Inverse floater: vale la pena assumersi tutti questi rischi?

Gli inverse floater sono strumenti degni dei migliori thriller finanziari a causa delle loro caratteristiche peculiari. Si tratta, infatti, di titoli obbligazionari che beneficiano di scadenze molto lunghe e di una cedola variabile: queste variazioni sono appunto inversamente proporzionali all’andamento del tasso di riferimento, ecco perché hanno un nome così particolare. In un primo momento, poi, questi prodotti risultano molto appetibili per i loro ritorni economici, di gran lunga superiori al resto delle offerte, ma nelle fasi successive si può riuscire ad approfittare anche delle fasi di ribasso, in particolare quelle in cui le società emittenti sono costrette ad adottare tassi vicini allo zero. La tipica struttura di un inverse floater è caratterizzata dai cosiddetti “cap rate”, vale a dire il rapporto tra il reddito operativo netto prodotto da un determinato asset e il costo del capitale.


Sono proprio i rendimenti il fattore su cui gli investitori finanziari devono prestare la maggiore attenzione, anche perché i rischi sono sempre dietro l’angolo; in effetti, sono più che possibili perfino i rendimenti nulli, uno scenario che viene a prospettarsi quando i tassi di riferimento sono fin troppo in rialzo. Quali sono le offerte più importanti in tal senso? L’emittente che sicuramente può essere segnalata è la britannica Barclays, la quale è spesso solita puntare su tassi fissi molto alti e su rendimenti privi di floor, una delle opzioni che ha per oggetto i tassi di interesse.

Tra l’altro, le obbligazioni inverse possono essere suddivise in tre parti essenziali che compongono il tutto; anzitutto, si deve considerare l’acquisizione di un bond a medio o lungo termine che si avvale di una cedola fissa. In aggiunta, occorre aggiungere l’acquisizione di un interest rate swap, il tipico accordo contrattuale a termine con tanto di data di scadenza simile a quella del titolo; infine, non rimane che l’acquisizione di altri cap rate di copertura.

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