Pensioni minime, aumento di 3 euro

L’aumento delle pensioni minime previsto dalla Manovra 2025 è pari a circa 3 euro. Di certo non è difficile chiedersi perché la notizia abbia creato tanto scalpore.

Come si è arrivati a questo intervento sulle pensioni

La coperta dei fondi nella Legge di Bilancio potrà essere anche corta. Ma preventivare un aumento di 10 centesimi al giorno non basta a far sostenere che si sia lavorato in modo sufficiente sulle pensioni. E se si fanno battute su un’impossibilità di scialacquare con questi aumenti in parte lo si fa per sdrammatizzare.

Chissà cosa si pensa che possa esser fatto con 3 euro in più sull’assegno. Dato che si parte da un assegno di 614,7 euro per arrivare a 617,9 euro. È bene tener da conto contestualmente che l’inflazione per i beni al largo consumo si trova all’1%. E a conti fatti quasi viene perso del potere d’acquisto.

Volendo scendere più nello specifico come ha fatto anche Il Fatto Quotidiano, il testo della manovra in tal senso è anche abbastanza complesso da comprendere. Dato che si rimanda a quello che era scritto nella Legge 197 del 2022, nella quale veniva indicato un aumento straordinario del 2,7% nel 2024 per rispondere agli aumenti portati dall‘inflazione.

Reazioni di sconforto e sarcasmo

Legge vuole che questo aumento per il 2025 sia fissato al 2,2% per poi scendere all’1,3% nel 2026. La cosa divertente, tecnicamente parlando, è che l’aumento nella manovra viene calcolato sulla base precedente all’aumento del 2022. Questo porta quindi le pensioni minime, per l’appunto, ad aumentare di 3 euro a mensilità. Tra l’altro, va sottolineato, che questo provvedimento della Manovra praticamente dimezza l’aumento da 6 euro esistente portando quindi nelle Casse dello Stato un risparmio di 5,4 milioni di euro al mese.

Sono stati quindi in molti a chiedersi perché si sia agito in tal senso rispetto alle pensioni minime. Per quanto non si voglia entrare nel merito politico della questione, va detto che il tweet pubblicato da Giuseppe Conte, leader 5 stelle, rischia di riassumere quello che pensa chiunque legga questa notizia. Questo perché l’ex premier, dopo aver sottolineato l’esiguità dell’aumento di 10 centesimi al giorno sulle pensioni minime, ricorda quando venivano, proprio dai vertici dell’esecutivo, promesse pensioni minime a 1.000 euro al mese.

In un momento in cui le persone, pensionati o meno, talvolta sono costretti anche a non curarsi proprio per la mancanza di fondi. La maggior parte delle reazioni a questo provvedimento in Manovra è quello di voler evitare di commentare se non con del sarcasmo. E non si può di certo dar torto in tal senso. Sarà però possibile, nelle prossime settimane, aspettarsi manifestazioni e scioperi.

Google, Governo USA vuole “spezzettarla”

Google rischia di essere letteralmente spezzettato da parte del Governo americano per mettere un punto al suo monopolio all’interno del settore delle ricerche online.

Cosa potrebbe accadere a Google

Non è una novità che le diverse amministrazioni statunitensi abbiano focalizzato la propria attenzione sul rispetto della concorrenza da parte di Google. Va detto che si tratterebbe di un tentativo davvero senza precedenti di limitare quella che è forse l’azienda tecnologica più forte al mondo. Rumors a riguardo erano già usciti qualche settimana fa.

A confermare quella che potrebbe essere l’intenzione nel governo americano è il Financial Times online, riprendendo ciò che è emerso da un documento del Dipartimento di Giustizia. Arrivato dopo la vittoria di un caso storico ad agosto dove è stato riconosciuto da un giudice che Google abbia violato la legge antitrust. Fu proprio in quel momento che si iniziò a parlare di un possibile spezzatino di Google. Ora esiste però un documento nel quale sarebbero elencate dettagliatamente le sanzioni che potrebbero essere applicate per questa grande del Big Tech.

Rimedi definiti strutturali e comportamentali che impedirebbero all’azienda di utilizzare il sistema operativo Android, l’app store Play e il browser Chrome per favorire il proprio motore di ricerca rispetto agli altri. Tra le possibilità prese in considerazione vi è anche quella che Google condivida i propri dati di ricerca con le sue concorrenti. Limitando, tra l’altre cose, i suddetti per l’addestramento di prodotti e modelli basati sulla intelligenza artificiale generativa.

Pronte sanzioni di diversa tipologia

Il giudice Mehta, al quale il caso è stato affidato, potrà contare su questo documento di ben 32 pagine depositato dal Dipartimento di Giustizia per la sua decisione. Al suo interno è infatti contenuto sia un rimedio iniziale che quelli da applicare per arrivare alla seconda fase dove le sanzioni dovranno essere applicate.

Lo scorso agosto è stato riconosciuto come Google abbia speso miliardi di dollari per dar vita ad accordi esclusivi capaci di mantenere il monopolio illegale sulle ricerche. Una sentenza simile si ebbe 24 anni fa quando il Dipartimento di Giustizia ottenne una sentenza di scioglimento per Microsoft. In quel caso l’accusa era quella di aver soffocato illegalmente la concorrenza e la sentenza fu annullata un anno dopo.

Se Google fosse costretta a spezzettarsi per via della sentenza antitrust ci troveremo davanti a un avvenimento senza precedenti. Sarà interessante vedere cosa Google sarà pronta a depositare come proposta nella seconda fase del processo. Cambiamenti così epocali non devono essere presi sottogamba. Avrebbero infatti conseguenze devastanti non solo per gli utenti ma anche per l’occupazione.

Microsoft pronta a grande investimento in Italia

Microsoft è pronta a investire in Italia. Per una cifra che fa davvero girare la testa: ha promesso ben 4,3 miliardi di euro nei prossimi due anni. Per uno scopo, tra l’altro, ben preciso.

microsoft

Cosa intende fare Microsoft

Parliamo di intelligenza artificiale e delle sue infrastrutture e della capacità cloud nel nostro paese. Due elementi effettivamente necessari, soprattutto il secondo. La soddisfazione è stata così ampia che la premier Giorgia Meloni ha incontrato il presidente Brad Smith, sottolineando con soddisfazione l’accordo che darà modo di “consolidare il ruolo dell’Italia come hub digitale nel Mediterraneo”.

Sia per l’indotto che per altre motivazioni è decisamente importante che grandi aziende investano nel nostro paese. E Microsoft è senza dubbio una delle più importanti e solide. L’Italia da questo punto di vista, ovvero per ciò che concerne l’informatica e tutto ciò che ne consegue sta tentando di non rimanere indietro. Microsoft è uno dei big tech che più stanno guardando all’Italia per alcune sue nicchie di mercato. Potremmo fare anche l’esempio di Elon Musk e della sua Starlink.

Per quanto riguarda Microsoft si parla anche di un possibile interesse o sostegno proveniente da Blackrock, uno dei fondi americani più ricchi e attivi nel nostro paese. Le ultime voci vogliono che sia interessata a introdurre la sua presenza anche per quel che riguarda la privatizzazione di Ferrovie dello Stato.

Tutto per creare occupazione e prosperità

Palazzo Chigi ha sottolineato che l’incontro con il capo di Microsoft faceva parte di una “serie di contatti presi dal presidente Giorgia Meloni con esponenti del settore dell’innovazione”. Prescindendo da qualsiasi proclama, va detto che per quel che concerne il settore specifico, un investimento da parte di Microsoft potrebbe rivelarsi decisamente importante non solo dal punto di vista tecnico, ma anche dal punto di vista occupazionale.

La Presidenza del Consiglio sottolinea che un maggiore impegno dell’intelligenza artificiale potrebbe dare alle imprese e alle forze lavoro, nonché al Governo italiano tutti i mezzi per “costruire un’economia […] che crei occupazione e prosperità”.

Di certo un investimento così imponente come quello rappresentato dai 4,5 miliardi di euro da parte di Microsoft potrebbe davvero favorire l’indotto di competenza. Soprattutto in un momento nel quale la Penisola ha bisogno, anche per la sua transizione green, di ampliare l’operatività in questo specifico settore.

Di certo queste che al momento sono parole devono tramutarsi in fatti. Soprattutto per quel che concerne le infrastrutture legate all’intelligenza artificiale che, attualmente, non sono particolarmente brillanti sul nostro territorio. Con la speranza che Microsoft non venga considerata, come già accade da parte di alcuni complottisti, come il male sul territorio piuttosto che come una opportunità.

Stellantis, si pensa ad alternativa a Tavares

A Stellantis pensano a un’alternativa al ceo attuale, Carlos Tavares. È prevista infatti per ottobre una riunione del consiglio di amministrazione nella quale discutere di un suo eventuale successore.

Stellantis pensa in anticipo al cambio

Carlos Tavares è a capo di Stellantis dal 2021 e, a dare la notizia di questo cambiamento in corso, è stata la stessa azienda. La quale ha sottolineato che non ha nessuna fretta di eseguire il cambiamento, ma di voler semplicemente saggiare le diverse opzioni con largo anticipo.

La chiusura del rapporto lavorativo tra Stellantis e l’attuale amministrazione delegato è infatti prevista per il 2026. L’azienda sottolinea che non sono previsti cambi improvvisi, scossoni di nessun genere e lo stesso John Elkann ha confermato di non voler lanciare segnali di tipo preoccupante al mercato.

Una spiegazione potenzialmente credibile se non fosse che per il prossimo 18 ottobre Fim, Fiom e Uilm hanno proclamato uno sciopero lanciando un vero e proprio allarme per ciò che riguarda Mirafiori e la produzione delle auto in Italia.

Non si può infatti far finta di non vedere come, rispetto a settembre del 2023, vi sia stato un calo di oltre il 70% delle macchine assemblate. E anche di come Mirafiori, nel torinese, stia passando un periodo di crisi molto intenso. C’è il rischio infatti che siano ben pochi i giorni lavorativi per una buona porzione degli operai, non protetti dal contratto di solidarietà.

Tornando alla questione dell’amministratore delegato, nonostante le dichiarazioni, secondo Bloomberg il presidente John Elkann non sarebbe soddisfatto di come l’azienda sia stata gestita da Carlos Tavares. Soprattutto negli Stati Uniti dove è avvenuto un rallentamento molto importante degli ordini pari al 18%.

Azienda in periodo di transizione turbolento

Tavares lo scorso luglio ha ammesso che Stellantis stia affrontando attualmente “un periodo di transizione molto turbolento”. Un eufemismo se si pensa a ciò che sta avvenendo anche in Italia. E se le sue previsioni parlano di una ripresa entro la seconda metà di quest’anno, mancano comunque dati consolidati a riguardo. E alcune situazioni, come quelle italiana, parlano da sole.

L’America è importante perché al momento è quello il mercato sul quale il gruppo Stellantis riesce a guadagnare di più. Il consiglio di amministrazione di ottobre si riunirà ad Auburn Hills, nei pressi di Detroit dove l’azienda ha una sede.

E la ricerca di un nome di profilo altissimo per la sostituzione di Carlos Tavares è all’ordine del giorno. Nella nota inviata all’AFP da Stellantis si legge che “a poco più di un anno dalla fine di un contratto quinquennale […] è abbastanza normale che un consiglio di amministrazione esamini l’argomento con la necessaria anticipazione”. Sottolineando l’importanza della posizione e senza dar vita a polemiche.

Unicredit compra il 9% di Commerzbank

Unicredit ha acquisito il 9% di Commerzbank, attraverso una partecipazione azionaria. Potrebbe questo diventare un primo passo per simili operazioni da parte di altri istituti europei?

unicredit blocca dividendi fino ottobre

Investimento importante di Unicredit

È questo ciò che pensano diversi esperti. Analizzando l’operazione dal punto di vista tecnico, il 4,49% del 9% acquisito da Unicredit è stato acquistato attraverso un’offerta di accelerated book building condotta per conto “della Repubblica federale di Germania in linea con l’intenzione di quest’ultima di ridurre la propria partecipazione” all’interno di Commerzbank. La percentuale restante è stata invece ottenuta attraverso operazioni di mercato. E stata la stessa banca guidata da Andrea Orcel a rendere nota l’acquisizione prima dell’apertura dei mercati.

L’Agenzia delle finanze tedesca ha spiegato che Unicredit ha ottenuto il 4,49% del capitale attraverso il pagamento di 13,2 euro per azione.  Per un totale di circa 702 milioni di euro sborsati dall’Istituto di credito. Nella nota condivisa riguardante l’operazione, Unicredit ha evidenziato il proprio supporto agli attuali consigli di gestione e di sorveglianza di Commerzbank. E di essere sostenitrice dei progressi raggiunti finora dall’Istituto per migliorare le proprie performance.

Diventando parte del capitale della banca tedesca Unicredit potrà verificare insieme a questa quali sono le possibilità di creazione di valore per gli stakeholder di entrambe le banche europee. L’istituto di Andrea Orcel ha inoltre sottolineato che qualsiasi decisione che verrà presa in quanto a investimenti e legata alla partecipazione, sarà collegata anche a quelli che sono i parametri finanziari severi di Unicredit.

Quest’ultima ha fatto inoltre sapere che, se lo riterrà necessario per la sua crescita, chiederà alle autorità competenti l’autorizzazione per crescere all’interno dell’istituto. Per superare la soglia del 9,9% del capitale.

Soddisfazione del governo tedesco

Anche il governo tedesco ha espresso soddisfazione per la conclusione dell’operazione, evidenziando come Commerzbank sia ora in grado di potersi sostenere con le proprie gambe. Motivazione per la quale è occorsa questa prima vendita parziale del capitale in mano al governo tedesco.

Dobbiamo ricordare che, nonostante questa cessione, l’esecutivo teutonico rimane il principale azionista della banca. Unicredit ha spiegato che l’acquisto della partecipazione è parte nelle sue strategie di crescita. E che l’investimento stesso è ampiamente avvenuto all’interno dei parametri da lei stabiliti. Ha inoltre assicurato che l’operazione non sarà motivo di rallentamento per l’esecuzione di Unicredit unlocked. E dell’impegno nei confronti di tutti gli azionisti al raggiungimento di una crescita sostenibile e redditizia.

A livello tecnico, l’acquisizione ha un impatto sul Cet 1 ratio di Unicredit pari a circa 15 punti base. Unicredit ha comunque assicurato che non avrà conseguenze sull’attuale politica di distribuzione. Nota curiosa: l’operazione spegne del tutto le indiscrezioni che volevano la banca di Orcel pronta ad acquistare realtà italiane come Banco BPM.

Volkswagen, chiudono stabilimenti in Germania?

Volkswagen è davvero pronta a chiudere delle fabbriche in Germania? Indiscrezioni parlano di due stabilimenti in territorio tedesco. Ma non solo di questo.

Situazione più che incerta in Wolkswagen

La situazione del gruppo sarebbe particolarmente tragica e presupporrebbe misure drastiche per affrontare una crisi che risente, tra le altre cose, anche della recessione dalla quale l’anno scorso è stata colpita la Germania. L’economia è messa a dura prova e così anche la produzione industriale.

Volkswagen non fa eccezione e per rimanere produttiva deve tagliare i costi e risparmiare. Tra le mosse in previsione anche quella di non rispettare o modificare gli accordi relativi alla tutela dei posti di lavoro fino al 2029. L’eventuale chiusura di due stabilimenti sarebbe riprova della sofferenza della produzione industriale tedesca. Non dimentichiamo che Volkswagen aveva già tagliato dei posti di lavoro, sebbene di tipo interinale non rinnovando i contratti.

Nel 2023, inoltre, era stato presentato un piano di risparmio riguardante 10 miliardi di euro entro il 2026 che prevedeva il taglio dei premi ai dirigenti. Tra i quali era compreso anche Oliver Blume,  l’amministratore delegato. Con molta possibilità ciò che era stato pianificato non è considerabile sufficiente. Questo davanti anche alla posizione del governatore Stephen Weil ed e rappresentanti del lavoro. Questi insieme alla Land bassa Sassonia rappresentano la maggioranza all’interno del collegio sindacale. E non pensano assolutamente ad autorizzare il via libera alla chiusura di due stabilimenti.

Cosa accadrà nei prossimi mesi

Novembre sarà una data importante in tal senso, visto che verrà presentato il nuovo piano degli investimenti di Volkswagen e potrebbero saltar fuori i nomi di quelle fabbriche che navigano in cattive acque. Tecnicamente parlandom Volkswagen vuole portare gli utili del gruppo al 6,5%. Al momento ha raggiunto solo il 2,3% per via dei grandi costi che è costretta ad affrontare. Per comprendere la gravità della situazione Peugeot e Stellantis presentano dati migliori da questo punto di vista.

Altra criticità è che il gruppo tedesco presenta tali dati nonostante i 16,6 miliardi di utili in termini assoluti registrati. È possibile dare la colpa all’inflazione o alla crescita più bassa in Europa. Nel settore automotive inoltre bisogna tenere conto della concorrenza cinese, soprattutto per quel che riguarda le auto elettriche. C’è necessità di stare al passo e al momento Volkswagen non riesce a farlo.

Tra le ipotesi di taglio vi è anche quella del prepensionamento del personale e scivoli di rilevante importanza. Ma non vi è molta certezza sulla possibilità di funzionamento di questa soluzione. Starà quindi a Volkswagen fare di tutto per proteggere l’occupazione e al contempo far crescere gli utili.

Sas cresce e chiude con Air France-Klm

Sas cresce e chiude l’accordo di acquisizione con Air France-Klm e la sua cordata. Dopo un recupero incredibile del proprio bilancio in soli due anni.

Come Sas ha evitato la bancarotta

Sas è riuscita in qualcosa nel quale non molti riescono: evitare la bancarotta. Il vettore scandinavo è infatti riuscito a uscire dalla procedura Chapter 11 negli Stati Uniti, quella legata alla dichiarazione di fallimento. Un obiettivo raggiunto grazie a un bilancio consolidato e dei nuovi proprietari. In una nota il vettore ha spiegato che ci sono voluti due anni per risanare oltre 2 miliardi di debito. Come? Cedendo parte della flotta e delistando il proprio titolo. Cancellando, in pratica, le quote di 250 mila ex proprietari.

Un cambiamento davvero importante per Sas che, stravolgendosi, è riuscita a sistemare i proprio problemi. In una nota concernente gli utili del vettore, Sas ha evidenziato di essere una “società finanziariamente solida, con una struttura di capitale rafforzata e una notevole liquidità”. Sempre nel testo è stato spiegato come siano stati i forti tagli ai costi a dar modo all’azienda di aumentare la propria redditività mensile. Trovando allo stesso modo nuove opportunità valide di crescita.

Il ceo Anko van der Werff ha ribadito il bisogno, ora,  di andare avanti per completare il processo di trasformazione già in corso. Non dobbiamo dimenticare che, grazie all’uscita di Sas dalla bancarotta, Air France-KLM può perfezionare l’acquisizione della compagnia. I franco olandesi hanno infatti già investito in tal senso circa 144,5 milioni di dollari.

Via libera ottenuto senza problemi

Nessun problema da parte di Stati Uniti e Commissione europea: l’operazione è già stata approvata da entrambe le parti e l’accordo potrà avere effetto immediato dal primo settembre. “Siamo lieti di aver finalizzato questa operazione strategica con Sas e di rafforzare così la nostra presenza sui mercati scandinavi”, ha spiegato in una nota il ceo di Air France-Klm Benjamin Smith. Non mancando di esprimere soddisfazione in merito.

Ricordiamo che l’acquisizione di Sas avviene da parte di Air France-Klm in consorzio con lo Stato danese, Lind Invest e Castelake, due fondi di investimento. La cordata, Stato compreso, detiene quindi al momento l’86,4% del capitale di Sas, per un investimento totale di 1,2 miliardi di dollari.

Non è esclusa la possibilità futura per i franco olandesi di poter incrementare la propria partecipazione fino a divenire azionista di controllo. Qualcosa le cui clausole d’accordo rendono possibile dopo almeno due anni di permanenza all’interno del capitale. Per quel che concerne l’acquisizione, i due vettori firmato accordi di code sharing e cross-marketing per collegare reti e hub.

 

Intelligenza artificiale, necessario investire su formazione

L’intelligenza artificiale sta toccando diversi ambiti lavorativi. Ma fatica a decollare in alcuni. Il problema? Quello più sentito senza dubbio la mancanza di esperti.

I problemi legati all’intelligenza artificiale

E non è una criticità da nulla, se pensiamo che sono moltissime le aziende che vogliono investire in tal senso ma non riescono nemmeno a trovare tutte le unità necessarie per la gestione di questo ambito. Si è parlato tanto di intelligenza artificiale per quel che concerne la possibilità che togliesse del lavoro.

In questo momento di transizione digitale, in realtà il vero problema sta nel fatto che non vi siano abbastanza persone per poter affrontare il cambiamento. E questo mette le aziende nella condizione di dover investire sulla formazione di queste figure specializzate. Rimane comunque il fatto che le statistiche ci raccontano che la transizione digitale italiana è a rischio di rallentamento proprio perché manca personale qualificato.

Si parla di circa 699.000 lavoratori necessari, dei quali le industrie sono riuscite a trovarne solo la metà. Attenzione: non si parla solo di intelligenza artificiale, ma anche di Internet of things a livello industriale, data analytics, big data, cloud computing, blockchain, realtà aumentata e virtuale.

Piccole e medie imprese in maggiore difficoltà

Le piccole e medie imprese sono quelle che hanno più difficoltà a coprire questi posti dove le competenze digitali sono necessarie. E se in qualche modo la formazione universitaria o comunque extra scolastica non riescono a fornire il capitale umano necessario, tocca alle imprese cercare di abbattere questo divario. Sono tra il 50% e il 60% di media i posti legati all’intelligenza artificiale che rimangono scoperti per via della mancanza di personale.

Ed è un problema che non si può sottovalutare, soprattutto in un momento in cui in tutto il mondo l’intelligenza artificiale sta prendendo piede. E nell’ambito produttivo la sua applicazione potrebbe essere in grado di dar vita a progetti più specifici e curati in merito a tantissimi settori di prodotto. Soprattutto se unito a un corretto approccio di conoscenza e gestione del consumatore.

Questo per quanto riguarda i beni e i servizi. In campo sanitario, ad esempio, l’intelligenza artificiale è in grado di supportare gli scienziati nella ricerca di nuove molecole adatte a essere utilizzate per specifiche patologie. In questo ambito industriale la mancanza di esperti di intelligenza artificiale rischia davvero di fare danno.

Perché sottolineiamo la necessità da parte delle aziende di fornire loro la giusta formazione? Semplice: perché questo non solo darebbe modo a loro di ricoprire i posti vacanti e quindi di guadagnare di più, ma perché riuscirebbe allo stesso tempo a migliorare la situazione di moltissimi lavoratori.

Dongfeng pronta a produrre in Italia?

Dongfeng produrrà in Italia? Inizia a diventare una domanda lecita, soprattutto dopo il viaggio in Cina del presidente del consiglio Giorgia Meloni.

Cosa vuole fare Dongfeng

Dobbiamo partire da un presupposto: la situazione automotive in Italia è complessa. Soprattutto per via di Stellantis e di quelle che sono le sfide che sta affrontando in questo momento. La necessità di passare a un mercato prettamente elettrico, come era possibile immaginare, sta presentando delle criticità.

La crisi generale della produzione e dell’economia post covid non ha aiutato. Dongfeng rappresenta una gustosa opportunità per il nostro paese. Per quale ragione? Sembra essere disposta a investire in modo cospicuo. A differenza di ciò che sta accadendo con Stellantis. Le promesse e le parole di John Elkann e Carlos Tavares fino a ora non hanno portato davvero molto.

L’occupazione sta vivendo diverse difficoltà, per quel che concerne l’azienda Italofrancese. Ed è comprensibile che l’Esecutivo stia cercando un’alternativa che possa consentire di salvaguardare lavoratori e il comparto. Dongfeng dal canto suo è una di quelle realtà dell’automotive cinese che sembrano non solo essere interessate a investire, ma a farlo in grande. Costruendo il proprio hub europeo in Italia.

Come reagirà Stellantis

Ora per quanto si possa ribattere che, contrariamente a quanto sostenuto quand’era all’opposizione, il Governo appare essere tutt’altro che coerente con la questione cinese, l’idea di attirare specifici investimenti sulla penisola è tutt’altro che sbagliata. Occupazione e produzione ne gioverebbero, a prescindere da quello che potrà decidere di fare Stellantis.

La quale davanti a un possibile impegno di Dongfeng potrebbe anche avere uno scatto di orgoglio e decidere di sistemare finalmente la questione italiana. Dobbiamo sottolinearlo: a essere protagonista dell’azienda di John Elkann è più che altro la cassa integrazione in questo momento.

I cinesi, tra le altre cose, sono interessati a investire nel Sud Italia grazie alle condizioni più favorevoli a livello amministrativo. Ma hanno al contempo adocchiato l’ex impianto Maserati Giovanni Agnelli di Grugliasco nel torinese.

Indiscrezioni stampa vogliono che le trattative tra il Governo italiano e Dongfeng siano a un punto avanzato. Se così fosse davvero, anche calcolando la presenza italiana come quota di minoranza, si tratterebbe di un evento per il settore automotive davvero rilevante e game changing.

Tutto starà a vedere cosa accadrà nei prossimi mesi e se l’accordo verrà davvero firmato. In quel caso se ne vedranno davvero delle belle. È ovvio che la maggiore curiosità riguarda la reazione di Stellantis a tutto ciò. Rimarrà a guardare? Si impegnerà davvero per rimanere al top anche in Italia?

Maserati non verrà venduta

Maserati non verrà venduta. Lo ha sottolineato attraverso un comunicato Stellantis, che mette così la parola fine alle illazioni che si rincorrevano in merito a questo specifico marchio.

Cosa sta succedendo con Maserati

All’interno della nota viene sottolineato come l’azienda non abbia intenzione di vendere Maserati né di aggregarlo ad altri gruppi italiani del lusso. La società conferma l’impegno di tipo incondizionato nel confermare il brand come l’unico di lusso dei quattordici che fanno parte del gruppo. Viene inoltre sottolineato dall’azienda che Maserati si trova al momento in una fase di transizione verso l’elettrico. Come? Attraverso il programma Folgore BEV che verrà completato per quel che riguarda la Grecale e la Gran Turismo da versioni ibride.

Stellantis ha inoltre confermato di essere al lavoro sui successori del Levante e della Quattro porte del marchio. È importante sottolineare che tutta la polemica nata intorno al Maserati è scaturita a causa di un concetto ben preciso espresso da Carlos Tavares. Il ceo di Stellantis aveva infatti ipotizzato che se il marchio non dovesse risultare abbastanza redditizio, l’azienda potrebbe decidere di scorporarlo o cederlo.

Tutti hanno pensato a Maserati ma, come finora ha spiegato, attraverso una nota è stato sottolineato come non sia questo il caso specifico. Ovviamente come accade per qualsiasi brand, non solo nell’ambito automotive, i vari produttori prendono in considerazione cambiamenti nel momento in cui questi risultino fondamentali per il bene generale dell’azienda.

Ciò che si evince dalle risposte ottenute in tal senso sottolinea come al momento l’azienda non sia assolutamente impegnata in un’ipotetica cessione del brand di lusso. Le precedenti dichiarazioni di Carlos Tavares hanno anche causato nelle scorse ore l’invio di una lettera a John Elkann da parte del segretario generale della Uilm, Rocco Palombella. Il quale invece era a favore dell’uscita di Maserati da Stellantis al fine di dar vita a un polo del lusso con Ferrari.

Cosa accadrà nei prossimi mesi

Una decisione, secondo il sindacalista, che avrebbe portato non solo a una valorizzazione delle rispettive caratteristiche qualitative e di mercato ma anche alla salvaguardia dei posti di lavoro. Quella di Maserati è una storia molto particolare che si inserisce in un quadro al momento un po’ burrascoso. Non possiamo dimenticare, infatti, la cassa integrazione degli stabilimenti Stellantis e le difficoltà che alcuni poli di produzione stanno affrontando in Italia.

Con molta probabilità una vendita di Maserati potrebbe portare a conseguenze positive per l’intera azienda. Allo stesso tempo, però, non si può pensare che Stellantis rinunci con leggerezza a un marchio che in passato è stato in grado di risultare estremamente proficuo e redditizio.

Con molta probabilità bisognerà aspettare di vedere nei prossimi mesi come si evolverà la situazione. Per capire, tra le altre cose, se John Elkann possa in tal senso ritornare sui suoi passi.

Stellantis, le promesse di Carlos Tavares

Stellantis torna al centro delle cronache per via dell’editoriale di Carlos Tavares pubblicato su Il Sole 24 Ore. Dove si evincerebbe la volontà di assumere personale per alcuni stabilimenti dell’azienda.

Stellantis è pronta a investire?

È importante sottolineare che è difficile nelle attuali condizioni prendere immediatamente come buona una simile affermazione. Gli ultimi mesi, dove soprattutto a Mirafiori la cassa integrazione si è succeduta per un numero importante di reparti, non consentono di essere ottimisti da questo punto di vista. Come parrebbe essere il manager di Stellantis.

Il ceo dell’azienda ammette che sul tavolo vi sia una sfida delicata da affrontare. E che Stellantis è intenzionata ad affrontare questo periodo storico di trasformazione con responsabilità senza fuggire dalla realtà dei fatti. All’interno del pezzo Carlos Tavares sottolinea come Stellantis si augura di continuare a dimostrare l’impegno nei confronti dell’Italia della propria azienda, continuando a lavorare con passione, responsabilità e professionalità. Ricordando gli investimenti relativi all’estensione della produzione della Fiat Panda a Pomigliano fino al 2029 e della 500 ibrida a Mirafiori.

Nessuno mette in dubbio che siano stati messi in campo degli investimenti. Le parti sindacali sottolineano però, giustamente, che ciò che sta avvenendo negli ultimi tempi non sembra supportare l’occupazione italiana di Stellantis. È vero:  vi sono alcuni stabilimenti in maggiore incertezza rispetto agli altri meno problematici. Ma in generale, tutto ciò non cancella la cassa integrazione in atto e i reparti fermi.

In attesa di risposte per il comparto

Quindi per quanto legittimo sia l’editoriale scritto dal ceo di Stellantis, allo stesso tempo non bisogna stupirsi se vi sono delle risposte non propriamente conformi alle informazioni pubblicate dal quotidiano economico. Soprattutto se giusto recentemente sono state inaugurate nuove linee di produzione di auto elettriche in Serbia. E allo stesso tempo diversi fornitori stanno presentando ricorsi contro l’azienda per via dei prezzi fermi al 2002.

Per Stellantis rimane poi in piedi il discorso gigafactory. Non dobbiamo dimenticare che recentemente è stato bloccato il progetto in Italia. E sia i sindacati che il ministero competente sono in attesa di avere alcune risposte in merito. Anche prendendo in considerazione il polo di Melfi, la cronaca ci mostra come le prossime settimane saranno cruciali per i lavoratori e per il futuro di Stellantis sul territorio italiano.

La promessa presentata all’interno dell’editoriale, di mantenere l’Italia al centro delle attività, sarà rispettata? Si tratta di domande che è necessario porsi, soprattutto a livello occupazionale. Dove un abbandono seppur minimo delle attività avrebbe conseguenze estremamente rilevanti sull’intero comparto.

Tim, venduta la rete. E i dipendenti?

Tim vende la rete che passa a KKR. L’Unione Europea ha benedetto una cessione ricercata da molto tempo. La domanda che sorge spontanea riguarda però il futuro dei 36.700 dipendenti della società.

Perfezionata operazione tra Tim e KKR

Una domanda legittima data la divisione dell’ex Telecom in due società: ovvero Fibercop e la nuova Telecom Italia. Al momento niente di ciò che è emerso, anche come semplice indiscrezione, pone con certezza il punto sul modo nel quale gli operatori verranno gestiti. Dobbiamo ricordare che Tim ha venduto la sua infrastruttura di rete a una squadra capitanata dal fondo americano KKR per 18,8 miliardi di euro.

Siamo giunti alla conclusione di decenni di studio e diversi anni di trattative per raggiungere una cessione molto importante. Ricordiamo che la rete di Tim è stata ceduta alla holding composta da KKR, da F2i, dal ministero dell’Economia, dall’Abu Dhabi Investment Authority e dal Canada Pension Plan Investment Board.

Una cessione che è stata lungamente ricercata per eliminare i problemi di debito di Tim che ne congelavano la possibilità di investimento e al contempo la necessità di rendere il tutto più funzionale e più funzionante. L’operazione è stata perfezionata il 1° luglio presso il notaio milanese Carlo Marchetti. E senza dubbio rappresenta qualcosa privo di precedenti per quel che riguarda il settore italiano delle telecomunicazioni.

Questo al netto del rappresentare una vera e propria sfida per la gestione, occupazionale e non, delle due società nate grazie alla cessione. Per quanto riguarda Fibercop la governance deve essere ancora definita anche se al momento dovrebbe vedere confermato Massimo Sarmi come presidente. Ci si aspetta invece che arrivi direttamente da Ferrovie dello Stato Luigi Ferraris per il ruolo di amministratore delegato.

Governance in costruzione per Fibercop

Per quel che riguarda le liste del consiglio la definizione è ancora in corso, ma i soci sono già pronti a dare pro tempore deleghe operative al presidente. Rendendo così possibile agire nell’immediato. Fibercop al momento è caratterizzata da ricavi per 4 miliardi, 2 miliardi di margine operativo e circa oltre 20.000 dipendenti. Possiede però debiti per 6,5 miliardi che potrebbero salire di almeno altri 3-4 per via dell’acquisto della rete.

La nuova Tim frutto della cessione sarà invece gestita da Pietro Labriola, dovrebbe contare su circa 16.700 dipendenti, su ricavi attesi per il 2024 di 14,5 miliardi. E un margine operativo di 3,7 5 miliardi di euro provenienti, in particolare, dai servizi alle imprese e dalle attività brasiliane.

Numeri importanti, ma questo basterà ad assicurare una gestione corretta dei dipendenti? Bisognerà aspettarsi uscite anticipate dal lavoro o piani alternativi di ricollocamento? Anche in questo caso domande perfettamente legittime.

Terre rare, Brasile nuovo fornitore?

Le terre rare rappresentano una delle materie prime più importanti al momento. Basilari per l’equilibrio delle forze di potere future a livello internazionali. Il Brasile, emergente in tal senso, sembra intenzionato a opporsi all’egemonia della Cina.

Importanza delle terre rare

Il mercato delle terre rare è tra i più rilevanti al momento e lo sarà anche in futuro. Maggiori saranno le risorse da poter vendere, più potere avrà tra le mani chi sarà in grado di rifornire. Un concetto questo molto chiaro a tutte le Nazioni. Soprattutto a quelle molto rilevanti economicamente che necessitano di questi elementi.

Il Brasile vuole senza dubbio porsi come alternativa alla Cina, che del mercato delle terre rare detiene praticamente il monopolio. Non ha infatti finora incontrato una reale concorrenza. Il paese sudamericano, da questo punto di vista sembra intenzionato a far sentire la sua voce.

Avendo difatti annunciato di avere l’intenzione di entrare in campo nel settore, dando vita a una industria delle terre rare. Una notizia che ha allertato, ovviamente, tutto il mondo occidentale. Sono molti i paesi che importano terre rare che vorrebbero rivolgersi a qualcun altro rispetti alla Cina per il proprio fabbisogno.

Soprattutto per quel che riguarda l’industria green e quella della Difesa. Entrambe hanno bisogno di specifiche materie prime per svilupparsi in modo adeguato. Dobbiamo ricordare che sotto il nome di terre rare si riuniscono i diciassette elementi con proprietà magnetiche e conduttive uniche.

Parliamo di materie prime che consentono di migliorare le prestazioni di hard disk e pale eoliche, ad esempio. Nonché di ridurre sensibilmente le dimensioni dei dispositivi elettronici. Tutti materiali che consentono di migliorare device che spesso e volentieri diamo per scontati. Soprattutto se vogliamo investire o puntare sull’energia green. E anche su possibili armamentari di difesa.

Brasile vuole conquistare il mercato

Il Brasile può riuscire nell’impresa perché nel paese sudamericano la manodopera costa meno, il mercato è organizzato in un certo modo e l’energia pulita viene sfruttata maggiormente. Attualmente è il terzo fornitore di questi elementi a livello globale dopo Cina e Vietnam.

Ai potenziali compratori delle materie rare brasiliane una sua crescita sarebbe più che conveniente. Soprattutto perché consentirebbe loro un distanziamento anche a livello politico dalla Cina. Al momento la prima miniera brasiliana è già attiva. Entro il 2030 dovrebbero entrarne in attività altre due.

In Europa puntiamo all’indipendenza dalle importazioni proprio per abbattere i costi e favorire la crescita di questa industria fissando una percentuale che deve arrivare per forza da siti europei. Mentre Stati Uniti si sono posti l’obiettivo di dar vita a una filiera autoctona delle terre rare per il 2027.

Ita Airways, Italia ottimista su decisione Antitrust

Matrimonio Ita Airways e Lufthansa? L’Italia sarebbe ottimista. E la ragione costerebbe nelle indiscrezioni provenienti da alcuni fonti europee vicino al dossier relativo alla fusione.

Vicino via libera per Ita Airways

A quanto pare gli ultimi cambiamenti proposti, presentando dei miglioramenti oggettivi, avrebbero condotto verso una traiettoria “positiva”. C’è molto condizionale in queste indiscrezioni, ma allo stesso tempo sembra quasi esistere un cambio di aria attorno alla questione. E c’è chi sostiene che Bruxelles non farà mistero di quello che è il suo orientamento in merito alla fusione Ita Airways-Lufthansa entro pochi giorni.

Sembrerebbe proprio che l’Antitrust europeo sia concentrato nella valutazione degli ultimi dettagli prima di esprimere il suo giudizio, previsto entro il 4 luglio. Per quel che riguarda i negoziati tra i vettori e la Commissione europea, si parla ancora di apertura e a quanto pare, le comunicazioni tra il vettore tedesco e l’Europa, sono andata avanti in maniera serrata.

Dobbiamo ricordare che il maggiore problema attualmente da risolvere è quello relativo alle lunghe tratte da Fiumicino verso il Nord America. Su questo tema Lufthansa infatti possiede già accordi di una certa tipologia soprattutto con United Airlines.

Il timore dell’Antitrust europeo è che l’aggiunta di Ita Airways potrebbe mettere a repentaglio la concorrenza. Dobbiamo ricordare allo stesso modo che l’opzione di congelare per due o tre anni l’alleanza in tal senso non è stata considerata sufficiente dall’Europa.

Ottimismo italiano sulle trattative

Non resta quindi che attendere per capire cosa sia cambiato da questo punto di vista. Il ministro Giancarlo Giorgetti sembra mantenere il suo approccio positivo in merito al via libera. Ricordiamo che la fusione è in realtà un’acquisizione per 325 milioni del 41% di Ita Airways, dando potere ai tedeschi di comando nonostante l’essere socio di minoranza.

È anche vero che questo sarebbe solo un primo passo dell’entrata dei tedeschi nel vettore italiano. E che le maggiori problematiche relative alla concorrenza sulle lunghe tratte è anche rappresentato dalla pressione nel settore di Air France.

La compagnia francese, in passato, aveva anche mostrato interesse per la vecchia Alitalia e per la newco. Al netto di tutto ciò quel che bisogna capire e se si è arrivati finalmente a una quadra che consenta davvero di avere una decisione entro il 4 luglio.

Per via delle elezioni europee e i possibili cambiamenti in seno all’intera squadra, i tempi rischierebbero di allungarsi altrimenti. Nell’attesa di avere una risposta bisogna comunque tenere conto delle preoccupazioni dei sindacati. I quali temono ovviamente le ripercussioni occupazionali nel caso in cui il via libera non dovesse arrivare.