo problema, promuovendo “investimenti ad alto valore aggiunto e ad alto tasso di tecnologia“.

E più nello specifico dando vita a dei poli tecnologici come quelli del Regno Unito e degli Stati Uniti, partendo “dal capitale umano” e di conseguenza dalle competenze.

Focus anche sull’energia

Parlando con il Financial Times, Mario Draghi focalizza il suo discorso sull’energia e sulla sua utilità, specificando che “non andiamo da nessuna parte se la paghiamo due o tre volte quanto costa nel resto del mondo“. Dovremmo, spiega, concentrarci sul creare delle politiche di stoccaggio e approvvigionamento di tipo comune agendo il più in fretta possibile per quel che riguarda in particolare le fonti rinnovabili.

L’ex premier italiano racconta anche quanto sia rilevante muoversi sul rispetto dei valori comuni in Europa, onde evitare di rimanere in futuro solo un semplice mercato libero di scambio. Non è un caso che Ursula Von der Leyen gli abbia affidato un certo compito in merito all’Unione. Le sue stesse parole illustrano con estrema facilità perché sia la persona giusta.

Sul tema degli investimenti concernenti la difesa, sottolinea inoltre che l’Europa fa bene a spendere, ma deve anche imparare a “fare”. In modo tale che possa essere sostenuta un’anima comunitaria davanti le difficoltà e non una serie frammentata di Stati.

FTX, Sam Bankman-Fried colpevole di truffa

L’ex ceo di FTX Sam Bankman-Fried rischia fino al 100 anni di carcere. È stato infatti dichiarato colpevole di cospirazione, riciclaggio di denaro e frode telematica.

Ceo di FTX colpevole di diversi reati

Tutto in merito al crollo della sua piattaforma di trading online FTX. A soli 31 anni rischia di non vedere più il cielo da persona libera. In base all’accusa contestatagli dai procuratori federali Sam Bankman-Fried avrebbe sottratto circa 10 miliardi di dollari dai wallet dei propri clienti per utilizzarli per scopi personali. Tra di essi vi sarebbe soprattutto la copertura dei danni causati da un’altra società, la Alameda Research. I fondi però sarebbero anche stati destinati a donazioni verso partiti politici e al sostentamento nella sua vita di lusso.

Tutto è saltato fuori nel momento in cui è collassata FTX. La bancarotta della società ha infatti fatto emergere tutti gli illeciti collegati. I giurati chiamati al decretarne la colpevolezza hanno deciso in fretta. Il verdetto infatti è arrivato dopo meno di 5 ore di camera di consiglio. Lo stesso processo è stato molto veloce, è durato circa un mese: la pena verrà annunciata il prossimo 28 marzo dal giudice che si è occupato della causa, ovvero Lewis Kaplan.

L’ex ceo di FTX è stato ritenuto colpevole di tutti e sette i capi d’accusa, per i quali rischia un totale di anni pari a un secolo. “Rispettiamo la decisione dei giurati”, hanno commentato i suoi legali, “ma siamo molto delusi dal risultato. Il signor Bankman-Fried “, hanno sottolineato, “si ritiene innocente e continuerà con vigore a difendersi dalle accuse“.

La pena potrebbe essere molto alta

I legali dell’uomo hanno già fatto sapere che ricorreranno in appello. Il procuratore che si è occupato del caso ha sottolineato come, sebbene la casistica relativa a FTX sia abbastanza nuova dal punto di vista legale, il reato di frode sia tra i più vecchi perseguibili. Ragione per la quale è semplice decidere su colpevolezza o innocenza.

Il crollo di FTX ha causato danni importanti nel settore, danneggiando moltissimi investitori. Una pena di detentiva decisamente alta sarebbe più che comprensibile se fosse commissionata. Soprattutto perché rappresenterebbe uno spartiacque all’interno del mondo delle criptovalute, uno di quelli meno regolamentati in tutto il mondo.

E’ proprio questo il punto debole sul quale la maggior parte dei legislatori a livello globale sta lavorando per poter creare un mercato davvero sicuro. Nel caso specifico effettivamente la cripto nel senso stretto è irrilevante. A essere stati presi senza il consenso sono stati dei soldi appartenenti ai risparmiatori.

 

Antitrust multa Vodafone, WindTre, Telecom e Fastweb

L’Antitrust multa Telecom, Vodafone, Fastweb e WindTre con una sanzione da 200 milioni di euro legata alla tipologia di fatturazione. Scopriamone insieme di più.

antitrust multa easyjet

Perché l’Antitrust ha multato le compagnie telefoniche

La multa erogata dall’Antitrust è conseguenza diretta di una rimodulazione occorsa in seguito alla sentenza del Consiglio di Stato che chiude il procedimento in atto legato alla fatturazione a 28 giorni. Secondo l’autorità le compagnie ci sono accordate in una intesa restrittiva segreta, complessa e continuata della concorrenza. All’interno del bollettino dell’Antitrust viene sottolineato come questo accordo abbia impedito lo svolgersi corretto delle dinamiche di tipo concorrenziale tra gli operatori del mercato dei servizi di telefonia mobile e fissa.

La sanzione erogata è stata accolta con soddisfazione in particolare dall’Unione Nazionale Consumatori attraverso il suo presidente Massimiliano Dona. Il quale ha sottolineato che l’associazione avrebbe preferito però una multa più alta attraverso una nota.

Purtroppo la politica dilatoria delle compagnie telefoniche”, spiega nel comunicato, “che si arrampicano sui muri a caccia di cavilli legali pur di poter fare i loro comodi, dimostra che servono maggiori poteri per le Authority. E una giustizia amministrativa più efficiente, rapida e più attenta a difendere la parte debole dei rapporti contrattuali”.

In molti forse nemmeno lo ricorderanno ma per un periodo le grandi compagnie fornitrici di servizi hanno fatturato su una base di 28 giorni, portando i consumatori ad avere a che fare con una maggiore spesa. Qualcosa che non è durato molto ma che è stato in grado di fare abbastanza danni.

Serve maggiore velocità nei controlli

A prescindere dal coinvolgimento delle compagnie telefoniche sopra citate, va sottolineato che tutti questi anni per ottenere una sentenza sono inaccettabili. Ragione per la quale, quando si parla di giustizia amministrativa, non si può non allinearsi con ciò espresso da Massimiliano Dona.

Anche quando questo tipo di azione viene accertata, ciò avviene dopo anni. E non è di immediata consapevolezza per il consumatore. Il quale si trova a pagare questa sua “ignoranza” che viene sanata solo con l’intervento di agenzie come l’Antitrust. Come accaduto in questo caso.

È grazie a loro, infatti, che è possibile scoprire eventuali doli. Dovremmo spingere come consumatori per poter ottenere che l’Authority abbiano maggiori poteri. E che la giustizia amministrativa possa muoversi con più celerità evitando a noi ignari consumatori di rimanere vittime di andamenti del mercato che potrebbero essere totalmente differenti.

Duecento milioni non saranno tanti per grandi compagnie. Ma la multa rappresenta un precedente che dovrebbe agire come deterrente per azioni simili in futuro.

Israele, conseguenze del conflitto in Italia

Israele è stato attaccato da Hamas. Questo e la reazione dello Stato orientale di sicuro avranno conseguenze in Europa e in Italia. Ma quali potrebbero essere?

Conseguenze dell’attacco in Israele

Effettivamente, già ora, è possibile notare delle risposte economiche all’attacco subito da Israele. E possiamo partire elencando ciò che sta accadendo con il greggio. Il prezzo del petrolio è infatti salito, andando a inficiare il già precario rapporto tra i portafogli italiani e il prezzo dei carburanti.

Ovviamente il prezzo più alto che al momento si sta pagando è quello umanitario. E tutti noi dobbiamo cercare di aiutare le popolazioni in difficoltà. Ma è innegabile che per quanto Israele sembri lontana geograficamente da noi, e non lo è in realtà, ciò che sta succedendo nello stato israeliano, a livello economico, ci sta influenzando.

Al momento le conseguenze dell’attacco a Israele sono abbastanza gestibili. Ma è palese che sia il petrolio che l’oro come materia prima siano cresciuti di prezzo. E che il conflitto porterà senza dubbio conseguenze di lungo periodo sugli investimenti. Soprattutto se dovesse protrarsi. Chi si prenderà infatti il rischio di investire?

La situazione in Italia

Per quel che riguarda l’Italia, in particolare la Borsa e lo spread hanno subito le maggiori ripercussioni. Questo perché la situazione in Israele va a complicarne una di base già abbastanza complessa. Lo spread all’apertura il 10 ottobre ha fatto registrare un livello di 207. Se l’andamento degli ultimi giorni dovesse trovare conferma vedremmo assottigliarsi ancora di più i margini di manovra relativi alla politica economica.

Non dobbiamo dimenticare che in Italia i costi di finanziamento del debito sono già alti. Se aggiungiamo l’incertezza generale dobbiamo anche potenzialmente aspettarci un attacco speculativo nei confronti del nostro paese.

Israele lascia la sua scia pure sulle borse. Anche se Piazza Affari sembra comportarsi bene nonostante tutto, per ora. E’ importante che più generalmente ricordiamo che il crescere del prezzo del petrolio causa nel nostro paese delle difficoltà sia alle imprese che ai privati cittadini. Entrambi stanno ancora combattendo con le conseguenze della precedente crisi energetica causata dall’attacco della Russia sull’Ucraina.

L’attacco di Hamas su Israele potrebbe fare lo stesso. Il ministro delle Imprese e del made in Italy Adolfo Urso ha evidenziato di recente come l’attacco a Israele crei “una situazione di emergenza che rischia di far esplodere altre problematiche, per esempio per l’energia. Così come è accaduto per la guerra di Russia in Ucraina per il gas“, ha spiegato, “potrebbe accadere di nuovo perché da quei Paesi del Nord Africa arrivano altre risorse”.