Il Bund non è più un porto sicuro

Il recente taglio dell’outlook sulla Germania da parte di Moody’s, che ha pur sempre confermato il rating AAA, ha fatto crollare molte presunte certezze tra gli investitori mondiali ma soprattutto quel senso di immunità dal contagio della grave crisi dei debiti sovrani europei. Tutto ad un tratto anche la Germania si è risvegliata vulnerabile alla crisi dell’euro e la Merkel sta spingendo verso una soluzione definitiva, anche se la Bundesbank è assolutamente contraria alla monetizzazione dei debiti degli stati sovrani in difficoltà da parte della Bce.

Il Bund ha finora mostrato rendimenti clamorosamente ai minimi storici. Le scadenze fino ai due anni hanno addirittura evidenziato tassi negativi, mentre la scorsa settimana il rendimento del Bund a 30 anni è sceso sui livelli più bassi dal 1994. Gli economisti dell’istituto di ricerca INET, presieduto da George Soros, sono convinti che anche la Germania sia a rischio crack se non dovesse accettare la monetizzazione del debito da parte della Bce.

Intanto, agli occhi degli americani la Germania sembra non essere più un bene rifugio. Infatti, secondo Fitch, a giugno l’esposizione dei fondi monetari americani nelle banche tedesche è scesa del 26%: i grandi money market fund hanno tagliato di un quarto secco la loro esposizione a breve e brevissimo termine. I fondi monetari americani hanno in dotazione circa 1.400 miliardi di dollari. Questa liquidità viene parcheggiata a breve termine in tutto il mondo, a seconda delle convenienze. In base ai dati raccolti da Fitch, il calo di fiducia sulla Germania è significativo.

La ricerca di Fitch ha riguardato i più grandi fondi americani che da soli rappresentano 614 miliardi di dollari. A maggio sulla Germania erano investiti 22 miliardi di dollari, ovvero il 3,6% del totale. A fine giugno scorso l’esposizione è scesa a 17 miliardi, cioè il 2,8%. L’analisi di Fitch tiene conto di un campione della metà di quell’universo, per cui si può stimare una fuoriuscita di almeno 10 miliardi nel giro di trenta giorni.

Da maggio 2011 la quota dei money market fund USA è scesa del 62% per la Germania e del 78% per l’intera zona euro, mentre la quota investita in T-Bond USA è volato fino al 79% in un solo anno. Il resto del denaro è finito in banche canadesi, svizzere, americane e giapponesi. Le banche dove la presenza di fondi americani è più forte sono Credit Suisse (prima in assoluto), Bank of America Merrill Lynch, Bank of Nova Scotia, Bank of Tokyo Mitsubishi e Royal Bank of Canada. Il colosso tedesco Deutsche Bank è sceso al 14-esimo posto.

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