Stellantis, le promesse di Carlos Tavares

Stellantis torna al centro delle cronache per via dell’editoriale di Carlos Tavares pubblicato su Il Sole 24 Ore. Dove si evincerebbe la volontà di assumere personale per alcuni stabilimenti dell’azienda.

Stellantis è pronta a investire?

È importante sottolineare che è difficile nelle attuali condizioni prendere immediatamente come buona una simile affermazione. Gli ultimi mesi, dove soprattutto a Mirafiori la cassa integrazione si è succeduta per un numero importante di reparti, non consentono di essere ottimisti da questo punto di vista. Come parrebbe essere il manager di Stellantis.

Il ceo dell’azienda ammette che sul tavolo vi sia una sfida delicata da affrontare. E che Stellantis è intenzionata ad affrontare questo periodo storico di trasformazione con responsabilità senza fuggire dalla realtà dei fatti. All’interno del pezzo Carlos Tavares sottolinea come Stellantis si augura di continuare a dimostrare l’impegno nei confronti dell’Italia della propria azienda, continuando a lavorare con passione, responsabilità e professionalità. Ricordando gli investimenti relativi all’estensione della produzione della Fiat Panda a Pomigliano fino al 2029 e della 500 ibrida a Mirafiori.

Nessuno mette in dubbio che siano stati messi in campo degli investimenti. Le parti sindacali sottolineano però, giustamente, che ciò che sta avvenendo negli ultimi tempi non sembra supportare l’occupazione italiana di Stellantis. È vero:  vi sono alcuni stabilimenti in maggiore incertezza rispetto agli altri meno problematici. Ma in generale, tutto ciò non cancella la cassa integrazione in atto e i reparti fermi.

In attesa di risposte per il comparto

Quindi per quanto legittimo sia l’editoriale scritto dal ceo di Stellantis, allo stesso tempo non bisogna stupirsi se vi sono delle risposte non propriamente conformi alle informazioni pubblicate dal quotidiano economico. Soprattutto se giusto recentemente sono state inaugurate nuove linee di produzione di auto elettriche in Serbia. E allo stesso tempo diversi fornitori stanno presentando ricorsi contro l’azienda per via dei prezzi fermi al 2002.

Per Stellantis rimane poi in piedi il discorso gigafactory. Non dobbiamo dimenticare che recentemente è stato bloccato il progetto in Italia. E sia i sindacati che il ministero competente sono in attesa di avere alcune risposte in merito. Anche prendendo in considerazione il polo di Melfi, la cronaca ci mostra come le prossime settimane saranno cruciali per i lavoratori e per il futuro di Stellantis sul territorio italiano.

La promessa presentata all’interno dell’editoriale, di mantenere l’Italia al centro delle attività, sarà rispettata? Si tratta di domande che è necessario porsi, soprattutto a livello occupazionale. Dove un abbandono seppur minimo delle attività avrebbe conseguenze estremamente rilevanti sull’intero comparto.

Tim, venduta la rete. E i dipendenti?

Tim vende la rete che passa a KKR. L’Unione Europea ha benedetto una cessione ricercata da molto tempo. La domanda che sorge spontanea riguarda però il futuro dei 36.700 dipendenti della società.

Perfezionata operazione tra Tim e KKR

Una domanda legittima data la divisione dell’ex Telecom in due società: ovvero Fibercop e la nuova Telecom Italia. Al momento niente di ciò che è emerso, anche come semplice indiscrezione, pone con certezza il punto sul modo nel quale gli operatori verranno gestiti. Dobbiamo ricordare che Tim ha venduto la sua infrastruttura di rete a una squadra capitanata dal fondo americano KKR per 18,8 miliardi di euro.

Siamo giunti alla conclusione di decenni di studio e diversi anni di trattative per raggiungere una cessione molto importante. Ricordiamo che la rete di Tim è stata ceduta alla holding composta da KKR, da F2i, dal ministero dell’Economia, dall’Abu Dhabi Investment Authority e dal Canada Pension Plan Investment Board.

Una cessione che è stata lungamente ricercata per eliminare i problemi di debito di Tim che ne congelavano la possibilità di investimento e al contempo la necessità di rendere il tutto più funzionale e più funzionante. L’operazione è stata perfezionata il 1° luglio presso il notaio milanese Carlo Marchetti. E senza dubbio rappresenta qualcosa privo di precedenti per quel che riguarda il settore italiano delle telecomunicazioni.

Questo al netto del rappresentare una vera e propria sfida per la gestione, occupazionale e non, delle due società nate grazie alla cessione. Per quanto riguarda Fibercop la governance deve essere ancora definita anche se al momento dovrebbe vedere confermato Massimo Sarmi come presidente. Ci si aspetta invece che arrivi direttamente da Ferrovie dello Stato Luigi Ferraris per il ruolo di amministratore delegato.

Governance in costruzione per Fibercop

Per quel che riguarda le liste del consiglio la definizione è ancora in corso, ma i soci sono già pronti a dare pro tempore deleghe operative al presidente. Rendendo così possibile agire nell’immediato. Fibercop al momento è caratterizzata da ricavi per 4 miliardi, 2 miliardi di margine operativo e circa oltre 20.000 dipendenti. Possiede però debiti per 6,5 miliardi che potrebbero salire di almeno altri 3-4 per via dell’acquisto della rete.

La nuova Tim frutto della cessione sarà invece gestita da Pietro Labriola, dovrebbe contare su circa 16.700 dipendenti, su ricavi attesi per il 2024 di 14,5 miliardi. E un margine operativo di 3,7 5 miliardi di euro provenienti, in particolare, dai servizi alle imprese e dalle attività brasiliane.

Numeri importanti, ma questo basterà ad assicurare una gestione corretta dei dipendenti? Bisognerà aspettarsi uscite anticipate dal lavoro o piani alternativi di ricollocamento? Anche in questo caso domande perfettamente legittime.

Terre rare, Brasile nuovo fornitore?

Le terre rare rappresentano una delle materie prime più importanti al momento. Basilari per l’equilibrio delle forze di potere future a livello internazionali. Il Brasile, emergente in tal senso, sembra intenzionato a opporsi all’egemonia della Cina.

Importanza delle terre rare

Il mercato delle terre rare è tra i più rilevanti al momento e lo sarà anche in futuro. Maggiori saranno le risorse da poter vendere, più potere avrà tra le mani chi sarà in grado di rifornire. Un concetto questo molto chiaro a tutte le Nazioni. Soprattutto a quelle molto rilevanti economicamente che necessitano di questi elementi.

Il Brasile vuole senza dubbio porsi come alternativa alla Cina, che del mercato delle terre rare detiene praticamente il monopolio. Non ha infatti finora incontrato una reale concorrenza. Il paese sudamericano, da questo punto di vista sembra intenzionato a far sentire la sua voce.

Avendo difatti annunciato di avere l’intenzione di entrare in campo nel settore, dando vita a una industria delle terre rare. Una notizia che ha allertato, ovviamente, tutto il mondo occidentale. Sono molti i paesi che importano terre rare che vorrebbero rivolgersi a qualcun altro rispetti alla Cina per il proprio fabbisogno.

Soprattutto per quel che riguarda l’industria green e quella della Difesa. Entrambe hanno bisogno di specifiche materie prime per svilupparsi in modo adeguato. Dobbiamo ricordare che sotto il nome di terre rare si riuniscono i diciassette elementi con proprietà magnetiche e conduttive uniche.

Parliamo di materie prime che consentono di migliorare le prestazioni di hard disk e pale eoliche, ad esempio. Nonché di ridurre sensibilmente le dimensioni dei dispositivi elettronici. Tutti materiali che consentono di migliorare device che spesso e volentieri diamo per scontati. Soprattutto se vogliamo investire o puntare sull’energia green. E anche su possibili armamentari di difesa.

Brasile vuole conquistare il mercato

Il Brasile può riuscire nell’impresa perché nel paese sudamericano la manodopera costa meno, il mercato è organizzato in un certo modo e l’energia pulita viene sfruttata maggiormente. Attualmente è il terzo fornitore di questi elementi a livello globale dopo Cina e Vietnam.

Ai potenziali compratori delle materie rare brasiliane una sua crescita sarebbe più che conveniente. Soprattutto perché consentirebbe loro un distanziamento anche a livello politico dalla Cina. Al momento la prima miniera brasiliana è già attiva. Entro il 2030 dovrebbero entrarne in attività altre due.

In Europa puntiamo all’indipendenza dalle importazioni proprio per abbattere i costi e favorire la crescita di questa industria fissando una percentuale che deve arrivare per forza da siti europei. Mentre Stati Uniti si sono posti l’obiettivo di dar vita a una filiera autoctona delle terre rare per il 2027.

Ita Airways, Italia ottimista su decisione Antitrust

Matrimonio Ita Airways e Lufthansa? L’Italia sarebbe ottimista. E la ragione costerebbe nelle indiscrezioni provenienti da alcuni fonti europee vicino al dossier relativo alla fusione.

Vicino via libera per Ita Airways

A quanto pare gli ultimi cambiamenti proposti, presentando dei miglioramenti oggettivi, avrebbero condotto verso una traiettoria “positiva”. C’è molto condizionale in queste indiscrezioni, ma allo stesso tempo sembra quasi esistere un cambio di aria attorno alla questione. E c’è chi sostiene che Bruxelles non farà mistero di quello che è il suo orientamento in merito alla fusione Ita Airways-Lufthansa entro pochi giorni.

Sembrerebbe proprio che l’Antitrust europeo sia concentrato nella valutazione degli ultimi dettagli prima di esprimere il suo giudizio, previsto entro il 4 luglio. Per quel che riguarda i negoziati tra i vettori e la Commissione europea, si parla ancora di apertura e a quanto pare, le comunicazioni tra il vettore tedesco e l’Europa, sono andata avanti in maniera serrata.

Dobbiamo ricordare che il maggiore problema attualmente da risolvere è quello relativo alle lunghe tratte da Fiumicino verso il Nord America. Su questo tema Lufthansa infatti possiede già accordi di una certa tipologia soprattutto con United Airlines.

Il timore dell’Antitrust europeo è che l’aggiunta di Ita Airways potrebbe mettere a repentaglio la concorrenza. Dobbiamo ricordare allo stesso modo che l’opzione di congelare per due o tre anni l’alleanza in tal senso non è stata considerata sufficiente dall’Europa.

Ottimismo italiano sulle trattative

Non resta quindi che attendere per capire cosa sia cambiato da questo punto di vista. Il ministro Giancarlo Giorgetti sembra mantenere il suo approccio positivo in merito al via libera. Ricordiamo che la fusione è in realtà un’acquisizione per 325 milioni del 41% di Ita Airways, dando potere ai tedeschi di comando nonostante l’essere socio di minoranza.

È anche vero che questo sarebbe solo un primo passo dell’entrata dei tedeschi nel vettore italiano. E che le maggiori problematiche relative alla concorrenza sulle lunghe tratte è anche rappresentato dalla pressione nel settore di Air France.

La compagnia francese, in passato, aveva anche mostrato interesse per la vecchia Alitalia e per la newco. Al netto di tutto ciò quel che bisogna capire e se si è arrivati finalmente a una quadra che consenta davvero di avere una decisione entro il 4 luglio.

Per via delle elezioni europee e i possibili cambiamenti in seno all’intera squadra, i tempi rischierebbero di allungarsi altrimenti. Nell’attesa di avere una risposta bisogna comunque tenere conto delle preoccupazioni dei sindacati. I quali temono ovviamente le ripercussioni occupazionali nel caso in cui il via libera non dovesse arrivare.

BCE taglia i tassi, cosa succede

La BCE taglia i tassi di interesse di 25 punti base. Qualcosa che ormai ci aspettavamo da tempo, date le dichiarazioni dei vari esponenti. Ma cosa cambia realmente per le persone?

Cosa avviene ora con i tagli

Ovviamente il calo del costo del denaro può avere impatto sulla vita delle persone. La vera domanda che dobbiamo porci è se questo piccolo passo indietro avrà conseguenze rilevanti per milioni di cittadini europei. È innegabile che qualsiasi mossa la BCE faccia in tal senso avrà poi impatto sui vari ambiti economici e finanziari.

Prendiamo ad esempio i mutui a tasso variabile. Senza dubbio l’aumento del costo del denaro nell’ultimo anno ha colpito in maniera decisamente dirompente questo ambito finanziario. Portando in alcuni casi i cittadini a maledire la BCE per questa sua politica monetaria troppo restrittiva. Ora che il taglio è stato eseguito cosa cambierà effettivamente?

Poco e niente in realtà. Perché un taglio di 25 punti base porta a pagare semplicemente 18 euro in meno di media. E se calcoliamo che in questi mesi i firmatari di mutuo hanno visto aumentare la propria rata di oltre il 60%, per sentire effettivamente il cambio di rotta saranno necessari ulteriori tagli.

Chi vuole sottoscrivere mutui a tasso fisso invece troverà condizioni ancora più favorevoli rispetto a quelle di questi ultimi quattro mesi. Soprattutto se è intenzionato a eseguire una surroga. A ogni modo la BCE, ora che ha intrapreso questo percorso, dovrà essere in grado di portarlo avanti con giudizio.

Cosa farà la BCE

Nonostante l’intervento, infaatti, non dobbiamo dimenticare che l’obiettivo è quello di riportare l’inflazione al livello ideale del 2%. E la strada, nonostante tutto, è ancora lunga.

Quello che dobbiamo chiederci è cosa succederà dopo questo taglio di giugno. Ci sarà abbastanza forza e i dati consentiranno di continuare con la discesa a luglio? Nonostante la decisione presa oggi infatti sono molte le probabilità che vedranno la BCE prendersi un’ulteriore pausa dai tagli il mese prossimo.

Non c’è altra soluzione che continuare a decidere man mano in base ai dati. Soprattutto in un ambito in cui la BCE decide di fare da apripista, rischiando anche un indebolimento dell’euro. È innegabile che il taglio sia avvenuto anche per le pressioni che la BCE ha subito lasciando troppo spazio al dibattito sul taglio. A ogni modo la risalita delle posizioni inflazionistiche non darà un ampio margine di tagli per il 2024. Secondo la maggior parte degli analisti il costo del denaro potrà essere abbassato da un minimo di due a un massimo di tre volte.

Lo spazio di manovra è più piccolo di quello che si possa credere . Almeno al momento.

Bitcoin e il portafoglio di “Michael” craccato

Quando si parla di bitcoin e di password di portafoglio la storia di Michael viene da sempre portata come esempio di necessità di conservare bene le proprie chiavi d’accesso.

Bitcoin che sembravano essere perduti

La sua storia è famosa perché, dimenticandole, non ha avuto accesso per anni ai Bitcoin di sua proprietà. Almeno fino a ora. Visto che qualcuno è finalmente riuscito a craccare il suo wallet. Non si pensava fosse possibile e dobbiamo dire la verità: eravamo tutti convinti che l’uomo non sarebbe mai stato in grado di ritornare in possesso delle sue criptovalute. Eppure è successo.

A raccontare l’accaduto è stato un ingegnere hardware tra i più famosi, ovvero Joe Grand. Sono stati lui e un suo collaboratore a riuscire nell’impresa sfruttando, in pratica, una vulnerabilità di Roboform del 2013.

Questa storia non ci dà solo spunto per poter far battute sull l’avvenimento, ma ci fa capire come la sicurezza, da ogni punto di vista per quel che riguarda Bitcoin, sia fondamentale. Michael, di cui non conosciamo il cognome per motivi di privacy, è stato molto fortunato ad avere incontrato dei professionisti nel loro settore capaci di riuscire in questa impresa.

Non scherziamo quando sottolineiamo che la sua storia da anni viene portata come esempio di come non gestire un wallet. Certo, il tempo in qualche modo ha anche lavorato per lui dato il valore attuale di Bitcoin, ma fino a poco tempo fa i suoi 43,6 bitcoin erano bloccati.

L’uomo aveva originato, attraverso un gestore di password, una password complessa di 20 caratteri per proteggere i suoi bitcoin. Il codice era stato salvato in un file di testo memorizzato in un volume virtuale, crittografato attraverso il programma Truecrypt.

Le capacità di Joe Grand

Il problema è nato proprio con il danneggiamento di questo contenitore e la conseguente impossibilità dell’uomo di accedere ai suoi fondi. Quando sottolineiamo che la sua fortuna è stata l’esistenza di un ingegnere come Joe Grand non scherziamo. Parliamo di un hacker etico e quindi di una persona che mette a disposizione le sue capacità per proteggere e non per rubare.

Dobbiamo sottolineare che inizialmente l’uomo aveva rifiutato la proposta di Michael. Solo successivamente ha deciso di aiutarlo a craccare la password. E questo è stato possibile perché l’uomo si è accorto di una potenziale vulnerabilità del generatore di password. Basandosi su quella ha ricostruito la versione utilizzata nel 2013 dall’uomo.

Per farla breve è riuscito a individuare il meccanismo necessario a recuperare la password. Mettendo di nuovo nelle mani del suo possessore dei Bitcoin che sembravano essere perduti. Ovviamente, per il suo lavoro, è stato ricompensato.

Lufthansa rinuncia all’accordo con Ita Airways?

Lufthansa sta pensando di abbandonare l’accordo con Ita Airways? La speranza, soprattutto per la compagnia è che anche in questo caso si tratti di chiacchiere prive di fondamento.

Lufthansa stanca della situazione?

Bruxelles, è certo, ha le sue idee in merito ai canoni ai quali Lufthansa e Ita Airways debbano rispondere per quel che concerne il loro accordo. E da quel che si evince da fonti stampa, anche l’ulteriore offerta di tagli alle rotte sarebbe considerata non sufficiente.

E non stupisce se fossero veritiere le richieste emerse che vorrebbero minimo il 30% degli slot ceduti a Linate. Siamo in un momento molto difficile. Se l’accordo tra i teutonici e gli italiani dovesse andare a buon fine vi sarebbero conseguenze ottimali soprattutto per gli italiani. Non viene, quindi, esclusa la richiesta di una proroga. Ma è anche abbastanza evidente che Lufthansa stia in qualche modo soffrendo queste difficoltà.

Soprattutto perché, come si sa, la Commissione europea, soprattutto a lei sta richiedendo dei sacrifici non indifferenti, soprattutto per quel che concerne le tratte intercontinentali. Per via proprio del suo network con Air Canada e United Airlines.

Da quel che si racconta sarebbe la prima volta che i tedeschi pensano a un tirarsi indietro. Anche se dobbiamo sottolineare, allo stesso tempo, che Lufthansa in questa alleanza ci crede. Basti pensare al corteggiamento lunghissimo anche ai tempi del commissariamento della vecchia Alitalia.

Il punto sostanziale è uno: ulteriori tagli sul lungo raggio per Francoforte sarebbero impossibili da sostenere economicamente. E il gioco, ovvero l’accordo con Ita Airways, non varrebbe più la candela.

Cosa accadrà ora

Il motivo è evidente. Una riduzione dei ricavi sul lungo raggio sarebbe di gran lunga superiore ai benefici legati alla fusione con la compagnia di bandiera del nostro paese.  Nessuno ha specificato numeri ufficiali, ma i media specializzati arrivano a ipotizzare anche potenziali perdite di diverse centinaia di milioni in materia di profitti. E non dobbiamo ignorare il grande elefante rosa nella stanza.

Quale? Con molta probabilità tutta questa pressione in materia di concorrenza è sostenuta dalle low cost che temono il rafforzamento di Ita Airways sia sul mercato nazionale che internazionale. E anche da Air France che non vuole una leadership tedesca nei cieli.

Cosa possono fare ancora quindi i due vettori? Secondo l’Antitrust europeo dovrebbero lavorare maggiormente sugli slot di Linate e sulle rotte a lungo raggio. Trovare un compromesso sembra essersi fatto molto più difficile. Sarà interessante vedere se Ita Airways e Lufthansa vorranno davvero portare a casa l’accordo. Quanto sono davvero disposte a mettere sul tavolo?

Amazon e Telefonica, accordo per cloud 5G

Amazon entra nel mondo delle telecomunicazioni grazie a Telefonica. Riuscendo in un impresa che a nessuno era davvero riuscita prima.

L’accordo tra Telefonica e Amazon

Per quanto non possa sembrare qualcosa di rivoluzionario il fatto che Amazon con il proprio servizio cloud riesca a entrare nel mondo del 5G non è un evento che deve essere preso sottogamba. E non solo perché dimostra che ancora una volta, forse anche forte del proprio fatturato, Amazon non abbia paura a esplorare nuovi settori.

Il suo “buttarsi” in quello delle telecomunicazioni di certo sarà in grado di lasciare il segno. Anche solo per la straordinarietà dell’evento. Le aspettative sono molto alte in tal senso. Ma per comprendere quanto sia importante bisogna capire cosa sta accadendo di preciso.

L’azienda ha firmato un accordo con 02Telefonica, attraverso la sua Amazon Web Services per la gestione della rete principale 5G di Telefonica Germany. Si tratta di un passo in avanti in ambito tecnologico per tutte e due le società.

Per Amazon si parla di un debutto con il botto all’interno del mercato mondiale delle telecomunicazioni, con tutto quello può occorrere in tal senso. Telefonica, grazie a questo accordo, è il primo operatore che cede la propria rete principale in gestione su un cloud disponibile pubblicamente.

Soprattutto questo ultimo puntò è rilevante. In passato già alcuni operatori avevano tentato questa strada, trasferendo alcune operazioni e l’IT su cloud pubblici. Ma a differenza di ora non erano coinvolti servizi core network quanto alcune operazioni non principali.

Amazon web services, grazie all’accordo con Telefonica, gestirà circa un milione di clienti di quest’ultima che usano il 5g. Ma la collaborazione non si fermerà a questo punto. Dobbiamo sottolineare che Il funzionamento delle attività post accordo verrà monitorato per circa due trimestri.

Utenti in possibile esponenziale crescita

E questo potrebbe trasformarsi, se tutto andrà come necessario, nella crescita del numero di utenti affidato al servizio cloud. I quali potrebbero salire entro il 2025-2026 del 30-40%. Telefonica in Germania ha un bacino di utenza totale pari a circa 45 milioni di persone. Numeri davvero importanti.

Questo accordo sta portando l’azienda di Jeff Besos a diventare ufficialmente l’apripista per altri interlocutori, come ad esempio Microsoft, verso un mercato che potrebbe davvero offrire molto ai suoi protagonisti. Soprattutto pensando che l’attuale contesto vede gli operatori sono sempre molto restii nell’appoggiarsi a cloud di terze parti. Già solo per le preoccupazioni di prestazione legate al funzionamento e alla gestione delle reti.

Solo i prossimi mesi saranno in grado di dimostrare se la scelta di Telefonica sarà stata quella giusta. Se il risultato sarà positivo se ne vedranno davvero delle belle.

Tesla, profitti al minimo dal 2021

Tesla vede diminuire i suoi ricavi in modo sostanziale, per la prima volta dal 2020 e ancor di più di quel che successe in corrispondenza con la pandemia di coronavirus. Un trimestre davvero sofferto per l’azienda di Elon Musk.

Tesla e il primo record negativo dal 2012

È importante contestualizzare tutto questo, visto che Tesla è in pratica il leader americano delle auto elettriche. E per quanto si possa non essere d’accordo con alcune politiche del magnate di Twitter, finora non erano mai stati registrati cali di questa tipologia per quel che riguarda il suo settore automotive. È il primo record negativo registrato dal 2012 e gli utili sono crollati a livelli più bassi dal 2021.

Tecnicamente parlando, sono stati registrati cali del 55% nei profitti e del 9% nel fatturato. Inutile dire che le attese degli analisti sono state deluse. E con esse probabilmente anche quelle dei soci dell’azienda.

Parlando nel corso della conferenza con gli analisti, in merito ai risultati Elon Musk ha sorpreso un po’ tutti. Pur essendo abituati ai suoi colpi di testa, in pochi si aspettavano novità in arrivo. O meglio non se le aspettavano così in anticipo sui tempi.

Il manager ha fatto infatti sapere che la produzione dei nuovi modelli avverrà all’inizio del 2025 se non addirittura alla fine del 2024. Le previsioni di Tesla precedenti collocavano questo particolare evento non prima della seconda metà del 2025. Elon Musk ha parlato anche degli investimenti impiegati nel settore dell’intelligenza artificiale, in ritardo rispetto a una ideale tabella di marcia. Ha anche raccontato di aver instaurato colloqui con una grande causa automobilistica per dare in licenza il proprio sistema di guida assistita avanzata.

In atto riorganizzazione e tagli

In qualche modo il patron di Tesla deve aver convinto i mercati, dato che il titolo ha conquistato un incremento dell’11%. Forse proprio per via della promessa di nuovi veicoli. Si sussurra, tra l’altro, che tra di essi vi sarebbero una nuova vettura a basso costo è un robotaxi.

Ciò non toglie che il titolo stesso rimane a circa un -40% rispetto all’inizio del 2024. Qualcosa, va detto, causato anche dalla frenata mondiale del settore delle auto elettriche, da una concorrenza più elevata e da un certo conflitto a livello di prezzi.

Dobbiamo inoltre calcolare che Tesla, per affrontare la crisi, ha recentemente iniziato una riorganizzazione che prevede il taglio del 10% della forza lavoro in tutto il mondo. Licenziamenti che hanno visto andar via anche due top executive manager.

Tecnicamente Tesla ha registrato profitti per 1,13 miliardi di dollari pari a 45 centesimi per azione, rispetto ai 51 centesimi previsti dalle previsioni.

Tavares: Stellantis non lascia l’Italia

Carlo Tavares, ceo di Stellantis, conferma che il gruppo non ha assolutamente intenzione di lasciare l’Italia. E che notizie di questa tipologia devono essere considerate semplicemente come fake news.

Rassicurazioni di Tavares non sufficienti

Non possiamo non ricordare però che, al netto di parole molto decise in questo caso, il gruppo Italo francese per quanto rassicuri parlando, si trovi al momento a gestire una situazione tutt’altro che rosea a livello lavorativo. Mirafiori ne è il simbolo.

Carlos Tavares non ho mai smesso di ripetere che Stellantis non è intenzionata ad abbandonare l’Italia. Ma va pure sottolineato che, tecnicamente, sembra che davvero poco venga fatto per migliorare la situazione dei lavoratori.

Non possiamo dimenticare le quasi 4000 uscite volontarie incentivate dal gruppo: una condizione che preoccupa sempre di più i sindacati. E a ragione, anche perché accompagnata dalla difficoltà di intavolare trattative risolutive.

Non è una questione di capacità produttiva, come potrebbe sembrare quando Carlos Tavares sottolinea che Stellantis è in grado di concorrere con i cinesi in materia di auto elettriche. Si parla comunque di una realtà decisamente solida nel settore auto. Ciò che perplime le parti sociali riguarda essenzialmente la produzione e gli investimenti. Sono loro il punto debole dell’intera situazione. Per ragioni, tra l’altro, ampiamente esplorate nelle scorse settimane.

Stellantis ovviamente è in grado di rapportarsi alla produzione cinese. Ed è anche in grado di superarla in tema di qualità. Ma è spontaneo chiedersi a cosa porteranno tutte le uscite incentivate nel nostro paese. È l’esternalizzazione l’incubo più grande del comparto occupazionale italiano del gruppo.

Paura di chiusura ed esternalizzazioni

Meno lavoratori può significare meno produzione e meno produzione può rappresentare chiusura. Mirafiori è senza dubbio un impianto importante è valido per la produzione di macchine in Italia. Ma è impossibile non notare come questa concatenazione di eventi poco si sposi bene con le assicurazioni di Tavares in tal senso.

C’è chi dice che vogliamo andarcene dall’Italia”, sottolinea. “Queste sono fake news e le fake news aprono la finestra per fare entrare i cinesi”. Una scusa? Non proprio. È corretto infatti sottolineare che l’arrivo di un competitor possa portare una riduzione della quota di mercato. Anche a chi ha leader in un settore come accade a Stellantis per l’Italia.

Da parte di Carlos Tavares dovrebbero arrivare però a maggiori rassicurazioni rispetto al sottolineare che, in questa tipologia di scontri a livello commerciale, il rischio di produrre cicatrici sia comunque alto. L’Italia non vuole diventare la cicatrice di Stellantis. Soprattutto se questo significa l’avere archiviato la potenziale chiusura di alcuni stabilimenti.

Tim, lo Stato dovrà risarcirla per un miliardo

Una buona notizia per Tim e una pessima per lo Stato italiano. Quest’ultimo infatti è stato condannato in appello a pagare un miliardo di euro all’ex monopolista nelle comunicazioni.

Una buona notizia per Tim

La ragione? I canoni di licenza e più precisamente quelli del 1998 che sono stati indebitamente versati al Ministero dell’Economia. Si parla di 528 milioni di euro più conguagli, interessi e spese legali. Insomma un conto salato che la Corte d’appello del Tribunale civile di Roma ha consegnato direttamente allo Stato. Nello specifico a pagare sarà la Presidenza del Consiglio dei ministri costituita in giudizio e difesa dall’avvocatura di Stato.

Anticipata da Bloomberg la notizia è stata capace di far crescere il titolo di Tim in borsa del 5,19%. Una vera e propria manna dal cielo se si pensa a ciò che le azioni di Tim hanno passato in queste ultime settimane a causa del nuovo piano industriale. E ovviamente alla previsione di cessione della rete al fondo KKR. Soldi che in qualche modo potranno forse aiutare Tim ad abbassare i propri livelli di debito?

A ogni modo Palazzo Chigi ha già annunciato la richiesta di sospensione del pagamento, immediatamente esecutiva e il ricorso. A prescindere da come finirà realmente questa situazione, si tratta di una storia che dura da 25 anni e rappresenta una pessima pagina di storia italiana.

La storia di questo “scontro”

Anche perché è una delle prime volte in cui viene condannata la Presidenza del Consiglio per via di una sentenza del Consiglio di Stato ritenuta sbagliata. Telecom si trovò 25 anni fa costretta a versare il canone di licenza per via di leggi nazionali che prorogarono l’obbligo di pagamento di un anno, nonostante l’Europa con una direttiva del 1997 lo avesse annullato. Tim ricorse al Tar del Lazio che spostò la questione alla Corte di Giustizia europea, la quale nel 2008 diede ragione alla società.

Cosa succede però? Il Tar decise di dar ragione al Ministero del Tesoro e di conseguenza Tim ricorse in appello. Il Consiglio di Stato nel 2009 confermò la sentenza del Tar e dal punto amministrativo la faccenda si concluse. Questo non accadde però in sede civile, dove Tim chiamò in causa Palazzo Chigi “per violazione manifesta del diritto comunitario dei magistrati del Consiglio di Stato” in base alla legge n.117 del 1998.

Da qui continua un iter lunghissimo, formato dalla necessità di dichiarare l’ammissibilità della competenza del Tribunale. Prima la richiesta della società venne considerata inammissibile. Poi in appello ribaltata. Nel 2015 la sentenza di primo grado considerò inammissibile la domanda dell’ex monopolista, la quale fece nuovamente ricorso.

La sentenza attesa per l’aprile del 2019 venne man mano rinviata fino a ora. Momento in cui la Corte d’appello di Roma ha dato ragione alla società di telecomunicazioni. Quei soldi non dovevano essere pagati.

Tassi di interesse, calo a giugno per BCE?

Per quel che riguarda i tassi di interesse la BCE sarebbe intenzionata ad abbassarli a partire da giugno. Almeno è questo e quello che ha fatto intuire la presidente Christine Lagarde.

Pronti a calo tassi di interesse

Una decisione che non segue, per la prima volta, quello che accade in America dove la Fed ha deciso ieri di lasciare invariati i suoi tassi di interesse e rimanere più guardinga rispetto al da farsi. Soprattutto a causa dell’ancora alta inflazione.

La BCE decide di fare differentemente, sebbene non escluda che l’inflazione possa farsi risentire. Questo perché a Francoforte si pensa che le proiezioni economiche di giugno daranno un quadro molto più favorevole al taglio dei tassi di interesse rispetto a quello attuale. Soprattutto dopo dieci aumenti del costo del denaro. La presidente della Banca centrale europea sottolinea che se questi dati riveleranno un sufficiente allineamento tra le loro proiezioni e l’andamento dell’inflazione di fondo, la politica monetaria potrebbe diventare meno restrittiva.

Allo stesso tempo Christine Lagarde ha però confermato che, come sempre, le loro decisioni saranno collegate ai dati che riceveranno e prese di riunione in riunione. Cosa significa questo? Che anche nel caso in cui i tassi di interesse verranno abbassati un po’ a giugno, non è detto che il percorso della politica monetaria verrà ammorbidito.

Secondo alcuni analisti questa mini apertura sarebbe anche un modo per tenere buono chi all’interno del board della BCE borbotterebbe un po’ troppo per la lunghezza del periodo restrittivo. Strutturalmente non cambia però nulla, dato che l’istituto centrale, prima di ammorbidire la propria linea, deve vedere che tutti i vari elementi siano incastrati come necessario.

Questo significa che la dinamica dei salari deve rallentare, i margini di profitto aziendali devono rimanere compressi e la produttività deve salire per garantire la discesa del costo del lavoro.

Posizione della Fed molto simile

Va sottolineato che, nonostante il mancato abbassamento dei tassi di interesse, la posizione della Fed è molto simile a quella della BCE. Il presidente Jerome Powell ha infatti sottolineato che le decisioni continueranno a essere prese riunione per riunione. Anche se a un certo punto, nel corso del 2024, inizieranno a esserci dei tagli del costo del denaro.

Secondo le previsioni degli esperti, anche in America il primo taglio potrebbe avvenire a giugno. Ma molto sarà legato a quelli che saranno i prossimi dati economici. Altri pensano che luglio sarà il mese più adeguato per via di una ancora mancante fiducia nella traiettoria di calo dell’inflazione. I dati di gennaio e febbraio 2024, infatti, non sono stati positivi dal punto di vista inflazionistico.

E questo ha portato a rallentare il tutto. Soprattutto perché, sottolinea Jerome Powell, se il costo del denaro viene ridotto troppo presto, il rischio è quello che l’inflazione risalga alle stelle. Danneggiando tutto ciò fatto finora.

Bitcoin supera i 71 mila dollari

Bitcoin ha superato i 71.000  dollari a inizio di questa settimana. Si tratta di una soglia di valore importante perché apre verso un territorio finora inesplorato con tutte le conseguenze del caso.

Cosa accade con Bitcoin

Una barriera difesa strenuamente dai ribassisti finora. La questione è che non si ha un simile record per quel che concerne Bitcoin dal novembre del 2021, momento in cui non si è interrotta la bull run di quel periodo. Attualmente questa fase in atto viene tecnicamente chiamata di “price discovery“. E necessita di essere approcciata al meglio.

Il valore di mercato di Bitcoin è salito a 1400 miliardi di dollari grazie all’accelerazione del valore iniziata nel 2023 e continuata in modo costante da gennaio. Solo nel 2024 è stata registrata una crescita del 70%, che ha portato la valuta a superare anche la capitalizzazione dell’argento pari attualmente a 1382 miliardi di dollari.

Il Bitcoin, salendo di valore, sta trainando anche le altre valute. Ethereum, ad esempio, si trova ora a un prezzo superiore ai 4.000 dollari. Attualmente la stima riguardante il valore di tutto il settore delle cripto parla di una capitalizzazione totale di 2600 miliardi. Come ha ricordato Il Sole 24 ore, in tal senso parliamo dell’equivalente della capitalizzazione del titolo della Apple.

Nel novembre del 2021 quando si è conclusa la bull run di Bitcoin, si è passati da un controvalore di settore pari a 3000 miliardi a uno di 1000 miliardi, alla fine del 2022, con la conclusione del bear market.

Halving momento importante

È importante capire la storia passata della valuta per comprendere perché stia salendo. Va detto che in questo momento ad avere un effetto importante vi è anche il lancio degli ETF spot a Wall Street. Questo prodotto finanziario sta lanciando moltissimo gli investimenti relativi la criptovaluta. La domanda di questo specifico prodotto, infatti, non solo è più alta delle aspettativema ha fatto già raccogliere 10 miliardi di dollari netti tra deflussi e flussi.

Una domanda importante che tra l’altro sta avvenendo in prossimità dell’halving di Bitcoin. Attualmente ne vengono creati 900 al giorno che passeranno a 450 dopo il dimezzamento obbligato. Anche questo fattore avrà conseguenze sulla domanda perché sosterrà uno squilibrio con l’offerta.

Non bisogna inoltre sottovalutare quello che sta succedendo con la liquidità per via della Fed e della sua politica monetaria restrittiva. Soprattutto perché nonostante il blocco del quantitative easing e la riduzione dei titoli in portafoglio della Federal Reserve, l’espansione del deficit sta andando contro il calo della liquidità in circolazione.

Fattore questo che aiuta gli investimenti attualmente in atto in Bitcoin.

Tassi di interesse, BCE verso nuovo stop

In materia dei tassi di interesse anche la BCE si avvicinerà presto a un nuovo stop. Ma se parliamo di tagli, la questione è ancora tutta da decidere. Analogamente a quel che sta accadendo negli Stati Uniti.

Al momento non pensabile taglio dei tassi di interesse

Un taglio dei tassi di interesse è la notizia che molte categorie vorrebbero sentire. Il punto è che la attuale politica monetaria continua a essere necessaria, se si vuole raggiungere l’obiettivo del 2% per quel che concerne l’inflazione. E decidere quale sia il momento giusto per agire con eventuali tagli non è semplice.

Manca qualche giorno alla prossima riunione del Consiglio direttivo e da piccole indiscrezioni stampa i tassi di interesse permangono essere il fulcro della discussione. Soprattutto perché i dati raccontano che è consigliabile mantenere alta la concentrazione sull’inflazione e su come sistemarla. E lo ripetiamo: una politica monetaria restrittiva è quello che tecnicamente serve.

Sono molti gli investitori internazionali che richiedono un taglio dei tassi di interesse. Ma la BCE sembra voler prendere tempo.  E a ragione, pensando a cosa c’è in gioco. Valutando come sempre i numeri e i dati provenienti dal mercato. Soprattutto perché l’inflazione rimane alta per quel che concerne i servizi e perché esiste un avvitamento nel rapporto tra prezzi e salari che richiede prudenza.

A eseguire una possibile previsione, i tassi di interesse dovranno rimanere a questi livelli almeno fino a giugno 2024.

Dobbiamo pero sottolineare che sia normale che i mercati finanziari richiedano il taglio dei tassi. In questo modo sarebbe possibile evitare che il rallentamento generale registrato dall’Eurozona si trasformi in recessione. Il pericolo è stato scampato nel 2023: sarà possibile fare lo stesso nel 2024?

Per la BCE, in attesa di nuovi dati, è meglio attendere per capire quale sia l’evoluzione dei prezzi. E per ogni prodotto presente nell’Eurozona. Dello stesso avviso sarebbe anche il presidente della Bundesbank, Joachim Nagel che sostiene come le prospettive dei prezzi ancora non siano chiare.

In attesa di dati migliori

È palese e chiaro: l’inflazione generale sta rallentando, scendendo al 2,6% a febbraio. Ci si aspettava di più però. Senza contare che il dato core, è ancora sopra il 3%. Insomma, vi è ancora molto da fare. Le posizioni a Francoforte sono eterogenee. Ecco quindi che c’è chi sostiene che sia necessario tenere ancora duro per quel che concerne il costo del denaro e chi vuole iniziare a parlare di riduzione.

È considerabile accettabile iniziarlo a fare già dalla prossima riunione? Non proprio. Anche se alcuni analisti si aspettano un comportamento “kamikaze”  da qualcuno che chiami in discussione il taglio dei tassi di interesse. Nonostante si pensi che nessuno avrà il coraggio di proporre date al riguardo.

Uno dei maggiori problemi da affrontare è che non vi sono sicurezze importanti al momento. Ragione per la quale, per la quale sembra abbastanza condivisibile la posizione del presidente della BCE Christine Lagarde di attesa. In modo tale da capire come muoversi mantenendo il più possibile la stabilità dei prezzi.