Investire correttamente nei bond islamici

Da quando la crisi finanziaria ha investito le economie mondiale, l’avversione al rischio è divenuta un tema fondamentale per risparmiatori e investitori: nel corso del 2011, i sukuk e i bond regionali hanno conquistato sempre maggiore popolarità, con le domande in grado di oltrepassare di parecchio le offerte messe a disposizione, specialmente quando le quotazioni sono state garantite da bilanci solidi. Un esempio molto interessante si è avuto due settimane fa, quando l’Indonesia ha emesso il suo terzo sukuk sovrano.

Il nervosismo finanziario globale non è terminato, di conseguenza il debito dei paesi del Golfo attrae e gli ultimi flussi lo stanno chiaramente a testimoniare. Come ha messo in luce il Sovereign Wealth Fund Institute, i bond islamici emessi da paesi mediorientali rappresentano il 35% del totale, ma nazioni come il Kuwait, il Qatar e l’Arabia Saudita, senza dimenticare l’Oman e gli Emirati Arabi Uniti, stanno provvedendo a incrementare le loro promozioni. D’altronde, le aspettative parlano di bassi tassi di interesse, quindi la popolarità crescerà ancora in futuro. Ma qual è l’esatto obiettivo a cui puntano gli investitori in sukuk? Fare affidamento su una struttura economica che rispetta la legge della Shariah non significa che il capitale degli strumenti è garantito al 100% o che si tratta di qualcosa di più sicuro rispetto ai titoli obbligazionari convenzionali.

I sukuk assomigliano parecchio ai bond e dunque sono influenzati dagli stessi fattori di rischio, come quello del tasso di interesse. Se quest’ultimo sale, il valore del bond islamico scende e viceversa. Gli investitori, inoltre, dovrebbero prestare molta attenzione alla qualità del credito degli emittenti. Un esempio importante in questo senso ci viene offerto dal default tecnico avvenuto verso la fine del 2009 e che ha coinvolto l’emissione di Nakheel (quattro miliardi di dollari per la precisione), eventi che sono in grado di peggiorare la fiducia e il sentimento complessivo.

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