Futures sul rame possono tornare a salire grazie a Cina e fiscal cliff

Segnali di ripresa per i futures sul rame, dopo una fase discendete che dura ormai da un paio di mesi. La motivazione principale dovrebbe essere legata alle ricoperture di posizioni short e all’assuzione di nuove posizioni long da parte di numerosi CTA’s (Commodity Trading Advisors), che hanno un’esposizione a termine “long” sul metallo rosso. Questi investitori istituzionali stanno provando a spingere sull’acceleratore per provare a superare la resistenza di area 7.720 dollari per tonnellate, che costituisce al momento la base a tre mesi dei prezzi.

In caso di breakout esplosivo di questa key area, sembra probabile un allungo bullish verso 7.800 dollari prima e 7.850 dollari poi. Si tratta chiaramente solo di considerazioni tecniche, che non tengono conto dei fondamentali economici. In effetti il mercato scommette anche su una maggiore stabilizzazione dell’economia cinese, dopo una fase di maggiore tensione dovuta ai rallentamenti pericolosi del Dragone nel primo semestre dell’anno. Ora l’attività manifatturiera cinese sta migliorando e il rame potrebbe trarne benefici.

Tuttavia, il settore cardine dell’edilizia cinese, sia commerciale che residenziale, sebbene stia migliorando non sembra in grado di tornare a correre come dal 2009 ad oggi. Intanto, la quotazione del rame resta bloccata tra area 7.500 dollari e area 7.750 dollari, in attesa di capire come si risolverà la questione del fiscal cliff negli Stati Uniti. L’incognita relativa al precipizio fiscale, che scatterebbe nel 2013 senza un accordo tra governo e Congresso americano, è stata finora un elemento catalizzatore delle difficoltà del mercato del rame.

Se ci sarà un compromesso, come atteso dal mercato, le previsioni fosche per l’economia mondiale sarebbero ridimensionate visto che gli Stati Uniti eviterebbero di finire in recessione. Il mercato del rame ormai guarda sempre meno all’Europa, che pesa sulla domanda mondiale per il 21%, mentre ha molta importanza la congiuntura in Cina, che ha un peso del 41%, e nel resto dell’Asia (22%). Il Nord America pesa solo l’11%, ma è importante per i suoi intensi rapporti commerciali con Cina e altri paesi asiatici.

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