Beni rifugio: l’alternativa dei terreni agricoli

I dati relativi agli ultimi venti anni sono inequivocabili: le aree agricole del nostro paese non si sono svalutate, anzi sia il nord che il sud hanno fatto registrare degli incrementi percentuali piuttosto importanti. Questo vuol dire che tali terreni devono essere considerati dei beni rifugio su misura per gli investitori? Il fatto che l’inflazione e l’erosione non hanno intaccato minimamente questi beni fa riflettere, ma bisogna anche ricordare che l’andamento del mercato fondiario è stato caratterizzato da un declino, pur non troppo vistoso, delle compravendite, almeno secondo quanto rilevato dall’Inea (Istituto Nazionale di Economia Agraria). Nel corso del 2010, infatti, tali valori sono cresciuti di 0,8 punti percentuali a prezzi correnti, un incremento che non è stato in grado di compensare le perdite degli ultimi anni.

Le riduzioni in questione sono state provocate dalla redditività del settore primario, non molto accentuata di questi tempi, ma anche dalle difficoltà di accesso al credito; i compratori e i venditori sono sostanzialmente frenati dalla crisi economica attuale, ma comunque il bene rifugio riesce a reggere bene, con una tenuta complessiva dei valori in questione. Tra l’altro, bisogna anche sottolineare come la quota media del nostro paese (18mila euro per ogni singolo ettaro) è addirittura più alta rispetto a quella tedesca (13mila euro), della Spagna (10mila) e della Francia (seimila), anche se in Danimarca e in Olanda si è abituati a valori decisamente più alti.

Le regioni settentrionali italiane sono senza dubbio le più ricche da questo punto di vista, tanto che gli investitori possono diversificare in maniera perfetta nel mercato fondiario; il Mezzogiorno, invece, si contraddistingue per alcune aree specializzate, mentre mancano del tutto i sostegni da fornire alle economie locali e si vive in una struttura fondiaria fin troppo frammentata. Per il futuro, si dovranno considerare per gli investimenti fattori normativi di primo piano, come ad esempio le direttive comunitarie sui nitrati, le quali spingono i prezzi soprattutto nelle aree zootecniche.

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