Tim e Iliad, chiusura definitiva alla fusione

Tim e Iliad: niente più fusione. Si tratta senza dubbio di un’opportunità sfumata con conseguenze importanti per l’ex monopolista delle telecomunicazioni.

Cosa è successo alla possibilità di accordo tra Iliad e Tim

Negli ultimi mesi si è parlato molto di una possibile fusione tra Iliad e Tim. Un matrimonio che avrebbe potuto cambiare profondamente il mercato delle telecomunicazioni italiano. In queste ultime ora tale possibilità è uscita totalmente dai giochi.

Questo perché Iliad ha chiarito che non ci sono più confronti in corso con l’ex monopolista e che non riprenderanno. Cosa è successo? Tornando indietro nel tempo va detto che le fasi preliminari avevano sollevato grandi aspettative.

Nel corso del 2025 infatti, Iliad aveva incaricato Boston Consulting Group di analizzare una potenziale fusione mentre Tim, sotto la guida dell’ad Pietro Labriola, manteneva la porta aperta alla possibilità. Il governo italiano, tramite Poste Italiane e Cassa Depositi e Prestiti, era parte della partita. Ricordiamo che Poste ha acquisito una partecipazione del 24,8% in Tim, diventandone primo azionista con l’obiettivo dichiarato di favorire la consolidazione del settore

Perché la fusione tra Tim e Iliad è saltata? Un primo stop è occorso lo scorso aprile. Una conferma del non da farsi è giunta in queste ultime ore portando il titolo di Tim a subire un brusco calo in Borsa. Qualcosa che senza dubbio sarebbe stato meglio evitare.

Secondo le stime di Exane BNP Paribas, la fusione avrebbe potuto generare sinergie per circa 860 milioni di euro che avrebbero potuto essere rilevanti se investite su innovazione e rete. Senza contare che l’unione avrebbe portato a una riduzione degli operatori mobili in Italia da quattro a tre, diminuendo la pressione della concorrenza sui prezzi.

Un piccolo intoppo nel percorso dell’ex monopolista

Dal punto di vista di Tim tutto ciò avrebbe potuto portare a margini più solidi. Per quel che concerne i consumatori a qualche rischio di aumento prezzi. Con molta probabilità nella decisione potrebbero avere influito anche potenziali attenzioni da parte dell’Antitrust.

E Tim come ha reagito? Sottolineando che la fusione non è l’unica via per migliorare l’efficienza. Dato che si può puntare a network sharing, alla razionalizzazione dei costi e alla costruzione di sinergie operative con altri operatori.

L’unica cosa che ancora fa pensare è l’importante partecipazione dello Stato all’interno della società con le sue controllate. Di certo con la mancata fusione ci troviamo davanti a una importante opportunità di consolidamento persa.

Ciò non toglie che dopo il prevedibile scossone ottenuto Tim sarà in grado di riprendere la propria strada. Lavorando in modo alternativo su un possibile consolidamento.

MFE-Mediaset al 43,6% di ProsiebenSat

MFE-Mediaset ha raggiunto il 43,6% di ProSiebenSat.1, ma l’obiettivo dichiarato è uno solo: ottenere la maggioranza. E per ora, quella percentuale non è sufficiente.

MFE-Mediaset non ha la maggioranza

Per tale ragione l’offerta pubblica di acquisto ha subito una proroga fino al 1 settembre, dando agli azionisti altri 15 giorni per decidere se vendere le proprie quote. Il gruppo guidato da Pier Silvio Berlusconi, infatti, non è riuscito nell’ottenimento nella prima fase di adesione del numero sufficiente di quote. Chi possedeva il 10,26% delle azioni ha accettato la proposta. Capitale che va ad aggiungersi al 33,31% già detenuto da MFE.

Ma, come detto, non basta per arrivare al controllo della società. La posta in gioco è alta: MFE si è detta disposta a investire fino a 1,3 miliardi di euro per acquistare le quote mancanti. A complicare il quadro c’è anche la presenza di un concorrente: il fondo d’investimento ceco PPF, già azionista con il 18% del capitale. Tuttavia, PPF non ha rilanciato con una propria offerta e anzi ha consigliato ai suoi azionisti di accettare quella italiana.

L’operazione non è solo economica: ha anche implicazioni politiche. In Germania, alcuni temono che l’ingresso di MFE possa influenzare l’indipendenza editoriale di ProSiebenSat.1, soprattutto per l’associazione automatica tra Pier Silvio Berlusconi e le posizioni politiche del padre, Silvio. Secondo alcuni osservatori, in particolare in Germania, questa “eredità politica” desta preoccupazioni: c’è chi teme una vicinanza con ambienti populisti o filorussi.

Nessun problema per l’indipendenza editoriale

Pier Silvio Berlusconi, da parte sua, ha rassicurato tutti: se MFE dovesse ottenere la maggioranza, i canali televisivi manterranno la piena indipendenza editoriale.

Intanto, non mancano le indiscrezioni. Secondo alcune voci (poi smentite), due noti conduttori di ProSiebenSat.1 avrebbero ottenuto una clausola di uscita anticipata dal contratto nel caso in cui MFE prendesse il controllo. Il settore dell’informazione, più ancora dello spettacolo o dei reality, sembra essere quello più sensibile a questa possibile acquisizione.

Ora non resta che attendere. Tra due settimane sarà chiaro se MFE riuscirà davvero a conquistare la maggioranza e, con essa, il controllo del secondo gruppo televisivo privato in Germania. Da un punto di vista normativo, in ogni caso, non ci sono ostacoli: in Germania non esistono restrizioni particolari per la partecipazione di gruppi stranieri in aziende mediatiche, quindi l’Antitrust non dovrebbe rappresentare un problema.

È palese che il gruppo voglia ampliarsi in modo corretto e coerente in Germania. E che allo stesso tempo lo Stato tedesco veda come rilevante questa operazione. Bisogna capire solamente se i Berlusconi saranno stati adeguatamente convincenti.

Banco Bpm guarda verso Mps

Banco Bpm sembra guardare con interesse verso Mps. Da quel che è possibile estrapolare dalle parole di Giuseppe Castagna, punterebbe in quella direzione l’interesse della sua banca.

Cosa farà ora Banco Bpm

Qualcosa che, in teoria, dipenderebbe anche da quelle che saranno le intenzioni future di Crédit Agricole dopo il suo essere passato al 20% del capitale. Un atto che non sarebbe stato possibile se non ci fosse stato un tentativo di Ops di Unicredit su  Banco Bpm. È questo ciò che ha fatto notare l’amministratore delegato nel corso della conference call di presentazione dei conti semestrali.

Perché viene fatta questa sottolineatura? Molto semplice: l’essere saliti al 20% del capitale totale dà modo a Crédit Agricole di poter fare specifiche richieste. Queste dovranno poi essere giudicate in modo indipendente, ha sottolineato Giuseppe Castagna, nell’ottica di fare il meglio per i propri soci.

Nonostante Banco Bpm sia da poco reduce dal tentativo di scalata, non sembra assolutamente chiudere nulla per quel che riguarda il futuro. Soprattutto ora che le possibilità sono diverse e gli approcci differiscono. L’Ops da parte di Unicredit è stata vista sempre in modo abbastanza ostile e trattata di conseguenza.

Ora che questo “problema” è stato messo da parte, ovviamente per Banco Bpm è necessario tirare le somme e capire come muoversi da questo momento in poi. Non bisogna infatti dimenticare la presenza della banca di Castagna all’interno del capitale di Mps per il 9%. La banca senese è attualmente impegnata nella scalata a Mediobanca. Questo rende evidente come l’istituto di Castagna sia più che coinvolto all’interno di quello che è l’attuale risiko bancario italiano e di come la sua posizione sia molto più importante di quello che si possa pensare.

Attesa necessaria prima di decidere

L’amministratore delegato sottolinea però che aspetteranno dopo il primo round di consolidamento per vedere quale sarà effettivamente la situazione per decidere quali saranno le loro mosse. Gli analisti hanno infatti evidenziato come l’istituto non sia al momento limitato dai vincoli della passivity rule, proprio dopo il ritiro di Unicredit.

L’idea è quindi quella di attendere cosa accadrà ad Mps dopo la transazione su Mediobanca. Questo significa che bisognerà aspettare ancora alcune settimane. Dobbiamo ricordare infatti che, per quanto la banca milanese stia lavorando alacremente per portare i soci a un certo risultato, allo stesso tempo si sta muovendo con cautela per quel che riguarda Banca Generali e tutto ciò che ne consegue.

L’unica certezza che si ha al momento è che l’istituto si muoverà certamente con l’intenzione di mantenere a livelli ottimali sia la produttività che l’occupazione. Lo abbiamo visto con la resistenza posta nei confronti di Unicredit. Siamo sicuri che lo stesso accadrà nel caso in cui la situazione lo dovesse richiedere nuovamente

Iveco, vendita settore militare a Leonardo

Iveco sarà ceduta a Leonardo insieme al partner tedesco Rheinmetall per ciò che riguarda il settore militare, mentre per quel che concerne il settore civile agli indiani di Tata Motors.

Voglia di chiudere dossier Iveco in fretta

È evidente che John Elkann abbia voluto chiudere velocemente un dossier che da tempo era sul tavolo. Il tutto attraverso un via libera sostanziale da parte del consiglio di amministrazione di Iveco Group, riunito a Torino per i risultati del primo semestre.

Anche dalla capitale dovrebbero arrivare alcune novità per quel che concerne il consiglio di amministrazione di Leonardo. Anche in questo caso l’occasione è la relazione semestrale dei dati. Allo stesso tempo, è però palese la presenza di un occhio di riguardo nei confronti della chiusura con Iveco. Non dobbiamo dimenticare che parliamo di un accordo da raggiungere ormai da quasi un anno e mezzo.

Come già anticipato da Il Fatto Quotidiano qualche giorno fa, cedere l’attività militare della società Iveco Defense Vehicles, è il primo livello da superare per vendere una porzione molto più ampia della società controllata da Exor con il 27,06% del capitale. La IDV è in mano a Iveco Group al 100% ed era fondamentale stabilire in modo adeguato cosa sarebbe rimasto in Italia, potenzialmente come voluto anche dalla premier Giorgia Meloni, e cosa poteva essere ceduto all’estero.

Capitale soddisfatto in tutti i casi

Tenendo conto che Leonardo è controllata al 30,2% dallo Stato, i desideri dell’esecutivo sostanzialmente risultano essere soddisfatti. Nonostante all’interno della cordata vi sia anche Rheinmetall, conosciuta per essere una delle società più importanti esistenti per quel che concerne gli armamenti terrestri.

Ricordiamo che i tedeschi, insieme a Leonardo, sono parte di una joint venture per la produzione di blindati a ruote e carri armati per l’esercito italiano, con una commessa di circa 23,2 miliardi in 10 anni. La stessa commessa alla quale parteciperà come fornitore IDV. Bisogna sottolineare che fino a qualche ora fa non erano ancora stati fatti nomi specifici, sebbene la situazione risultasse essere abbastanza chiara da tempo.

Riuscire a gestire in questo modo il settore militare di produzione Iveco consente di accontentare tutti. Soprattutto in un periodo nel quale l’attuale situazione geopolitica porta le aziende fornitrici della Difesa a una crescita importante.

È abbastanza semplice ipotizzare come questa soluzione non porterà problemi a nessuna delle parti coinvolte. Anzi. Anche nell’ottica del riarmo europeo in atto, i vari interlocutori otterranno tutti quanti potenzialmente ciò che desiderano. Tra tutti anche lo Stato italiano che, come già sottolineato, possiede capitale in Leonardo.

 

Unicredit rinuncia a Ops su Banco Bpm

Unicredit rinuncia alla sua Ops su Banco Bpm. Una mossa che non sorprende più di tanto anche se ci aspettavamo un comportamento diverso dalla banca di Andrea Orcel.

unicredit blocca dividendi fino ottobre

Unicredit ha ritirato ufficialmente l’offerta

Senza dubbio il tentativo di scalata di Unicredit su Banco Bpm è stato uno dei tasselli del risiko bancario italiano che più hanno appassionato. In fin dei conti quest’ultimo è il terzo gruppo italiano per dimensioni. E il fatto di essersi ritrovato al centro di un’offerta pubblica di scambio da parte di Unicredit ha lasciato il segno. Soprattutto perché parliamo di un’operazione da 10 miliardi di euro che però si è chiusa con un nulla di fatto.

Non dobbiamo dimenticare che ciò è avvenuto per via di tutta una serie di ostacoli posti sul cammino di questa scalata anche per mano del governo italiano.

Quando a novembre 2024 Unicredit ha lanciato la sua offerta pubblica di scambio, la reazione del Consiglio di amministrazione di Banco Bpm è stata netta. Totale contrarietà. L’’offerta, secondo la banca di Giuseppe Castagna, non valorizzava adeguatamente l’istituto. Inoltre il premio proposto era minimo: appena lo 0,5% sopra il valore di mercato.

A non piacere al management di Banco Bpm era principalmente la mancanza di un chiaro progetto industriale. Non c’era una visione chiara su sinergie, gestione futura o tutela dei dipendenti. Non erano quindi comprensibili le ragione alla base di questa operazione.

Golden Power fondamentale in negativo

Il governo italiano ha poi attivato il Golden Power, ovvero il potere di mettere condizioni a operazioni considerate strategiche. Tra queste, il mantenimento dell’occupazione, il presidio del territorio e l’uscita dai mercati russi.

Banco Bpm si è trovata praticamente “in mezzo” a una “lotta” più ampia tra Unicredit e lo Stato italiano. Nonostante le aperture europee e del Tar del Lazio, la banca di Orcel ha preferito ritirare l’offerta lo scorso 22 luglio.

Fattore questo che non ha causato dispiacere a Banco Bpm che ha tenuto il punto ed è riuscita in questo modo a evitare la scalata. Difendendo a spada tratta quella che era la propria visione industriale e identità. Ci si aspetta ora una mossa da parte del primo azionista Crédit Agricole che potrebbe lanciare una fusione partendo proprio dalla sua quota del 20%.

Insomma, il risiko bancario italiano non si concluderà sicuramente con l’abbandono della scalata da parte di Unicredit. Bisogna semplicemente capire come i vari interlocutori decideranno di muoversi eventualmente. E se ci saranno altri colpi di scena. Voi cosa ne pensate? Banco Bpm rimarrà ferma o sarà costretta a confrontarsi ancora con simili scenari?

Berlusconi, come investono gli eredi

I figli di Berlusconi: come investono e quanto guadagnano a due anni dalla sua morte? È una domanda che Il Corriere della Sera si è posto, partendo dai risultati del bilancio di Fininvest e di quelli delle controllate e partecipate.

Come investono i figli minori di Silvio Berlusconi

È innegabile che, quando si parla del cognome Berlusconi, si parli comunque di un impero industriale e immobiliare molto ampio, del quale fanno parte non solo gli investimenti “ufficiali” legati a Fininvest, ma anche le attività dei tre figli più giovani del Cavaliere rispetto a Pier Silvio e Marina. Quali sono quindi gli investimenti di Barbara, Eleonora e Luigi che, da quel che sappiamo, hanno delle attività proprie al di fuori della principale azienda di famiglia?

Ovviamente, non si può prescindere dal family office H14, gestito da Luigi, conosciuto tra i figli di Berlusconi come un investitore non avvezzo ai colpi di testa. Sappiamo inoltre che sia Luigi che Barbara possiedono delle holding personali, ma è attraverso questa holding in comune tra i tre fratelli che passano diverse attività riconducibili a tutti e tre.

Barbara, nello specifico, lo scorso anno ha perso 1,7 milioni a causa della svalutazione del portafoglio, all’interno del quale si trovava anche la sua ex holding MiHome. Più in generale, la manager possiede una quota in Caravel, legata a diritti su un’impresa nelle Filippine e detiene anche una partecipazione nella Cardi Gallery. Di lei si sa, inoltre, che abbia investito in modo rilevante in un’impresa sociale di Monza che si occupa di tutoring scolastico.

Innovazione e digitale i progetti più interessanti

Luigi Berlusconi, pur avendo un approccio cauto agli investimenti, è coinvolto sia nella Holding Italiana Quattordicesima, legata a Fininvest, sia nella già citata H14. Tuttavia, per alcune operazioni si muove attraverso la sua piccola finanziaria personale, E.I. Holding, la quale è suddivisa in tre sub-holding attraverso le quali investe nei settori dell’innovazione e del digitale. Il suo è un portafoglio modesto, all’interno del quale figura anche la sopracitata MiHome di Lorenzo Guerrieri, marito della sorella Barbara: questa, attraverso il brand Domya, affitta e gestisce appartamenti di lusso all’interno di un immobile in via Manzoni.

Insieme alla sorella Barbara, Luigi figura anche all’interno di Unaluna, una media company digitale fondata nel 2021 da Francesca Muggeri e Franco Villa, che produce due progetti di rilievo: parliamo di The Muffa, un canale social focalizzato su sostenibilità e ambiente, e della più nota Whoopsee. Un portale di moda e gossip, dove compaiono anche quote di Leonardo Maria Del Vecchio, della famiglia Elkann, e la presenza nel cda del referente italiano di Elon Musk, Andrea Stroppa.

 

Risiko bancario, il punto della situazione

Risiko bancario? Facciamo il punto della situazione. Senza dubbio, negli ultimi mesi gli istituti bancari italiani si sono dati molto da fare, creando fitte reti di operazioni nelle quali possiamo cercare di districarci.

unicredit blocca dividendi fino ottobre

Chi sta giocando a risiko bancario

Chi ha scelto di utilizzare il termine risiko bancario, di sicuro l’ha fatto conscio delle conseguenze, visibili a tutti, di queste continue operazioni. È un dato di fatto che la maggior parte degli istituti bancari sia stata intenzionata, in questi ultimi mesi, ad ampliare il proprio controllo. Utilizzando operazioni pubbliche di acquist e operazioni pubbliche di scambio, per tentare scalate di diverso genere. E costringendo il governo a impugnare il Golden Power in un settore dove rappresenta, più o meno, una novità.

Tra le maggiori protagoniste di questo risiko bancario, Unicredit è senza dubbio una delle più attive. Soprattutto perché l’offerta pubblica di scambio nei confronti di Banco Bpm è arrivata praticamente a stretto giro rispetto all’acquisizione del 30% della tedesca Commerzbank. Piazza Meda non ha gradito questo tentativo, e si è in attesa della decisione da parte del Tar del Lazio in merito al suo ricorso.

Dobbiamo ricordare che Unicredit ha subito l’applicazione del Golden Power da parte del governo, con conseguenti paletti da rispettare nei confronti dell’operazione. Qualcosa che potrebbe portare la banca di Andrea Orcel a non portare a compimento l’operazione stessa.

Non dobbiamo dimenticare che Banco Bpm, al momento dell’offerta pubblica di scambio, aveva appena concluso analogamente l’acquisto di Anima Holding ed era entrata nel capitale di Mps. La stessa Monte Paschi di Siena che si è mossa per scalare Mediobanca.

Intrecci di operazioni e capitali

Com’è possibile notare, si tratta di continui intrecci di capitali e di operazioni che, se andranno in porto, cambieranno in modo sostanziale l’assetto attuale del settore. Questa partita di risiko bancario non rischia, senza dubbio, di annoiare. Una delle attese più stringenti, come già anticipato, riguarda il Tar e il ricorso presentato da Banco Bpm.

L’istituto di Banca Meda non ha mai visto di buon occhio il tentativo di scalata da parte di Unicredit. Si temono soprattutto, infatti, ripercussioni sul settore occupazionale. Va detto che anche Banco Bpm, dal canto suo, non è stata ferma a guardare. Ha infatti acquisito Anima Holding grazie a un’offerta pubblica d’acquisto lanciata a dicembre 2024. Ma, in pratica, insieme a Mps sta tentando la scalata a Mediobanca, per via del suo capitale all’interno della banca senese.

Anche Mediobanca non vede di buon occhio l’offerta di Mps e si è impegnata, forse nel tentativo di rendere più difficili le cose alla banca toscana, nell’acquisto di Banca Generali. Attraverso un’offerta pubblica di scambio che ha messo sul piatto il 13% da lei posseduto in Assicurazioni Generali. Va detto però che, in tal senso, l’assemblea di presentazione dell’offerta è stata spostata da giugno a settembre, quando si saprà già se MPS sarà riuscita nella scalata o meno.

Una cosa è certa: questo risiko bancario non annoia davvero.

Tesla, gli investimenti retail reggono ancora

Gli investimenti di Tesla reggono ancora nonostante il doppio downgrade subito. Qualcosa che non molti si aspettavano, nonostante il declassamento ottenuto da parte di Baird e Argus Research.

Investimenti retail in Tesla ancora alti

Elon Musk potrà anche aver lasciato il governo americano ed essere impegnato attualmente in una lotta “intestina” con il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Ma l’azienda di cui è ceo continua a rimanere in piedi nonostante le difficoltà e il crollo in Borsa. Gli investitori retail sembrano non vivere tutto questo caos con preoccupazione. Senza dubbio, Elon Musk ha perso la scorsa settimana circa 36 miliardi di dollari del suo patrimonio personale e il calo del 15% delle azioni Tesla non è stato privo di conseguenze. Anche se occorso lungo 5 sedute differenti.

Quelli che è possibile delineare come i suoi sostenitori più incrollabili hanno essenzialmente comprato al ribasso. È stato registrato, in merito a un fondo ETF che riproduce i movimenti del titolo, un afflusso per ben 651 milioni di dollari. Si tratta del record per questo strumento, lanciato nel 2022. E, ancor più interessante, rappresenta più del triplo rispetto all’intero 2024, anno in cui Tesla ha visto le sue azioni salire di oltre il 60%.

Analizzando l’intera situazione di Tesla, va sottolineato che il calo registrato non è legato solamente alla rottura violenta tra Donald Trump ed Elon Musk. Alla fine di maggio, il mercato di riferimento subiva già forti cali nelle vendite derivanti da Cina ed Europa, tra l’altro sempre legati alla partecipazione di Musk al governo Trump. Soprattutto per quel che concerne il mercato europeo.

Andamento aziendale dipendente da diversi fattori

A tutto ciò è possibile aggiungere gli effetti della concorrenza della Cina, la quale offre veicoli elettrici in modo più capillare e a prezzi più vantaggiosi. Ovviamente, lo scontro tra il presidente e il magnate ha avuto il suo peso a inizio giugno. Soprattutto nel momento in cui il ceo di SpaceX ha demolito la proposta di legge di bilancio e di riforma fiscale americana. Evento al quale è seguita la minaccia di rescissione dei contratti governativi tra la Casa Bianca e le aziende di Elon Musk.

È evidente che Tesla non stia passando un periodo tra i più rosei. E, sebbene le due società che hanno eseguito il downgrade non abbiano eccessivo peso a Wall Street, sono comunque sinonimo del malcontento che sta pian piano conquistando gli analisti per quel che riguarda l’azienda. Tra le big cap, Tesla è attualmente la meno amata a livello statistico, con i titoli che conquistano o perdono importanza più per eventi personali che per l’andamento aziendale nudo e crudo.

Come già anticipato, però, agli investitori retail questo non interessa, dato che hanno comunque comprato azioni di Tesla in tutti questi mesi. Forse perché convinti che, comprando a un minor costo, una volta eliminato Elon Musk dall’equazione sarà più semplice guadagnare con il titolo?

Goldman Sachs approva Btp Italia

Goldman Sachs approva Btp Italia. Si tratta essenzialmente della terza agenzia di rating in ordina di tempo a dare un giudizio positivo sul debito pubblico italiano.

Goldman Sachs e la fiducia nell’Italia

Atti legati essenzialmente al mantenimento di un certo consenso da parte del Governo. Lo abbiamo visto inizialmente con Standard & Poor’s e Moody’s. E ora lo stiamo vedendo anche con Goldman Sachs che ha espresso un parere favorevole sui BTP italiani. A firmare questa analisi Filippo Taddei, attuale amministratore delegato di Goldman Sachs. Il quale in passato è stato ex responsabile economico del Partito Democratico durante il governo Renzi.

Secondo l’esperto sono tre le ragioni principali per i quali i mercati guardano con fiducia al debito italiano. E riguardano il controllo dei conti pubblici, l’effetto positivo del PNRR sull’economia e, soprattutto, la stabilità politica. È quest’ultimo in particolare l’elemento su cui Goldman Sachs punta l’attenzione. Negli ultimi dieci anni, quasi tutte le crisi legati allo spread sono state causate dall’instabilità degli esecutivi. Il rischio politico in Italia, attualmente, viene considerato molto basso.

Il rapporto di Goldman Sachs sottolinea come l’attuale governo guidato da Giorgia Meloni sia l’unico, negli ultimi vent’anni, ad aver guadagnato consensi dopo due anni e mezzo di mandato. In tal senso l’agenzia di rating ha pubblicato un grafico che confronta la popolarità dei governi Berlusconi, Renzi, Conte e Meloni.

Diversi gli elementi di supporto

titoli di stato btp

E si può vedere come il governo Berlusconi, ad esempio, aveva perso il 7,5% di consenso dopo 30 mesi, mentre quello di Conte era calato del 18%. L’attuale ha guadagnato un consenso pari al 2%.  Anche il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e il suo sostegno nei confronti dell’economia italiana viene considerato un ulteriore punto a favore. Rafforzando la fiducia dell’agenzia nei Btp italiani.

L’agenzia americana prevede che i fondi del Recovery Fund continueranno a sostenere l’economia italiana fino al 2026. Assicurando uno spazio fiscale pari all’1,5% del PIL ogni anno. A questo deve aggiungersi il fatto che la Penisola stia migliorando dal punto di vista fiscale in tempi più brevi rispetto ad altre economie. Come quelle di Spagna, Francia e Germania. Il divario con la media europea è al grado più basso rispetto al 2016.

Le previsioni di Goldman Sachs prevedono un ulteriore miglioramento del saldo fiscale italiano: E questo nonostante l’aumento delle spese per la Difesa. Il quale dovrebbe essere compensato dall’emissione di debito europeo, riducendo la necessità di nuovi BTP.

Secondo l’agenzia, anche in caso di aumento, sia le assicurazioni che le banche del nostro Paese sarebbero capaci di assorbirlo. Visto che oggi detengono il livello più basso di BTP nei loro portafogli da 25 anni.

Unicredit e Banco Bpm, a che punto siamo?

Unicredit e Banco BPM: a che punto siamo con l’intera questione? L’Ops è stata lanciata, il Golden Power applicato e attualmente il Tar del Lazio ha tra le mani ben due questioni inerenti all’operazione.

tassi negativi ed unicredit cosa cambia

Unicredit e Banco Bpm, il punto della situazione

La prima è il ricorso proposto da Unicredit per avere chiarezza in merito ai paletti imposti dal Governo con il Golden Power. La seconda è quella presentata dalla banca di via Meda contro il maggior tempo concesso dalla Consob alla banca di Orcel per la chiusura dell’operazione. Ricordiamo che la scadenza è stata fissata a luglio inoltrato.

Nel corso del 129° Consiglio Nazionale della FABI il ceo di Unicredit, Andrea Orcel, ha sottolineato che se dovessero rimanere queste le condizioni, l’operazione sarebbe da considerare tutt’altro che economica. Fattori che la renderebbero, in caso di mancata risoluzione a livello legale soggetta a un possibile ritiro e a una successiva, potenziale, riproposizione.

È ovvio che la decisione del Tar, attesa da entrambi gli istituti di credito, fungerà da discriminante dell’intera questione. Davvero, in questo momento, possiamo parlare di un effettivo risiko bancario. Dove i colpi di scena non mancano. Così come i cambiamenti da affrontare per tutti gli interlocutori, almeno quelli potenziali.

Per Unicredit, infatti, a livello industriale, questa operazione è senza dubbio conveniente e da portare avanti. I tempi potrebbero però allungarsi fino a coinvolgere il Consiglio di Stato. E superando le date di scadenza fissate vi sarebbero ulteriori costi importanti, con la conseguente necessità per la banca di Orcel di rivedere l’intera questione.

Maggiori costi e criticità

Il Golden Power e i paletti imposti dall’Esecutivo sono ostacoli legali superabili, ma la loro stessa natura li rende risolvibili solo con un aumento del costo economico dell’operazione. Un prezzo piuttosto elevato per Unicredit, soprattutto se le limitazioni dovessero permanere. Una criticità che si aggiungerebbe a quella potenzialmente legata alla decisione finale del Consiglio di Stato, che potrebbe essere richiesta da Banco Bpm. E che non arriverebbe in tempo utile per la chiusura dell’Ops.

Come già sottolineato, la banca di Andrea Orcel potrebbe ritirare l’offerta e ripresentarla in futuro. Nel corso dell’incontro si è parlato anche dell’Ops di Mediobanca su Banca Generali, ritenuta da molti una mossa molto interessante all’interno del risiko bancario attuale. La quale potrebbe aiutare la banca di Milano a gestire in modo migliore l’Opa di Mps nei suoi confronti.

Tutta questa voglia di “allargamento” dei grandi istituti di credito, nei confronti di altri dai buoni bilanci, deriva fondamentalmente dalla volontà di essere più competitivi a livello europeo. Dove un approccio di tipo paneuropeo viene visto come lo strumento più adatto per affrontare le nuove sfide, sia internazionali sia nazionali, del settore.

Unicredit, Consob accoglie ricorso su Golden power

Unicredit ottiene la sospensione di un mese in merito all’offerta su Banco Bpm. La Consob ha quindi accettato l’istanza di autotutela presentata nei confronti del Golden Power.

unicredit blocca dividendi fino ottobre

Cosa ha ottenuto Unicredit

L’offerta pubblica di scambio di Unicredit su Banco Bpm viene così bloccata per 30 giorni. Tutto in base agli art. 102 e 106, comma 4, del Testo Unico sulla Finanza. Ciò significa che il provvedimento in questione potrà essere impugnato presso il Tar del Lazio entro 60 giorni dall’avvenuta comunicazione o, per chi non è destinatario dello stesso, dalla data di pubblicazione nel bollettino della Consob.

In termini pratici, la conclusione dell’offerta, partita il 28 aprile, avverrà il prossimo 23 luglio. Andrea Orcel, amministratore delegato di Unicredit, potrà aspettare fino alla fine del mese prima di rendere noto se rilanciare o accettare le azioni.

La Consob ha valutato positivamente la richiesta di Unicredit per via della “situazione di incertezza” relativa agli effetti del Golden Power applicato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Insomma, i destinatari potrebbero, a causa di questo intervento, non essere in grado di esprimere un giudizio privo di vizi in merito all’offerta.

Unicredit ha inviato l’istanza di autotutela alla Presidenza del Consiglio tre giorni dopo l’adozione del Golden Power da parte del governo. Chiedendo che il procedimento venga riaperto. Perché? La ragione consta nella ricerca di motivazione di dati e informazioni fornite. Le quali non risultano essere state prese in considerazione in modo adeguato. Un intervento volto a chiarire le prescrizioni governative, in modo da poter configurare i giusti mezzi.

Più tempo per valutare le limitazioni

tassi negativi ed unicredit cosa cambia

Essenzialmente, si tratta di una mossa che serve a valutare al meglio i paletti imposti dal governo con il Golden Power e comprendere se vi siano delle strade percorribili per Unicredit nel perseguire in modo vantaggioso l’offerta pubblica di scambio. Tra le limitazioni più pesanti per la banca guidata da Orcel vi sono l’obbligo di uscire dalla Russia entro nove mesi e il mantenimento degli investimenti di Anima in asset italiani.

Ricordiamo che Banco Bpm ha recentemente acquisito Anima. Secondo il ricorso di Unicredit, le prescrizioni del Golden Power applicate all’operazione non sono né chiare né allineate con la legislazione italiana ed europea.

Si teme che venga danneggiata non solo la libertà, ma anche la capacità di prendere decisioni conformi a una gestione prudente delle attività. Banco Bpm, contrario fin dall’inizio all’offerta pubblica di scambio, ha fatto sapere secondo quanto riportato dall’Ansa, che prenderà qualsiasi iniziativa necessaria a tutela di sé e dei propri azionisti.

Warren Buffett si dimette da Berkshire

Warren Buffett ha annunciato che lascerà Berkshire Hathaway. Lo ha fatto il 3 maggio 2025, una data che entrerà nella storia della finanza.

Warren Buffett una leggenda vivente

L’uomo è una leggenda vivente nel mondo finanziario e a 94 anni ha deciso di metterci un punto. Non sappiamo se questa decisione sia legata a un particolare evento della sua vita, ma l’impressione è che il magnate non abbia preso una decisione non ponderata.

Per molti, l’idea che Warren Buffett lasci la sua creatura è qualcosa di sorprendente e incredibile. Altri pensano che questo annuncio fosse nell’aria già da tempo. La road map è già stata definita e l’annuncio è arrivato nel corso dell’assemblea annuale degli azionisti della holding.

Al suo posto subentrerà Greg Abel, vicepresidente della società. Il passaggio formale, ovviamente previa approvazione del consiglio di amministrazione, avverrà entro la fine dell’anno. Si racconta che, al momento dell’annuncio, i presenti abbiano tributato a Warren Buffett una standing ovation. Non poteva essere altrimenti, dato ciò che quest’uomo ha sempre rappresentato, non solo per la sua società ma per l’intera economia mondiale.

Ben poche persone, del resto, arrivano alla sua età con la stessa lucidità. Alcune critiche nei suoi confronti erano giunte alla fine dello scorso anno, a causa dell’elevato accumulo di liquidità da parte di Berkshire: parliamo di oltre 318 miliardi di dollari in cassa e in titoli a scadenza entro l’anno. Secondo alcuni, questa scelta indicava una strategia fallimentare, rivelatasi poi più efficace del previsto di fronte agli sviluppi attuali.

La sua ossessione per i mercati azionari

È vero, allo stesso tempo, che a 94 anni Warren Buffett è pronto per andare in pensione. Dopo oltre 80 anni di ossessione per la Borsa, forse è giunto il momento di abbandonare questa attenzione quasi maniacale per il mercato azionario. Vale la pena ricordare che acquistò i suoi primi titoli nel 1942, all’età di 11 anni.

Va detto che il suo interesse per i bilanci aziendali, i piani di ammortamento e la finanza in generale ha dato ampiamente i suoi frutti. Non solo è riuscito ad accumulare una fortuna straordinaria, ma è anche riuscito a scrivere una parte fondamentale della storia della finanza mondiale.

Uno dei suoi punti di forza è sempre stata la memoria. Dote che ancora oggi non gli manca, insieme alla capacità di condurre una vita estremamente frugale. La sua casa è ancora quella acquistata per 31.500 dollari nel 1958, e non ha mai sprecato denaro in auto di lusso.

Ha anche fondato The Giving Pledge, iniziativa che invita i miliardari a donare la maggior parte della propria fortuna. E si è sempre impegnato in cause filantropiche, spesso attraverso la Bill & Melinda Gates Foundation.

Mediobanca e Banca Generali, lanciata Ops

Mediobanca e Banca Generali, cosa succede? Semplice: la prima ha deciso di lanciare un’offerta pubblica di scambio sulla totalità delle sue azioni. Il risiko bancario in atto in Italia si caratterizza di nuove mosse interessanti.

Cosa accade in Mediobanca

C’è chi sostiene che si tratti di un modo per Mediobanca di difendersi dall’Opa lanciata su di lei da Monte Paschi di Siena. La stessa, ricordiamo, per la quale il governo non ha voluto applicare il Golden Power. L’Ops della banca guidata da Alberto Nagel riguarda il 13,1% del suo capitale in Generali in cambio del 100% della controllata.

La storia tra le due banche non è recente: nel 2020 Mediobanca aveva già pensato di acquistare Banca Generali. Un’operazione che non era andata in porto per via degli azionisti più rilevanti di Mediobanca, forse anche a causa di un aumento di capitale che non aveva trovato calda accoglienza. Evidentemente anche per questi motivi Mediobanca ha deciso di approcciarsi a Banca Generali in modo differente.

Con il beneplacito del mercato, se pensiamo al fatto che entrambi i titoli sono riusciti ad accrescere in modo rilevante. Parlando di numeri, Mediobanca mette sul piatto un’offerta dal valore di 6,3 miliardi di euro con la quale, si sottolinea nella nota, intende rendere più veloce il suo posizionamento nel mercato del wealth management. Per lei, in questo caso, tale settore diverrebbe il proprio business prevalente, non solo prioritario. L’offerta riguarda, per ogni titolo posseduto in Generali da Mediobanca, 1,7 azioni di Banca Generali ex dividendo, con un premio implicito (in base ai valori del 25 aprile) dell’11%.

Un interessante svolta nel risiko bancario

L’operazione potrà concludersi solo dopo l’accettazione minima del 50%+1 ed esclusivamente se Generali si impegnerà in un lock-up delle azioni per 12 mesi. Senza ombra di dubbio, l’Ops lanciata da Mediobanca apporta un taglio decisamente più emozionante al risiko bancario italiano. Con questa svolta legata alla bancassurance, Mediobanca porterebbe alla trasformazione della sua quota in Generali in una vera alleanza dallo stampo industriale.

Un elemento che risponderebbe in modo importante all’Opa lanciata da MPS su Mediobanca. E non solo. Perché quest’ultima diventerebbe un leader del wealth management, con attivi in gestione per 210 miliardi, due miliardi di ricavi e una capacità di crescita superiore ai 15 miliardi.

Tutto ciò potrebbe infatti portare alla revisione di qualcosa relativa all’Opa di Mps. L’Ops di Mediobanca nei confronti di Banca Generali ha ricevuto il via libera, accompagnato però dall’astensione dei soci della lista Delfin. Questi, insieme a Caltagirone, diventerebbero i primi singoli azionisti se l’operazione dovesse avere successo.

Mercati, oscillazioni e incertezza per i dazi

I mercati stanno vivendo dei veri e propri giorni di passione: tutto a causa dei dazi posti da Donald Trump a livello globale. Con conseguenze che, con molta probabilità, le economie pagheranno a lungo.

Cosa sta accadendo ai mercati

I movimenti e le incertezze dei mercati rappresentano sempre un ostacolo per un’economia stabile. Dobbiamo poi sottolineare che il momento attuale, tra l’altro, è uno dei più incerti vissuti a livello globale fin dalla crisi dei mutui subprime del 2008.

Basti pensare che, in meno di mezzora, l’8 aprile Wall Street ha mosso circa 6000 miliardi di dollari. Per dare un’idea della grandezza di cui si parla, questi equivalgono a tre volte il PIL del nostro paese. Un movimento molto importante che va analizzato perché corrispondente a un determinato fatto.

Si era infatti sparsa la voce di una sospensione di 90 giorni dei dazi. Un pettegolezzo finanziario, poi smentito, che ha visto in 20 minuti passare l’indice S&P500 statunitense da -4% a +4%, e nuovamente a -4% in soli 20 minuti.

Lo ripetiamo: sono giorni difficili per i mercati in tutto il mondo. Lo abbiamo visto con le borse orientali e con quelle europee. Tutte le piazze finanziarie hanno perso moltissimo, in base ai rapporti dei propri titoli con gli Stati Uniti. E il VIX, considerato l'”indice della paura“, comunemente riferito alla volatilità dei listini, si trova al momento agli stessi livelli dei primi giorni dell’emergenza pandemica.

Va sottolineato come l’acquisto di titoli sia essenzialmente comparabile a una scommessa sul guadagno futuro dell’azienda a cui sono legati. I dazi lavorano sui mercati come le nubi di un temporale sul cielo: hanno influenza sull’andamento dell’economia e su una potenziale crescita da rincorrere.

Pronte contromisure dagli altri paesi

Il movimento dei mercati è sempre più imponente quando le notizie che arrivano sul fronte finanziario ed economico non sono quelle che gli investitori si aspettano. Perché le varie borse stanno reagendo così male? Non dipende solamente dall’annuncio di queste ulteriori tassazioni, ma dal fatto che Donald Trump stia rivedendo sempre al rialzo questa misura.

In molti hanno sperato che le sue fossero solo minacce prive di concretezza. Donald Trump sembra essere immune agli avvertimenti che gli vengono dati in merito a una recessione per gli Stati Uniti, un fattore che sta iniziando a infastidire anche gli investitori che lo hanno sostenuto e che potrebbero vedere i loro titoli scendere e i guadagni crollare.

Il fatto che Europa e Cina siano intenzionate a rispondere per le rime al presidente degli Stati Uniti con controdazi non sta migliorando la situazione, dato che alcuni titoli sarebbero particolarmente sensibili al cosiddetto effetto gregge. Una reale idea di come si muoveranno effettivamente i mercati si acquisirà man mano con il passare dei giorni e delle decisioni prese.