Unicredit compra il 9% di Commerzbank

Unicredit ha acquisito il 9% di Commerzbank, attraverso una partecipazione azionaria. Potrebbe questo diventare un primo passo per simili operazioni da parte di altri istituti europei?

unicredit blocca dividendi fino ottobre

Investimento importante di Unicredit

È questo ciò che pensano diversi esperti. Analizzando l’operazione dal punto di vista tecnico, il 4,49% del 9% acquisito da Unicredit è stato acquistato attraverso un’offerta di accelerated book building condotta per conto “della Repubblica federale di Germania in linea con l’intenzione di quest’ultima di ridurre la propria partecipazione” all’interno di Commerzbank. La percentuale restante è stata invece ottenuta attraverso operazioni di mercato. E stata la stessa banca guidata da Andrea Orcel a rendere nota l’acquisizione prima dell’apertura dei mercati.

L’Agenzia delle finanze tedesca ha spiegato che Unicredit ha ottenuto il 4,49% del capitale attraverso il pagamento di 13,2 euro per azione.  Per un totale di circa 702 milioni di euro sborsati dall’Istituto di credito. Nella nota condivisa riguardante l’operazione, Unicredit ha evidenziato il proprio supporto agli attuali consigli di gestione e di sorveglianza di Commerzbank. E di essere sostenitrice dei progressi raggiunti finora dall’Istituto per migliorare le proprie performance.

Diventando parte del capitale della banca tedesca Unicredit potrà verificare insieme a questa quali sono le possibilità di creazione di valore per gli stakeholder di entrambe le banche europee. L’istituto di Andrea Orcel ha inoltre sottolineato che qualsiasi decisione che verrà presa in quanto a investimenti e legata alla partecipazione, sarà collegata anche a quelli che sono i parametri finanziari severi di Unicredit.

Quest’ultima ha fatto inoltre sapere che, se lo riterrà necessario per la sua crescita, chiederà alle autorità competenti l’autorizzazione per crescere all’interno dell’istituto. Per superare la soglia del 9,9% del capitale.

Soddisfazione del governo tedesco

Anche il governo tedesco ha espresso soddisfazione per la conclusione dell’operazione, evidenziando come Commerzbank sia ora in grado di potersi sostenere con le proprie gambe. Motivazione per la quale è occorsa questa prima vendita parziale del capitale in mano al governo tedesco.

Dobbiamo ricordare che, nonostante questa cessione, l’esecutivo teutonico rimane il principale azionista della banca. Unicredit ha spiegato che l’acquisto della partecipazione è parte nelle sue strategie di crescita. E che l’investimento stesso è ampiamente avvenuto all’interno dei parametri da lei stabiliti. Ha inoltre assicurato che l’operazione non sarà motivo di rallentamento per l’esecuzione di Unicredit unlocked. E dell’impegno nei confronti di tutti gli azionisti al raggiungimento di una crescita sostenibile e redditizia.

A livello tecnico, l’acquisizione ha un impatto sul Cet 1 ratio di Unicredit pari a circa 15 punti base. Unicredit ha comunque assicurato che non avrà conseguenze sull’attuale politica di distribuzione. Nota curiosa: l’operazione spegne del tutto le indiscrezioni che volevano la banca di Orcel pronta ad acquistare realtà italiane come Banco BPM.

Volkswagen, chiudono stabilimenti in Germania?

Volkswagen è davvero pronta a chiudere delle fabbriche in Germania? Indiscrezioni parlano di due stabilimenti in territorio tedesco. Ma non solo di questo.

Situazione più che incerta in Wolkswagen

La situazione del gruppo sarebbe particolarmente tragica e presupporrebbe misure drastiche per affrontare una crisi che risente, tra le altre cose, anche della recessione dalla quale l’anno scorso è stata colpita la Germania. L’economia è messa a dura prova e così anche la produzione industriale.

Volkswagen non fa eccezione e per rimanere produttiva deve tagliare i costi e risparmiare. Tra le mosse in previsione anche quella di non rispettare o modificare gli accordi relativi alla tutela dei posti di lavoro fino al 2029. L’eventuale chiusura di due stabilimenti sarebbe riprova della sofferenza della produzione industriale tedesca. Non dimentichiamo che Volkswagen aveva già tagliato dei posti di lavoro, sebbene di tipo interinale non rinnovando i contratti.

Nel 2023, inoltre, era stato presentato un piano di risparmio riguardante 10 miliardi di euro entro il 2026 che prevedeva il taglio dei premi ai dirigenti. Tra i quali era compreso anche Oliver Blume,  l’amministratore delegato. Con molta possibilità ciò che era stato pianificato non è considerabile sufficiente. Questo davanti anche alla posizione del governatore Stephen Weil ed e rappresentanti del lavoro. Questi insieme alla Land bassa Sassonia rappresentano la maggioranza all’interno del collegio sindacale. E non pensano assolutamente ad autorizzare il via libera alla chiusura di due stabilimenti.

Cosa accadrà nei prossimi mesi

Novembre sarà una data importante in tal senso, visto che verrà presentato il nuovo piano degli investimenti di Volkswagen e potrebbero saltar fuori i nomi di quelle fabbriche che navigano in cattive acque. Tecnicamente parlandom Volkswagen vuole portare gli utili del gruppo al 6,5%. Al momento ha raggiunto solo il 2,3% per via dei grandi costi che è costretta ad affrontare. Per comprendere la gravità della situazione Peugeot e Stellantis presentano dati migliori da questo punto di vista.

Altra criticità è che il gruppo tedesco presenta tali dati nonostante i 16,6 miliardi di utili in termini assoluti registrati. È possibile dare la colpa all’inflazione o alla crescita più bassa in Europa. Nel settore automotive inoltre bisogna tenere conto della concorrenza cinese, soprattutto per quel che riguarda le auto elettriche. C’è necessità di stare al passo e al momento Volkswagen non riesce a farlo.

Tra le ipotesi di taglio vi è anche quella del prepensionamento del personale e scivoli di rilevante importanza. Ma non vi è molta certezza sulla possibilità di funzionamento di questa soluzione. Starà quindi a Volkswagen fare di tutto per proteggere l’occupazione e al contempo far crescere gli utili.

Sas cresce e chiude con Air France-Klm

Sas cresce e chiude l’accordo di acquisizione con Air France-Klm e la sua cordata. Dopo un recupero incredibile del proprio bilancio in soli due anni.

Come Sas ha evitato la bancarotta

Sas è riuscita in qualcosa nel quale non molti riescono: evitare la bancarotta. Il vettore scandinavo è infatti riuscito a uscire dalla procedura Chapter 11 negli Stati Uniti, quella legata alla dichiarazione di fallimento. Un obiettivo raggiunto grazie a un bilancio consolidato e dei nuovi proprietari. In una nota il vettore ha spiegato che ci sono voluti due anni per risanare oltre 2 miliardi di debito. Come? Cedendo parte della flotta e delistando il proprio titolo. Cancellando, in pratica, le quote di 250 mila ex proprietari.

Un cambiamento davvero importante per Sas che, stravolgendosi, è riuscita a sistemare i proprio problemi. In una nota concernente gli utili del vettore, Sas ha evidenziato di essere una “società finanziariamente solida, con una struttura di capitale rafforzata e una notevole liquidità”. Sempre nel testo è stato spiegato come siano stati i forti tagli ai costi a dar modo all’azienda di aumentare la propria redditività mensile. Trovando allo stesso modo nuove opportunità valide di crescita.

Il ceo Anko van der Werff ha ribadito il bisogno, ora,  di andare avanti per completare il processo di trasformazione già in corso. Non dobbiamo dimenticare che, grazie all’uscita di Sas dalla bancarotta, Air France-KLM può perfezionare l’acquisizione della compagnia. I franco olandesi hanno infatti già investito in tal senso circa 144,5 milioni di dollari.

Via libera ottenuto senza problemi

Nessun problema da parte di Stati Uniti e Commissione europea: l’operazione è già stata approvata da entrambe le parti e l’accordo potrà avere effetto immediato dal primo settembre. “Siamo lieti di aver finalizzato questa operazione strategica con Sas e di rafforzare così la nostra presenza sui mercati scandinavi”, ha spiegato in una nota il ceo di Air France-Klm Benjamin Smith. Non mancando di esprimere soddisfazione in merito.

Ricordiamo che l’acquisizione di Sas avviene da parte di Air France-Klm in consorzio con lo Stato danese, Lind Invest e Castelake, due fondi di investimento. La cordata, Stato compreso, detiene quindi al momento l’86,4% del capitale di Sas, per un investimento totale di 1,2 miliardi di dollari.

Non è esclusa la possibilità futura per i franco olandesi di poter incrementare la propria partecipazione fino a divenire azionista di controllo. Qualcosa le cui clausole d’accordo rendono possibile dopo almeno due anni di permanenza all’interno del capitale. Per quel che concerne l’acquisizione, i due vettori firmato accordi di code sharing e cross-marketing per collegare reti e hub.

 

Intelligenza artificiale, necessario investire su formazione

L’intelligenza artificiale sta toccando diversi ambiti lavorativi. Ma fatica a decollare in alcuni. Il problema? Quello più sentito senza dubbio la mancanza di esperti.

I problemi legati all’intelligenza artificiale

E non è una criticità da nulla, se pensiamo che sono moltissime le aziende che vogliono investire in tal senso ma non riescono nemmeno a trovare tutte le unità necessarie per la gestione di questo ambito. Si è parlato tanto di intelligenza artificiale per quel che concerne la possibilità che togliesse del lavoro.

In questo momento di transizione digitale, in realtà il vero problema sta nel fatto che non vi siano abbastanza persone per poter affrontare il cambiamento. E questo mette le aziende nella condizione di dover investire sulla formazione di queste figure specializzate. Rimane comunque il fatto che le statistiche ci raccontano che la transizione digitale italiana è a rischio di rallentamento proprio perché manca personale qualificato.

Si parla di circa 699.000 lavoratori necessari, dei quali le industrie sono riuscite a trovarne solo la metà. Attenzione: non si parla solo di intelligenza artificiale, ma anche di Internet of things a livello industriale, data analytics, big data, cloud computing, blockchain, realtà aumentata e virtuale.

Piccole e medie imprese in maggiore difficoltà

Le piccole e medie imprese sono quelle che hanno più difficoltà a coprire questi posti dove le competenze digitali sono necessarie. E se in qualche modo la formazione universitaria o comunque extra scolastica non riescono a fornire il capitale umano necessario, tocca alle imprese cercare di abbattere questo divario. Sono tra il 50% e il 60% di media i posti legati all’intelligenza artificiale che rimangono scoperti per via della mancanza di personale.

Ed è un problema che non si può sottovalutare, soprattutto in un momento in cui in tutto il mondo l’intelligenza artificiale sta prendendo piede. E nell’ambito produttivo la sua applicazione potrebbe essere in grado di dar vita a progetti più specifici e curati in merito a tantissimi settori di prodotto. Soprattutto se unito a un corretto approccio di conoscenza e gestione del consumatore.

Questo per quanto riguarda i beni e i servizi. In campo sanitario, ad esempio, l’intelligenza artificiale è in grado di supportare gli scienziati nella ricerca di nuove molecole adatte a essere utilizzate per specifiche patologie. In questo ambito industriale la mancanza di esperti di intelligenza artificiale rischia davvero di fare danno.

Perché sottolineiamo la necessità da parte delle aziende di fornire loro la giusta formazione? Semplice: perché questo non solo darebbe modo a loro di ricoprire i posti vacanti e quindi di guadagnare di più, ma perché riuscirebbe allo stesso tempo a migliorare la situazione di moltissimi lavoratori.

Dongfeng pronta a produrre in Italia?

Dongfeng produrrà in Italia? Inizia a diventare una domanda lecita, soprattutto dopo il viaggio in Cina del presidente del consiglio Giorgia Meloni.

Cosa vuole fare Dongfeng

Dobbiamo partire da un presupposto: la situazione automotive in Italia è complessa. Soprattutto per via di Stellantis e di quelle che sono le sfide che sta affrontando in questo momento. La necessità di passare a un mercato prettamente elettrico, come era possibile immaginare, sta presentando delle criticità.

La crisi generale della produzione e dell’economia post covid non ha aiutato. Dongfeng rappresenta una gustosa opportunità per il nostro paese. Per quale ragione? Sembra essere disposta a investire in modo cospicuo. A differenza di ciò che sta accadendo con Stellantis. Le promesse e le parole di John Elkann e Carlos Tavares fino a ora non hanno portato davvero molto.

L’occupazione sta vivendo diverse difficoltà, per quel che concerne l’azienda Italofrancese. Ed è comprensibile che l’Esecutivo stia cercando un’alternativa che possa consentire di salvaguardare lavoratori e il comparto. Dongfeng dal canto suo è una di quelle realtà dell’automotive cinese che sembrano non solo essere interessate a investire, ma a farlo in grande. Costruendo il proprio hub europeo in Italia.

Come reagirà Stellantis

Ora per quanto si possa ribattere che, contrariamente a quanto sostenuto quand’era all’opposizione, il Governo appare essere tutt’altro che coerente con la questione cinese, l’idea di attirare specifici investimenti sulla penisola è tutt’altro che sbagliata. Occupazione e produzione ne gioverebbero, a prescindere da quello che potrà decidere di fare Stellantis.

La quale davanti a un possibile impegno di Dongfeng potrebbe anche avere uno scatto di orgoglio e decidere di sistemare finalmente la questione italiana. Dobbiamo sottolinearlo: a essere protagonista dell’azienda di John Elkann è più che altro la cassa integrazione in questo momento.

I cinesi, tra le altre cose, sono interessati a investire nel Sud Italia grazie alle condizioni più favorevoli a livello amministrativo. Ma hanno al contempo adocchiato l’ex impianto Maserati Giovanni Agnelli di Grugliasco nel torinese.

Indiscrezioni stampa vogliono che le trattative tra il Governo italiano e Dongfeng siano a un punto avanzato. Se così fosse davvero, anche calcolando la presenza italiana come quota di minoranza, si tratterebbe di un evento per il settore automotive davvero rilevante e game changing.

Tutto starà a vedere cosa accadrà nei prossimi mesi e se l’accordo verrà davvero firmato. In quel caso se ne vedranno davvero delle belle. È ovvio che la maggiore curiosità riguarda la reazione di Stellantis a tutto ciò. Rimarrà a guardare? Si impegnerà davvero per rimanere al top anche in Italia?

Maserati non verrà venduta

Maserati non verrà venduta. Lo ha sottolineato attraverso un comunicato Stellantis, che mette così la parola fine alle illazioni che si rincorrevano in merito a questo specifico marchio.

Cosa sta succedendo con Maserati

All’interno della nota viene sottolineato come l’azienda non abbia intenzione di vendere Maserati né di aggregarlo ad altri gruppi italiani del lusso. La società conferma l’impegno di tipo incondizionato nel confermare il brand come l’unico di lusso dei quattordici che fanno parte del gruppo. Viene inoltre sottolineato dall’azienda che Maserati si trova al momento in una fase di transizione verso l’elettrico. Come? Attraverso il programma Folgore BEV che verrà completato per quel che riguarda la Grecale e la Gran Turismo da versioni ibride.

Stellantis ha inoltre confermato di essere al lavoro sui successori del Levante e della Quattro porte del marchio. È importante sottolineare che tutta la polemica nata intorno al Maserati è scaturita a causa di un concetto ben preciso espresso da Carlos Tavares. Il ceo di Stellantis aveva infatti ipotizzato che se il marchio non dovesse risultare abbastanza redditizio, l’azienda potrebbe decidere di scorporarlo o cederlo.

Tutti hanno pensato a Maserati ma, come finora ha spiegato, attraverso una nota è stato sottolineato come non sia questo il caso specifico. Ovviamente come accade per qualsiasi brand, non solo nell’ambito automotive, i vari produttori prendono in considerazione cambiamenti nel momento in cui questi risultino fondamentali per il bene generale dell’azienda.

Ciò che si evince dalle risposte ottenute in tal senso sottolinea come al momento l’azienda non sia assolutamente impegnata in un’ipotetica cessione del brand di lusso. Le precedenti dichiarazioni di Carlos Tavares hanno anche causato nelle scorse ore l’invio di una lettera a John Elkann da parte del segretario generale della Uilm, Rocco Palombella. Il quale invece era a favore dell’uscita di Maserati da Stellantis al fine di dar vita a un polo del lusso con Ferrari.

Cosa accadrà nei prossimi mesi

Una decisione, secondo il sindacalista, che avrebbe portato non solo a una valorizzazione delle rispettive caratteristiche qualitative e di mercato ma anche alla salvaguardia dei posti di lavoro. Quella di Maserati è una storia molto particolare che si inserisce in un quadro al momento un po’ burrascoso. Non possiamo dimenticare, infatti, la cassa integrazione degli stabilimenti Stellantis e le difficoltà che alcuni poli di produzione stanno affrontando in Italia.

Con molta probabilità una vendita di Maserati potrebbe portare a conseguenze positive per l’intera azienda. Allo stesso tempo, però, non si può pensare che Stellantis rinunci con leggerezza a un marchio che in passato è stato in grado di risultare estremamente proficuo e redditizio.

Con molta probabilità bisognerà aspettare di vedere nei prossimi mesi come si evolverà la situazione. Per capire, tra le altre cose, se John Elkann possa in tal senso ritornare sui suoi passi.

Stellantis, le promesse di Carlos Tavares

Stellantis torna al centro delle cronache per via dell’editoriale di Carlos Tavares pubblicato su Il Sole 24 Ore. Dove si evincerebbe la volontà di assumere personale per alcuni stabilimenti dell’azienda.

Stellantis è pronta a investire?

È importante sottolineare che è difficile nelle attuali condizioni prendere immediatamente come buona una simile affermazione. Gli ultimi mesi, dove soprattutto a Mirafiori la cassa integrazione si è succeduta per un numero importante di reparti, non consentono di essere ottimisti da questo punto di vista. Come parrebbe essere il manager di Stellantis.

Il ceo dell’azienda ammette che sul tavolo vi sia una sfida delicata da affrontare. E che Stellantis è intenzionata ad affrontare questo periodo storico di trasformazione con responsabilità senza fuggire dalla realtà dei fatti. All’interno del pezzo Carlos Tavares sottolinea come Stellantis si augura di continuare a dimostrare l’impegno nei confronti dell’Italia della propria azienda, continuando a lavorare con passione, responsabilità e professionalità. Ricordando gli investimenti relativi all’estensione della produzione della Fiat Panda a Pomigliano fino al 2029 e della 500 ibrida a Mirafiori.

Nessuno mette in dubbio che siano stati messi in campo degli investimenti. Le parti sindacali sottolineano però, giustamente, che ciò che sta avvenendo negli ultimi tempi non sembra supportare l’occupazione italiana di Stellantis. È vero:  vi sono alcuni stabilimenti in maggiore incertezza rispetto agli altri meno problematici. Ma in generale, tutto ciò non cancella la cassa integrazione in atto e i reparti fermi.

In attesa di risposte per il comparto

Quindi per quanto legittimo sia l’editoriale scritto dal ceo di Stellantis, allo stesso tempo non bisogna stupirsi se vi sono delle risposte non propriamente conformi alle informazioni pubblicate dal quotidiano economico. Soprattutto se giusto recentemente sono state inaugurate nuove linee di produzione di auto elettriche in Serbia. E allo stesso tempo diversi fornitori stanno presentando ricorsi contro l’azienda per via dei prezzi fermi al 2002.

Per Stellantis rimane poi in piedi il discorso gigafactory. Non dobbiamo dimenticare che recentemente è stato bloccato il progetto in Italia. E sia i sindacati che il ministero competente sono in attesa di avere alcune risposte in merito. Anche prendendo in considerazione il polo di Melfi, la cronaca ci mostra come le prossime settimane saranno cruciali per i lavoratori e per il futuro di Stellantis sul territorio italiano.

La promessa presentata all’interno dell’editoriale, di mantenere l’Italia al centro delle attività, sarà rispettata? Si tratta di domande che è necessario porsi, soprattutto a livello occupazionale. Dove un abbandono seppur minimo delle attività avrebbe conseguenze estremamente rilevanti sull’intero comparto.

Tim, venduta la rete. E i dipendenti?

Tim vende la rete che passa a KKR. L’Unione Europea ha benedetto una cessione ricercata da molto tempo. La domanda che sorge spontanea riguarda però il futuro dei 36.700 dipendenti della società.

Perfezionata operazione tra Tim e KKR

Una domanda legittima data la divisione dell’ex Telecom in due società: ovvero Fibercop e la nuova Telecom Italia. Al momento niente di ciò che è emerso, anche come semplice indiscrezione, pone con certezza il punto sul modo nel quale gli operatori verranno gestiti. Dobbiamo ricordare che Tim ha venduto la sua infrastruttura di rete a una squadra capitanata dal fondo americano KKR per 18,8 miliardi di euro.

Siamo giunti alla conclusione di decenni di studio e diversi anni di trattative per raggiungere una cessione molto importante. Ricordiamo che la rete di Tim è stata ceduta alla holding composta da KKR, da F2i, dal ministero dell’Economia, dall’Abu Dhabi Investment Authority e dal Canada Pension Plan Investment Board.

Una cessione che è stata lungamente ricercata per eliminare i problemi di debito di Tim che ne congelavano la possibilità di investimento e al contempo la necessità di rendere il tutto più funzionale e più funzionante. L’operazione è stata perfezionata il 1° luglio presso il notaio milanese Carlo Marchetti. E senza dubbio rappresenta qualcosa privo di precedenti per quel che riguarda il settore italiano delle telecomunicazioni.

Questo al netto del rappresentare una vera e propria sfida per la gestione, occupazionale e non, delle due società nate grazie alla cessione. Per quanto riguarda Fibercop la governance deve essere ancora definita anche se al momento dovrebbe vedere confermato Massimo Sarmi come presidente. Ci si aspetta invece che arrivi direttamente da Ferrovie dello Stato Luigi Ferraris per il ruolo di amministratore delegato.

Governance in costruzione per Fibercop

Per quel che riguarda le liste del consiglio la definizione è ancora in corso, ma i soci sono già pronti a dare pro tempore deleghe operative al presidente. Rendendo così possibile agire nell’immediato. Fibercop al momento è caratterizzata da ricavi per 4 miliardi, 2 miliardi di margine operativo e circa oltre 20.000 dipendenti. Possiede però debiti per 6,5 miliardi che potrebbero salire di almeno altri 3-4 per via dell’acquisto della rete.

La nuova Tim frutto della cessione sarà invece gestita da Pietro Labriola, dovrebbe contare su circa 16.700 dipendenti, su ricavi attesi per il 2024 di 14,5 miliardi. E un margine operativo di 3,7 5 miliardi di euro provenienti, in particolare, dai servizi alle imprese e dalle attività brasiliane.

Numeri importanti, ma questo basterà ad assicurare una gestione corretta dei dipendenti? Bisognerà aspettarsi uscite anticipate dal lavoro o piani alternativi di ricollocamento? Anche in questo caso domande perfettamente legittime.

Terre rare, Brasile nuovo fornitore?

Le terre rare rappresentano una delle materie prime più importanti al momento. Basilari per l’equilibrio delle forze di potere future a livello internazionali. Il Brasile, emergente in tal senso, sembra intenzionato a opporsi all’egemonia della Cina.

Importanza delle terre rare

Il mercato delle terre rare è tra i più rilevanti al momento e lo sarà anche in futuro. Maggiori saranno le risorse da poter vendere, più potere avrà tra le mani chi sarà in grado di rifornire. Un concetto questo molto chiaro a tutte le Nazioni. Soprattutto a quelle molto rilevanti economicamente che necessitano di questi elementi.

Il Brasile vuole senza dubbio porsi come alternativa alla Cina, che del mercato delle terre rare detiene praticamente il monopolio. Non ha infatti finora incontrato una reale concorrenza. Il paese sudamericano, da questo punto di vista sembra intenzionato a far sentire la sua voce.

Avendo difatti annunciato di avere l’intenzione di entrare in campo nel settore, dando vita a una industria delle terre rare. Una notizia che ha allertato, ovviamente, tutto il mondo occidentale. Sono molti i paesi che importano terre rare che vorrebbero rivolgersi a qualcun altro rispetti alla Cina per il proprio fabbisogno.

Soprattutto per quel che riguarda l’industria green e quella della Difesa. Entrambe hanno bisogno di specifiche materie prime per svilupparsi in modo adeguato. Dobbiamo ricordare che sotto il nome di terre rare si riuniscono i diciassette elementi con proprietà magnetiche e conduttive uniche.

Parliamo di materie prime che consentono di migliorare le prestazioni di hard disk e pale eoliche, ad esempio. Nonché di ridurre sensibilmente le dimensioni dei dispositivi elettronici. Tutti materiali che consentono di migliorare device che spesso e volentieri diamo per scontati. Soprattutto se vogliamo investire o puntare sull’energia green. E anche su possibili armamentari di difesa.

Brasile vuole conquistare il mercato

Il Brasile può riuscire nell’impresa perché nel paese sudamericano la manodopera costa meno, il mercato è organizzato in un certo modo e l’energia pulita viene sfruttata maggiormente. Attualmente è il terzo fornitore di questi elementi a livello globale dopo Cina e Vietnam.

Ai potenziali compratori delle materie rare brasiliane una sua crescita sarebbe più che conveniente. Soprattutto perché consentirebbe loro un distanziamento anche a livello politico dalla Cina. Al momento la prima miniera brasiliana è già attiva. Entro il 2030 dovrebbero entrarne in attività altre due.

In Europa puntiamo all’indipendenza dalle importazioni proprio per abbattere i costi e favorire la crescita di questa industria fissando una percentuale che deve arrivare per forza da siti europei. Mentre Stati Uniti si sono posti l’obiettivo di dar vita a una filiera autoctona delle terre rare per il 2027.

Ita Airways, Italia ottimista su decisione Antitrust

Matrimonio Ita Airways e Lufthansa? L’Italia sarebbe ottimista. E la ragione costerebbe nelle indiscrezioni provenienti da alcuni fonti europee vicino al dossier relativo alla fusione.

Vicino via libera per Ita Airways

A quanto pare gli ultimi cambiamenti proposti, presentando dei miglioramenti oggettivi, avrebbero condotto verso una traiettoria “positiva”. C’è molto condizionale in queste indiscrezioni, ma allo stesso tempo sembra quasi esistere un cambio di aria attorno alla questione. E c’è chi sostiene che Bruxelles non farà mistero di quello che è il suo orientamento in merito alla fusione Ita Airways-Lufthansa entro pochi giorni.

Sembrerebbe proprio che l’Antitrust europeo sia concentrato nella valutazione degli ultimi dettagli prima di esprimere il suo giudizio, previsto entro il 4 luglio. Per quel che riguarda i negoziati tra i vettori e la Commissione europea, si parla ancora di apertura e a quanto pare, le comunicazioni tra il vettore tedesco e l’Europa, sono andata avanti in maniera serrata.

Dobbiamo ricordare che il maggiore problema attualmente da risolvere è quello relativo alle lunghe tratte da Fiumicino verso il Nord America. Su questo tema Lufthansa infatti possiede già accordi di una certa tipologia soprattutto con United Airlines.

Il timore dell’Antitrust europeo è che l’aggiunta di Ita Airways potrebbe mettere a repentaglio la concorrenza. Dobbiamo ricordare allo stesso modo che l’opzione di congelare per due o tre anni l’alleanza in tal senso non è stata considerata sufficiente dall’Europa.

Ottimismo italiano sulle trattative

Non resta quindi che attendere per capire cosa sia cambiato da questo punto di vista. Il ministro Giancarlo Giorgetti sembra mantenere il suo approccio positivo in merito al via libera. Ricordiamo che la fusione è in realtà un’acquisizione per 325 milioni del 41% di Ita Airways, dando potere ai tedeschi di comando nonostante l’essere socio di minoranza.

È anche vero che questo sarebbe solo un primo passo dell’entrata dei tedeschi nel vettore italiano. E che le maggiori problematiche relative alla concorrenza sulle lunghe tratte è anche rappresentato dalla pressione nel settore di Air France.

La compagnia francese, in passato, aveva anche mostrato interesse per la vecchia Alitalia e per la newco. Al netto di tutto ciò quel che bisogna capire e se si è arrivati finalmente a una quadra che consenta davvero di avere una decisione entro il 4 luglio.

Per via delle elezioni europee e i possibili cambiamenti in seno all’intera squadra, i tempi rischierebbero di allungarsi altrimenti. Nell’attesa di avere una risposta bisogna comunque tenere conto delle preoccupazioni dei sindacati. I quali temono ovviamente le ripercussioni occupazionali nel caso in cui il via libera non dovesse arrivare.

BCE taglia i tassi, cosa succede

La BCE taglia i tassi di interesse di 25 punti base. Qualcosa che ormai ci aspettavamo da tempo, date le dichiarazioni dei vari esponenti. Ma cosa cambia realmente per le persone?

Cosa avviene ora con i tagli

Ovviamente il calo del costo del denaro può avere impatto sulla vita delle persone. La vera domanda che dobbiamo porci è se questo piccolo passo indietro avrà conseguenze rilevanti per milioni di cittadini europei. È innegabile che qualsiasi mossa la BCE faccia in tal senso avrà poi impatto sui vari ambiti economici e finanziari.

Prendiamo ad esempio i mutui a tasso variabile. Senza dubbio l’aumento del costo del denaro nell’ultimo anno ha colpito in maniera decisamente dirompente questo ambito finanziario. Portando in alcuni casi i cittadini a maledire la BCE per questa sua politica monetaria troppo restrittiva. Ora che il taglio è stato eseguito cosa cambierà effettivamente?

Poco e niente in realtà. Perché un taglio di 25 punti base porta a pagare semplicemente 18 euro in meno di media. E se calcoliamo che in questi mesi i firmatari di mutuo hanno visto aumentare la propria rata di oltre il 60%, per sentire effettivamente il cambio di rotta saranno necessari ulteriori tagli.

Chi vuole sottoscrivere mutui a tasso fisso invece troverà condizioni ancora più favorevoli rispetto a quelle di questi ultimi quattro mesi. Soprattutto se è intenzionato a eseguire una surroga. A ogni modo la BCE, ora che ha intrapreso questo percorso, dovrà essere in grado di portarlo avanti con giudizio.

Cosa farà la BCE

Nonostante l’intervento, infaatti, non dobbiamo dimenticare che l’obiettivo è quello di riportare l’inflazione al livello ideale del 2%. E la strada, nonostante tutto, è ancora lunga.

Quello che dobbiamo chiederci è cosa succederà dopo questo taglio di giugno. Ci sarà abbastanza forza e i dati consentiranno di continuare con la discesa a luglio? Nonostante la decisione presa oggi infatti sono molte le probabilità che vedranno la BCE prendersi un’ulteriore pausa dai tagli il mese prossimo.

Non c’è altra soluzione che continuare a decidere man mano in base ai dati. Soprattutto in un ambito in cui la BCE decide di fare da apripista, rischiando anche un indebolimento dell’euro. È innegabile che il taglio sia avvenuto anche per le pressioni che la BCE ha subito lasciando troppo spazio al dibattito sul taglio. A ogni modo la risalita delle posizioni inflazionistiche non darà un ampio margine di tagli per il 2024. Secondo la maggior parte degli analisti il costo del denaro potrà essere abbassato da un minimo di due a un massimo di tre volte.

Lo spazio di manovra è più piccolo di quello che si possa credere . Almeno al momento.

Bitcoin e il portafoglio di “Michael” craccato

Quando si parla di bitcoin e di password di portafoglio la storia di Michael viene da sempre portata come esempio di necessità di conservare bene le proprie chiavi d’accesso.

Bitcoin che sembravano essere perduti

La sua storia è famosa perché, dimenticandole, non ha avuto accesso per anni ai Bitcoin di sua proprietà. Almeno fino a ora. Visto che qualcuno è finalmente riuscito a craccare il suo wallet. Non si pensava fosse possibile e dobbiamo dire la verità: eravamo tutti convinti che l’uomo non sarebbe mai stato in grado di ritornare in possesso delle sue criptovalute. Eppure è successo.

A raccontare l’accaduto è stato un ingegnere hardware tra i più famosi, ovvero Joe Grand. Sono stati lui e un suo collaboratore a riuscire nell’impresa sfruttando, in pratica, una vulnerabilità di Roboform del 2013.

Questa storia non ci dà solo spunto per poter far battute sull l’avvenimento, ma ci fa capire come la sicurezza, da ogni punto di vista per quel che riguarda Bitcoin, sia fondamentale. Michael, di cui non conosciamo il cognome per motivi di privacy, è stato molto fortunato ad avere incontrato dei professionisti nel loro settore capaci di riuscire in questa impresa.

Non scherziamo quando sottolineiamo che la sua storia da anni viene portata come esempio di come non gestire un wallet. Certo, il tempo in qualche modo ha anche lavorato per lui dato il valore attuale di Bitcoin, ma fino a poco tempo fa i suoi 43,6 bitcoin erano bloccati.

L’uomo aveva originato, attraverso un gestore di password, una password complessa di 20 caratteri per proteggere i suoi bitcoin. Il codice era stato salvato in un file di testo memorizzato in un volume virtuale, crittografato attraverso il programma Truecrypt.

Le capacità di Joe Grand

Il problema è nato proprio con il danneggiamento di questo contenitore e la conseguente impossibilità dell’uomo di accedere ai suoi fondi. Quando sottolineiamo che la sua fortuna è stata l’esistenza di un ingegnere come Joe Grand non scherziamo. Parliamo di un hacker etico e quindi di una persona che mette a disposizione le sue capacità per proteggere e non per rubare.

Dobbiamo sottolineare che inizialmente l’uomo aveva rifiutato la proposta di Michael. Solo successivamente ha deciso di aiutarlo a craccare la password. E questo è stato possibile perché l’uomo si è accorto di una potenziale vulnerabilità del generatore di password. Basandosi su quella ha ricostruito la versione utilizzata nel 2013 dall’uomo.

Per farla breve è riuscito a individuare il meccanismo necessario a recuperare la password. Mettendo di nuovo nelle mani del suo possessore dei Bitcoin che sembravano essere perduti. Ovviamente, per il suo lavoro, è stato ricompensato.

Lufthansa rinuncia all’accordo con Ita Airways?

Lufthansa sta pensando di abbandonare l’accordo con Ita Airways? La speranza, soprattutto per la compagnia è che anche in questo caso si tratti di chiacchiere prive di fondamento.

Lufthansa stanca della situazione?

Bruxelles, è certo, ha le sue idee in merito ai canoni ai quali Lufthansa e Ita Airways debbano rispondere per quel che concerne il loro accordo. E da quel che si evince da fonti stampa, anche l’ulteriore offerta di tagli alle rotte sarebbe considerata non sufficiente.

E non stupisce se fossero veritiere le richieste emerse che vorrebbero minimo il 30% degli slot ceduti a Linate. Siamo in un momento molto difficile. Se l’accordo tra i teutonici e gli italiani dovesse andare a buon fine vi sarebbero conseguenze ottimali soprattutto per gli italiani. Non viene, quindi, esclusa la richiesta di una proroga. Ma è anche abbastanza evidente che Lufthansa stia in qualche modo soffrendo queste difficoltà.

Soprattutto perché, come si sa, la Commissione europea, soprattutto a lei sta richiedendo dei sacrifici non indifferenti, soprattutto per quel che concerne le tratte intercontinentali. Per via proprio del suo network con Air Canada e United Airlines.

Da quel che si racconta sarebbe la prima volta che i tedeschi pensano a un tirarsi indietro. Anche se dobbiamo sottolineare, allo stesso tempo, che Lufthansa in questa alleanza ci crede. Basti pensare al corteggiamento lunghissimo anche ai tempi del commissariamento della vecchia Alitalia.

Il punto sostanziale è uno: ulteriori tagli sul lungo raggio per Francoforte sarebbero impossibili da sostenere economicamente. E il gioco, ovvero l’accordo con Ita Airways, non varrebbe più la candela.

Cosa accadrà ora

Il motivo è evidente. Una riduzione dei ricavi sul lungo raggio sarebbe di gran lunga superiore ai benefici legati alla fusione con la compagnia di bandiera del nostro paese.  Nessuno ha specificato numeri ufficiali, ma i media specializzati arrivano a ipotizzare anche potenziali perdite di diverse centinaia di milioni in materia di profitti. E non dobbiamo ignorare il grande elefante rosa nella stanza.

Quale? Con molta probabilità tutta questa pressione in materia di concorrenza è sostenuta dalle low cost che temono il rafforzamento di Ita Airways sia sul mercato nazionale che internazionale. E anche da Air France che non vuole una leadership tedesca nei cieli.

Cosa possono fare ancora quindi i due vettori? Secondo l’Antitrust europeo dovrebbero lavorare maggiormente sugli slot di Linate e sulle rotte a lungo raggio. Trovare un compromesso sembra essersi fatto molto più difficile. Sarà interessante vedere se Ita Airways e Lufthansa vorranno davvero portare a casa l’accordo. Quanto sono davvero disposte a mettere sul tavolo?

Amazon e Telefonica, accordo per cloud 5G

Amazon entra nel mondo delle telecomunicazioni grazie a Telefonica. Riuscendo in un impresa che a nessuno era davvero riuscita prima.

L’accordo tra Telefonica e Amazon

Per quanto non possa sembrare qualcosa di rivoluzionario il fatto che Amazon con il proprio servizio cloud riesca a entrare nel mondo del 5G non è un evento che deve essere preso sottogamba. E non solo perché dimostra che ancora una volta, forse anche forte del proprio fatturato, Amazon non abbia paura a esplorare nuovi settori.

Il suo “buttarsi” in quello delle telecomunicazioni di certo sarà in grado di lasciare il segno. Anche solo per la straordinarietà dell’evento. Le aspettative sono molto alte in tal senso. Ma per comprendere quanto sia importante bisogna capire cosa sta accadendo di preciso.

L’azienda ha firmato un accordo con 02Telefonica, attraverso la sua Amazon Web Services per la gestione della rete principale 5G di Telefonica Germany. Si tratta di un passo in avanti in ambito tecnologico per tutte e due le società.

Per Amazon si parla di un debutto con il botto all’interno del mercato mondiale delle telecomunicazioni, con tutto quello può occorrere in tal senso. Telefonica, grazie a questo accordo, è il primo operatore che cede la propria rete principale in gestione su un cloud disponibile pubblicamente.

Soprattutto questo ultimo puntò è rilevante. In passato già alcuni operatori avevano tentato questa strada, trasferendo alcune operazioni e l’IT su cloud pubblici. Ma a differenza di ora non erano coinvolti servizi core network quanto alcune operazioni non principali.

Amazon web services, grazie all’accordo con Telefonica, gestirà circa un milione di clienti di quest’ultima che usano il 5g. Ma la collaborazione non si fermerà a questo punto. Dobbiamo sottolineare che Il funzionamento delle attività post accordo verrà monitorato per circa due trimestri.

Utenti in possibile esponenziale crescita

E questo potrebbe trasformarsi, se tutto andrà come necessario, nella crescita del numero di utenti affidato al servizio cloud. I quali potrebbero salire entro il 2025-2026 del 30-40%. Telefonica in Germania ha un bacino di utenza totale pari a circa 45 milioni di persone. Numeri davvero importanti.

Questo accordo sta portando l’azienda di Jeff Besos a diventare ufficialmente l’apripista per altri interlocutori, come ad esempio Microsoft, verso un mercato che potrebbe davvero offrire molto ai suoi protagonisti. Soprattutto pensando che l’attuale contesto vede gli operatori sono sempre molto restii nell’appoggiarsi a cloud di terze parti. Già solo per le preoccupazioni di prestazione legate al funzionamento e alla gestione delle reti.

Solo i prossimi mesi saranno in grado di dimostrare se la scelta di Telefonica sarà stata quella giusta. Se il risultato sarà positivo se ne vedranno davvero delle belle.