Banco Bpm guarda verso Mps

Banco Bpm sembra guardare con interesse verso Mps. Da quel che è possibile estrapolare dalle parole di Giuseppe Castagna, punterebbe in quella direzione l’interesse della sua banca.

Cosa farà ora Banco Bpm

Qualcosa che, in teoria, dipenderebbe anche da quelle che saranno le intenzioni future di Crédit Agricole dopo il suo essere passato al 20% del capitale. Un atto che non sarebbe stato possibile se non ci fosse stato un tentativo di Ops di Unicredit su  Banco Bpm. È questo ciò che ha fatto notare l’amministratore delegato nel corso della conference call di presentazione dei conti semestrali.

Perché viene fatta questa sottolineatura? Molto semplice: l’essere saliti al 20% del capitale totale dà modo a Crédit Agricole di poter fare specifiche richieste. Queste dovranno poi essere giudicate in modo indipendente, ha sottolineato Giuseppe Castagna, nell’ottica di fare il meglio per i propri soci.

Nonostante Banco Bpm sia da poco reduce dal tentativo di scalata, non sembra assolutamente chiudere nulla per quel che riguarda il futuro. Soprattutto ora che le possibilità sono diverse e gli approcci differiscono. L’Ops da parte di Unicredit è stata vista sempre in modo abbastanza ostile e trattata di conseguenza.

Ora che questo “problema” è stato messo da parte, ovviamente per Banco Bpm è necessario tirare le somme e capire come muoversi da questo momento in poi. Non bisogna infatti dimenticare la presenza della banca di Castagna all’interno del capitale di Mps per il 9%. La banca senese è attualmente impegnata nella scalata a Mediobanca. Questo rende evidente come l’istituto di Castagna sia più che coinvolto all’interno di quello che è l’attuale risiko bancario italiano e di come la sua posizione sia molto più importante di quello che si possa pensare.

Attesa necessaria prima di decidere

L’amministratore delegato sottolinea però che aspetteranno dopo il primo round di consolidamento per vedere quale sarà effettivamente la situazione per decidere quali saranno le loro mosse. Gli analisti hanno infatti evidenziato come l’istituto non sia al momento limitato dai vincoli della passivity rule, proprio dopo il ritiro di Unicredit.

L’idea è quindi quella di attendere cosa accadrà ad Mps dopo la transazione su Mediobanca. Questo significa che bisognerà aspettare ancora alcune settimane. Dobbiamo ricordare infatti che, per quanto la banca milanese stia lavorando alacremente per portare i soci a un certo risultato, allo stesso tempo si sta muovendo con cautela per quel che riguarda Banca Generali e tutto ciò che ne consegue.

L’unica certezza che si ha al momento è che l’istituto si muoverà certamente con l’intenzione di mantenere a livelli ottimali sia la produttività che l’occupazione. Lo abbiamo visto con la resistenza posta nei confronti di Unicredit. Siamo sicuri che lo stesso accadrà nel caso in cui la situazione lo dovesse richiedere nuovamente

Iveco, vendita settore militare a Leonardo

Iveco sarà ceduta a Leonardo insieme al partner tedesco Rheinmetall per ciò che riguarda il settore militare, mentre per quel che concerne il settore civile agli indiani di Tata Motors.

Voglia di chiudere dossier Iveco in fretta

È evidente che John Elkann abbia voluto chiudere velocemente un dossier che da tempo era sul tavolo. Il tutto attraverso un via libera sostanziale da parte del consiglio di amministrazione di Iveco Group, riunito a Torino per i risultati del primo semestre.

Anche dalla capitale dovrebbero arrivare alcune novità per quel che concerne il consiglio di amministrazione di Leonardo. Anche in questo caso l’occasione è la relazione semestrale dei dati. Allo stesso tempo, è però palese la presenza di un occhio di riguardo nei confronti della chiusura con Iveco. Non dobbiamo dimenticare che parliamo di un accordo da raggiungere ormai da quasi un anno e mezzo.

Come già anticipato da Il Fatto Quotidiano qualche giorno fa, cedere l’attività militare della società Iveco Defense Vehicles, è il primo livello da superare per vendere una porzione molto più ampia della società controllata da Exor con il 27,06% del capitale. La IDV è in mano a Iveco Group al 100% ed era fondamentale stabilire in modo adeguato cosa sarebbe rimasto in Italia, potenzialmente come voluto anche dalla premier Giorgia Meloni, e cosa poteva essere ceduto all’estero.

Capitale soddisfatto in tutti i casi

Tenendo conto che Leonardo è controllata al 30,2% dallo Stato, i desideri dell’esecutivo sostanzialmente risultano essere soddisfatti. Nonostante all’interno della cordata vi sia anche Rheinmetall, conosciuta per essere una delle società più importanti esistenti per quel che concerne gli armamenti terrestri.

Ricordiamo che i tedeschi, insieme a Leonardo, sono parte di una joint venture per la produzione di blindati a ruote e carri armati per l’esercito italiano, con una commessa di circa 23,2 miliardi in 10 anni. La stessa commessa alla quale parteciperà come fornitore IDV. Bisogna sottolineare che fino a qualche ora fa non erano ancora stati fatti nomi specifici, sebbene la situazione risultasse essere abbastanza chiara da tempo.

Riuscire a gestire in questo modo il settore militare di produzione Iveco consente di accontentare tutti. Soprattutto in un periodo nel quale l’attuale situazione geopolitica porta le aziende fornitrici della Difesa a una crescita importante.

È abbastanza semplice ipotizzare come questa soluzione non porterà problemi a nessuna delle parti coinvolte. Anzi. Anche nell’ottica del riarmo europeo in atto, i vari interlocutori otterranno tutti quanti potenzialmente ciò che desiderano. Tra tutti anche lo Stato italiano che, come già sottolineato, possiede capitale in Leonardo.

 

Unicredit rinuncia a Ops su Banco Bpm

Unicredit rinuncia alla sua Ops su Banco Bpm. Una mossa che non sorprende più di tanto anche se ci aspettavamo un comportamento diverso dalla banca di Andrea Orcel.

unicredit blocca dividendi fino ottobre

Unicredit ha ritirato ufficialmente l’offerta

Senza dubbio il tentativo di scalata di Unicredit su Banco Bpm è stato uno dei tasselli del risiko bancario italiano che più hanno appassionato. In fin dei conti quest’ultimo è il terzo gruppo italiano per dimensioni. E il fatto di essersi ritrovato al centro di un’offerta pubblica di scambio da parte di Unicredit ha lasciato il segno. Soprattutto perché parliamo di un’operazione da 10 miliardi di euro che però si è chiusa con un nulla di fatto.

Non dobbiamo dimenticare che ciò è avvenuto per via di tutta una serie di ostacoli posti sul cammino di questa scalata anche per mano del governo italiano.

Quando a novembre 2024 Unicredit ha lanciato la sua offerta pubblica di scambio, la reazione del Consiglio di amministrazione di Banco Bpm è stata netta. Totale contrarietà. L’’offerta, secondo la banca di Giuseppe Castagna, non valorizzava adeguatamente l’istituto. Inoltre il premio proposto era minimo: appena lo 0,5% sopra il valore di mercato.

A non piacere al management di Banco Bpm era principalmente la mancanza di un chiaro progetto industriale. Non c’era una visione chiara su sinergie, gestione futura o tutela dei dipendenti. Non erano quindi comprensibili le ragione alla base di questa operazione.

Golden Power fondamentale in negativo

Il governo italiano ha poi attivato il Golden Power, ovvero il potere di mettere condizioni a operazioni considerate strategiche. Tra queste, il mantenimento dell’occupazione, il presidio del territorio e l’uscita dai mercati russi.

Banco Bpm si è trovata praticamente “in mezzo” a una “lotta” più ampia tra Unicredit e lo Stato italiano. Nonostante le aperture europee e del Tar del Lazio, la banca di Orcel ha preferito ritirare l’offerta lo scorso 22 luglio.

Fattore questo che non ha causato dispiacere a Banco Bpm che ha tenuto il punto ed è riuscita in questo modo a evitare la scalata. Difendendo a spada tratta quella che era la propria visione industriale e identità. Ci si aspetta ora una mossa da parte del primo azionista Crédit Agricole che potrebbe lanciare una fusione partendo proprio dalla sua quota del 20%.

Insomma, il risiko bancario italiano non si concluderà sicuramente con l’abbandono della scalata da parte di Unicredit. Bisogna semplicemente capire come i vari interlocutori decideranno di muoversi eventualmente. E se ci saranno altri colpi di scena. Voi cosa ne pensate? Banco Bpm rimarrà ferma o sarà costretta a confrontarsi ancora con simili scenari?

Berlusconi, come investono gli eredi

I figli di Berlusconi: come investono e quanto guadagnano a due anni dalla sua morte? È una domanda che Il Corriere della Sera si è posto, partendo dai risultati del bilancio di Fininvest e di quelli delle controllate e partecipate.

Come investono i figli minori di Silvio Berlusconi

È innegabile che, quando si parla del cognome Berlusconi, si parli comunque di un impero industriale e immobiliare molto ampio, del quale fanno parte non solo gli investimenti “ufficiali” legati a Fininvest, ma anche le attività dei tre figli più giovani del Cavaliere rispetto a Pier Silvio e Marina. Quali sono quindi gli investimenti di Barbara, Eleonora e Luigi che, da quel che sappiamo, hanno delle attività proprie al di fuori della principale azienda di famiglia?

Ovviamente, non si può prescindere dal family office H14, gestito da Luigi, conosciuto tra i figli di Berlusconi come un investitore non avvezzo ai colpi di testa. Sappiamo inoltre che sia Luigi che Barbara possiedono delle holding personali, ma è attraverso questa holding in comune tra i tre fratelli che passano diverse attività riconducibili a tutti e tre.

Barbara, nello specifico, lo scorso anno ha perso 1,7 milioni a causa della svalutazione del portafoglio, all’interno del quale si trovava anche la sua ex holding MiHome. Più in generale, la manager possiede una quota in Caravel, legata a diritti su un’impresa nelle Filippine e detiene anche una partecipazione nella Cardi Gallery. Di lei si sa, inoltre, che abbia investito in modo rilevante in un’impresa sociale di Monza che si occupa di tutoring scolastico.

Innovazione e digitale i progetti più interessanti

Luigi Berlusconi, pur avendo un approccio cauto agli investimenti, è coinvolto sia nella Holding Italiana Quattordicesima, legata a Fininvest, sia nella già citata H14. Tuttavia, per alcune operazioni si muove attraverso la sua piccola finanziaria personale, E.I. Holding, la quale è suddivisa in tre sub-holding attraverso le quali investe nei settori dell’innovazione e del digitale. Il suo è un portafoglio modesto, all’interno del quale figura anche la sopracitata MiHome di Lorenzo Guerrieri, marito della sorella Barbara: questa, attraverso il brand Domya, affitta e gestisce appartamenti di lusso all’interno di un immobile in via Manzoni.

Insieme alla sorella Barbara, Luigi figura anche all’interno di Unaluna, una media company digitale fondata nel 2021 da Francesca Muggeri e Franco Villa, che produce due progetti di rilievo: parliamo di The Muffa, un canale social focalizzato su sostenibilità e ambiente, e della più nota Whoopsee. Un portale di moda e gossip, dove compaiono anche quote di Leonardo Maria Del Vecchio, della famiglia Elkann, e la presenza nel cda del referente italiano di Elon Musk, Andrea Stroppa.

 

Risiko bancario, il punto della situazione

Risiko bancario? Facciamo il punto della situazione. Senza dubbio, negli ultimi mesi gli istituti bancari italiani si sono dati molto da fare, creando fitte reti di operazioni nelle quali possiamo cercare di districarci.

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Chi sta giocando a risiko bancario

Chi ha scelto di utilizzare il termine risiko bancario, di sicuro l’ha fatto conscio delle conseguenze, visibili a tutti, di queste continue operazioni. È un dato di fatto che la maggior parte degli istituti bancari sia stata intenzionata, in questi ultimi mesi, ad ampliare il proprio controllo. Utilizzando operazioni pubbliche di acquist e operazioni pubbliche di scambio, per tentare scalate di diverso genere. E costringendo il governo a impugnare il Golden Power in un settore dove rappresenta, più o meno, una novità.

Tra le maggiori protagoniste di questo risiko bancario, Unicredit è senza dubbio una delle più attive. Soprattutto perché l’offerta pubblica di scambio nei confronti di Banco Bpm è arrivata praticamente a stretto giro rispetto all’acquisizione del 30% della tedesca Commerzbank. Piazza Meda non ha gradito questo tentativo, e si è in attesa della decisione da parte del Tar del Lazio in merito al suo ricorso.

Dobbiamo ricordare che Unicredit ha subito l’applicazione del Golden Power da parte del governo, con conseguenti paletti da rispettare nei confronti dell’operazione. Qualcosa che potrebbe portare la banca di Andrea Orcel a non portare a compimento l’operazione stessa.

Non dobbiamo dimenticare che Banco Bpm, al momento dell’offerta pubblica di scambio, aveva appena concluso analogamente l’acquisto di Anima Holding ed era entrata nel capitale di Mps. La stessa Monte Paschi di Siena che si è mossa per scalare Mediobanca.

Intrecci di operazioni e capitali

Com’è possibile notare, si tratta di continui intrecci di capitali e di operazioni che, se andranno in porto, cambieranno in modo sostanziale l’assetto attuale del settore. Questa partita di risiko bancario non rischia, senza dubbio, di annoiare. Una delle attese più stringenti, come già anticipato, riguarda il Tar e il ricorso presentato da Banco Bpm.

L’istituto di Banca Meda non ha mai visto di buon occhio il tentativo di scalata da parte di Unicredit. Si temono soprattutto, infatti, ripercussioni sul settore occupazionale. Va detto che anche Banco Bpm, dal canto suo, non è stata ferma a guardare. Ha infatti acquisito Anima Holding grazie a un’offerta pubblica d’acquisto lanciata a dicembre 2024. Ma, in pratica, insieme a Mps sta tentando la scalata a Mediobanca, per via del suo capitale all’interno della banca senese.

Anche Mediobanca non vede di buon occhio l’offerta di Mps e si è impegnata, forse nel tentativo di rendere più difficili le cose alla banca toscana, nell’acquisto di Banca Generali. Attraverso un’offerta pubblica di scambio che ha messo sul piatto il 13% da lei posseduto in Assicurazioni Generali. Va detto però che, in tal senso, l’assemblea di presentazione dell’offerta è stata spostata da giugno a settembre, quando si saprà già se MPS sarà riuscita nella scalata o meno.

Una cosa è certa: questo risiko bancario non annoia davvero.

Tesla, gli investimenti retail reggono ancora

Gli investimenti di Tesla reggono ancora nonostante il doppio downgrade subito. Qualcosa che non molti si aspettavano, nonostante il declassamento ottenuto da parte di Baird e Argus Research.

Investimenti retail in Tesla ancora alti

Elon Musk potrà anche aver lasciato il governo americano ed essere impegnato attualmente in una lotta “intestina” con il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Ma l’azienda di cui è ceo continua a rimanere in piedi nonostante le difficoltà e il crollo in Borsa. Gli investitori retail sembrano non vivere tutto questo caos con preoccupazione. Senza dubbio, Elon Musk ha perso la scorsa settimana circa 36 miliardi di dollari del suo patrimonio personale e il calo del 15% delle azioni Tesla non è stato privo di conseguenze. Anche se occorso lungo 5 sedute differenti.

Quelli che è possibile delineare come i suoi sostenitori più incrollabili hanno essenzialmente comprato al ribasso. È stato registrato, in merito a un fondo ETF che riproduce i movimenti del titolo, un afflusso per ben 651 milioni di dollari. Si tratta del record per questo strumento, lanciato nel 2022. E, ancor più interessante, rappresenta più del triplo rispetto all’intero 2024, anno in cui Tesla ha visto le sue azioni salire di oltre il 60%.

Analizzando l’intera situazione di Tesla, va sottolineato che il calo registrato non è legato solamente alla rottura violenta tra Donald Trump ed Elon Musk. Alla fine di maggio, il mercato di riferimento subiva già forti cali nelle vendite derivanti da Cina ed Europa, tra l’altro sempre legati alla partecipazione di Musk al governo Trump. Soprattutto per quel che concerne il mercato europeo.

Andamento aziendale dipendente da diversi fattori

A tutto ciò è possibile aggiungere gli effetti della concorrenza della Cina, la quale offre veicoli elettrici in modo più capillare e a prezzi più vantaggiosi. Ovviamente, lo scontro tra il presidente e il magnate ha avuto il suo peso a inizio giugno. Soprattutto nel momento in cui il ceo di SpaceX ha demolito la proposta di legge di bilancio e di riforma fiscale americana. Evento al quale è seguita la minaccia di rescissione dei contratti governativi tra la Casa Bianca e le aziende di Elon Musk.

È evidente che Tesla non stia passando un periodo tra i più rosei. E, sebbene le due società che hanno eseguito il downgrade non abbiano eccessivo peso a Wall Street, sono comunque sinonimo del malcontento che sta pian piano conquistando gli analisti per quel che riguarda l’azienda. Tra le big cap, Tesla è attualmente la meno amata a livello statistico, con i titoli che conquistano o perdono importanza più per eventi personali che per l’andamento aziendale nudo e crudo.

Come già anticipato, però, agli investitori retail questo non interessa, dato che hanno comunque comprato azioni di Tesla in tutti questi mesi. Forse perché convinti che, comprando a un minor costo, una volta eliminato Elon Musk dall’equazione sarà più semplice guadagnare con il titolo?

Unicredit e Banco Bpm, a che punto siamo?

Unicredit e Banco BPM: a che punto siamo con l’intera questione? L’Ops è stata lanciata, il Golden Power applicato e attualmente il Tar del Lazio ha tra le mani ben due questioni inerenti all’operazione.

tassi negativi ed unicredit cosa cambia

Unicredit e Banco Bpm, il punto della situazione

La prima è il ricorso proposto da Unicredit per avere chiarezza in merito ai paletti imposti dal Governo con il Golden Power. La seconda è quella presentata dalla banca di via Meda contro il maggior tempo concesso dalla Consob alla banca di Orcel per la chiusura dell’operazione. Ricordiamo che la scadenza è stata fissata a luglio inoltrato.

Nel corso del 129° Consiglio Nazionale della FABI il ceo di Unicredit, Andrea Orcel, ha sottolineato che se dovessero rimanere queste le condizioni, l’operazione sarebbe da considerare tutt’altro che economica. Fattori che la renderebbero, in caso di mancata risoluzione a livello legale soggetta a un possibile ritiro e a una successiva, potenziale, riproposizione.

È ovvio che la decisione del Tar, attesa da entrambi gli istituti di credito, fungerà da discriminante dell’intera questione. Davvero, in questo momento, possiamo parlare di un effettivo risiko bancario. Dove i colpi di scena non mancano. Così come i cambiamenti da affrontare per tutti gli interlocutori, almeno quelli potenziali.

Per Unicredit, infatti, a livello industriale, questa operazione è senza dubbio conveniente e da portare avanti. I tempi potrebbero però allungarsi fino a coinvolgere il Consiglio di Stato. E superando le date di scadenza fissate vi sarebbero ulteriori costi importanti, con la conseguente necessità per la banca di Orcel di rivedere l’intera questione.

Maggiori costi e criticità

Il Golden Power e i paletti imposti dall’Esecutivo sono ostacoli legali superabili, ma la loro stessa natura li rende risolvibili solo con un aumento del costo economico dell’operazione. Un prezzo piuttosto elevato per Unicredit, soprattutto se le limitazioni dovessero permanere. Una criticità che si aggiungerebbe a quella potenzialmente legata alla decisione finale del Consiglio di Stato, che potrebbe essere richiesta da Banco Bpm. E che non arriverebbe in tempo utile per la chiusura dell’Ops.

Come già sottolineato, la banca di Andrea Orcel potrebbe ritirare l’offerta e ripresentarla in futuro. Nel corso dell’incontro si è parlato anche dell’Ops di Mediobanca su Banca Generali, ritenuta da molti una mossa molto interessante all’interno del risiko bancario attuale. La quale potrebbe aiutare la banca di Milano a gestire in modo migliore l’Opa di Mps nei suoi confronti.

Tutta questa voglia di “allargamento” dei grandi istituti di credito, nei confronti di altri dai buoni bilanci, deriva fondamentalmente dalla volontà di essere più competitivi a livello europeo. Dove un approccio di tipo paneuropeo viene visto come lo strumento più adatto per affrontare le nuove sfide, sia internazionali sia nazionali, del settore.

Warren Buffett si dimette da Berkshire

Warren Buffett ha annunciato che lascerà Berkshire Hathaway. Lo ha fatto il 3 maggio 2025, una data che entrerà nella storia della finanza.

Warren Buffett una leggenda vivente

L’uomo è una leggenda vivente nel mondo finanziario e a 94 anni ha deciso di metterci un punto. Non sappiamo se questa decisione sia legata a un particolare evento della sua vita, ma l’impressione è che il magnate non abbia preso una decisione non ponderata.

Per molti, l’idea che Warren Buffett lasci la sua creatura è qualcosa di sorprendente e incredibile. Altri pensano che questo annuncio fosse nell’aria già da tempo. La road map è già stata definita e l’annuncio è arrivato nel corso dell’assemblea annuale degli azionisti della holding.

Al suo posto subentrerà Greg Abel, vicepresidente della società. Il passaggio formale, ovviamente previa approvazione del consiglio di amministrazione, avverrà entro la fine dell’anno. Si racconta che, al momento dell’annuncio, i presenti abbiano tributato a Warren Buffett una standing ovation. Non poteva essere altrimenti, dato ciò che quest’uomo ha sempre rappresentato, non solo per la sua società ma per l’intera economia mondiale.

Ben poche persone, del resto, arrivano alla sua età con la stessa lucidità. Alcune critiche nei suoi confronti erano giunte alla fine dello scorso anno, a causa dell’elevato accumulo di liquidità da parte di Berkshire: parliamo di oltre 318 miliardi di dollari in cassa e in titoli a scadenza entro l’anno. Secondo alcuni, questa scelta indicava una strategia fallimentare, rivelatasi poi più efficace del previsto di fronte agli sviluppi attuali.

La sua ossessione per i mercati azionari

È vero, allo stesso tempo, che a 94 anni Warren Buffett è pronto per andare in pensione. Dopo oltre 80 anni di ossessione per la Borsa, forse è giunto il momento di abbandonare questa attenzione quasi maniacale per il mercato azionario. Vale la pena ricordare che acquistò i suoi primi titoli nel 1942, all’età di 11 anni.

Va detto che il suo interesse per i bilanci aziendali, i piani di ammortamento e la finanza in generale ha dato ampiamente i suoi frutti. Non solo è riuscito ad accumulare una fortuna straordinaria, ma è anche riuscito a scrivere una parte fondamentale della storia della finanza mondiale.

Uno dei suoi punti di forza è sempre stata la memoria. Dote che ancora oggi non gli manca, insieme alla capacità di condurre una vita estremamente frugale. La sua casa è ancora quella acquistata per 31.500 dollari nel 1958, e non ha mai sprecato denaro in auto di lusso.

Ha anche fondato The Giving Pledge, iniziativa che invita i miliardari a donare la maggior parte della propria fortuna. E si è sempre impegnato in cause filantropiche, spesso attraverso la Bill & Melinda Gates Foundation.

Mediobanca e Banca Generali, lanciata Ops

Mediobanca e Banca Generali, cosa succede? Semplice: la prima ha deciso di lanciare un’offerta pubblica di scambio sulla totalità delle sue azioni. Il risiko bancario in atto in Italia si caratterizza di nuove mosse interessanti.

Cosa accade in Mediobanca

C’è chi sostiene che si tratti di un modo per Mediobanca di difendersi dall’Opa lanciata su di lei da Monte Paschi di Siena. La stessa, ricordiamo, per la quale il governo non ha voluto applicare il Golden Power. L’Ops della banca guidata da Alberto Nagel riguarda il 13,1% del suo capitale in Generali in cambio del 100% della controllata.

La storia tra le due banche non è recente: nel 2020 Mediobanca aveva già pensato di acquistare Banca Generali. Un’operazione che non era andata in porto per via degli azionisti più rilevanti di Mediobanca, forse anche a causa di un aumento di capitale che non aveva trovato calda accoglienza. Evidentemente anche per questi motivi Mediobanca ha deciso di approcciarsi a Banca Generali in modo differente.

Con il beneplacito del mercato, se pensiamo al fatto che entrambi i titoli sono riusciti ad accrescere in modo rilevante. Parlando di numeri, Mediobanca mette sul piatto un’offerta dal valore di 6,3 miliardi di euro con la quale, si sottolinea nella nota, intende rendere più veloce il suo posizionamento nel mercato del wealth management. Per lei, in questo caso, tale settore diverrebbe il proprio business prevalente, non solo prioritario. L’offerta riguarda, per ogni titolo posseduto in Generali da Mediobanca, 1,7 azioni di Banca Generali ex dividendo, con un premio implicito (in base ai valori del 25 aprile) dell’11%.

Un interessante svolta nel risiko bancario

L’operazione potrà concludersi solo dopo l’accettazione minima del 50%+1 ed esclusivamente se Generali si impegnerà in un lock-up delle azioni per 12 mesi. Senza ombra di dubbio, l’Ops lanciata da Mediobanca apporta un taglio decisamente più emozionante al risiko bancario italiano. Con questa svolta legata alla bancassurance, Mediobanca porterebbe alla trasformazione della sua quota in Generali in una vera alleanza dallo stampo industriale.

Un elemento che risponderebbe in modo importante all’Opa lanciata da MPS su Mediobanca. E non solo. Perché quest’ultima diventerebbe un leader del wealth management, con attivi in gestione per 210 miliardi, due miliardi di ricavi e una capacità di crescita superiore ai 15 miliardi.

Tutto ciò potrebbe infatti portare alla revisione di qualcosa relativa all’Opa di Mps. L’Ops di Mediobanca nei confronti di Banca Generali ha ricevuto il via libera, accompagnato però dall’astensione dei soci della lista Delfin. Questi, insieme a Caltagirone, diventerebbero i primi singoli azionisti se l’operazione dovesse avere successo.

Mercati, oscillazioni e incertezza per i dazi

I mercati stanno vivendo dei veri e propri giorni di passione: tutto a causa dei dazi posti da Donald Trump a livello globale. Con conseguenze che, con molta probabilità, le economie pagheranno a lungo.

Cosa sta accadendo ai mercati

I movimenti e le incertezze dei mercati rappresentano sempre un ostacolo per un’economia stabile. Dobbiamo poi sottolineare che il momento attuale, tra l’altro, è uno dei più incerti vissuti a livello globale fin dalla crisi dei mutui subprime del 2008.

Basti pensare che, in meno di mezzora, l’8 aprile Wall Street ha mosso circa 6000 miliardi di dollari. Per dare un’idea della grandezza di cui si parla, questi equivalgono a tre volte il PIL del nostro paese. Un movimento molto importante che va analizzato perché corrispondente a un determinato fatto.

Si era infatti sparsa la voce di una sospensione di 90 giorni dei dazi. Un pettegolezzo finanziario, poi smentito, che ha visto in 20 minuti passare l’indice S&P500 statunitense da -4% a +4%, e nuovamente a -4% in soli 20 minuti.

Lo ripetiamo: sono giorni difficili per i mercati in tutto il mondo. Lo abbiamo visto con le borse orientali e con quelle europee. Tutte le piazze finanziarie hanno perso moltissimo, in base ai rapporti dei propri titoli con gli Stati Uniti. E il VIX, considerato l'”indice della paura“, comunemente riferito alla volatilità dei listini, si trova al momento agli stessi livelli dei primi giorni dell’emergenza pandemica.

Va sottolineato come l’acquisto di titoli sia essenzialmente comparabile a una scommessa sul guadagno futuro dell’azienda a cui sono legati. I dazi lavorano sui mercati come le nubi di un temporale sul cielo: hanno influenza sull’andamento dell’economia e su una potenziale crescita da rincorrere.

Pronte contromisure dagli altri paesi

Il movimento dei mercati è sempre più imponente quando le notizie che arrivano sul fronte finanziario ed economico non sono quelle che gli investitori si aspettano. Perché le varie borse stanno reagendo così male? Non dipende solamente dall’annuncio di queste ulteriori tassazioni, ma dal fatto che Donald Trump stia rivedendo sempre al rialzo questa misura.

In molti hanno sperato che le sue fossero solo minacce prive di concretezza. Donald Trump sembra essere immune agli avvertimenti che gli vengono dati in merito a una recessione per gli Stati Uniti, un fattore che sta iniziando a infastidire anche gli investitori che lo hanno sostenuto e che potrebbero vedere i loro titoli scendere e i guadagni crollare.

Il fatto che Europa e Cina siano intenzionate a rispondere per le rime al presidente degli Stati Uniti con controdazi non sta migliorando la situazione, dato che alcuni titoli sarebbero particolarmente sensibili al cosiddetto effetto gregge. Una reale idea di come si muoveranno effettivamente i mercati si acquisirà man mano con il passare dei giorni e delle decisioni prese.

Dazi, gli investitori puntano sull’oro

A causa dei dazi, gli investitori puntano sull’oro. La ragione è molto semplice: l’incertezza che questi contribuiscono a generare spinge il prezzo del metallo prezioso a crescere sempre di più.

oro

I dazi spingono il prezzo dell’oro

Un’occorrenza prevedibile nella sua interezza, se pensiamo all’attuale situazione economica mondiale. Donald Trump e i dazi rappresentano forse una delle più grandi sfide economiche degli ultimi 10 anni, se non di più. Tenendo conto del fatto che, anche per quanto riguarda la politica interna ed estera, ci troviamo davanti a un mandato molto differente da quello del 2016.

L’incertezza che scaturisce dalla politica attuale statunitense colpisce il sistema economico come mai successo prima. Ed essendo l’oro considerato un bene rifugio, va da sé che con la crescita del suo valore anche gli investitori decidano di puntare più su questo tipo di bene che su altri.

L’oro ha superato i 3.000 dollari l’oncia, raggiungendo i 3.148 dollari. Diventa, nella pratica, un’occasione imperdibile per qualsiasi investitore che voglia mantenere il proprio portafoglio il più stabile e fruttuoso possibile. Soprattutto perché l’incertezza attuale sembra essere più intensa di quella riscontrata addirittura durante il periodo del Covid.

I dazi difficilmente rappresentano uno strumento totalmente positivo e il presidente Donald Trump sembra non aver capito che, con molta probabilità, saranno un mezzo che si ritorcerà contro di lui. Impatteranno infatti molto sull’economia americana e anche su quella globale. L’oro rappresenta il bene rifugio per eccellenza e di conseguenza gli investitori punteranno sempre su di esso alla ricerca di una stabilità effettiva.

Investitori vogliono aumentare liquidità

sospensio dazi america

Secondo il Financial Times, la fuga dell’oro in atto sarebbe la più importante registrata da un qualsiasi asset di rifugio negli ultimi tempi, contanti e Treasury statunitensi compresi.

L’attuale presidente americano parla di “giorno della liberazione“: in realtà, i dazi faranno tutt’altro, facendo crescere l’inflazione e la crisi sul territorio americano. I maggiori esperti sottolineano la necessità di non prendere sottogamba un’eventuale guerra commerciale, al netto di chi sarà a pagarne di più. Gli investitori, secondo Bank of America, stanno cercando di aumentare la liquidità nei propri portafogli e stanno pianificando di aumentare i loro investimenti in oro.

Il metallo è giunto a New York fisicamente in gran numero e sotto forma di lingotti. Ricordiamo che nella città statunitense sono presenti le scorte sul COMEX. Cosa succederà quindi? La verità è che tutto dipende da come i destinatari dei dazi decideranno di reagire. Se vi fosse una diversificazione e un reindirizzamento dei mercati ben calibrato tra gli altri paesi, gli Stati Uniti potrebbero trovarsi a soffrire in maniera davvero significativa a causa della loro stessa politica.

Poste Italiane compra le quote Tim di Vivendi

Poste Italiane compra le quote di Tim appartenenti a Vivendi. Ed entra nell’azienda in grande spolvero, riportando di fatto il controllo italiano all’interno della società di telecomunicazioni.

Cosa ha fatto Poste Italiane

Come è successo tutto ciò? Se c’è un’occorrenza palese, è quella che Vivendi fosse in procinto di trovare il modo di svincolarsi dall’azienda italiana ormai da diverso tempo. Già lo scorso mese i francesi erano scesi al 18,3% da un iniziale 23,75% di quota capitale in Tim. Grazie alla vendita di oltre il 15% a Poste Italiane, Vivendi è riuscita a distaccarsi facilmente dal suo ruolo, portando di fatto Poste Italiane a diventare il nuovo socio di maggioranza.

Tecnicamente, l’operazione vale circa 684 milioni di euro, con ogni azione del pacchetto interessato quotata a 0,2975 euro. Il consiglio di amministrazione del gruppo, guidato da Matteo Del Fante, ha dato il proprio via libera senza troppi problemi.

Elemento che non ci stupisce più di tanto, dati i problemi ormai di lunga data tra Tim e Vivendi. In realtà, non è nemmeno una sorpresa che Poste Italiane abbia acquistato in modo così imponente dato che, grazie a uno swap di partecipazioni con Cassa Depositi e Prestiti, già lo scorso mese si era portata al 9,8% del capitale.

Dobbiamo sottolineare che l’azienda ha chiarito di non essere intenzionata a superare, all’interno di Tim, la quota del 25%. Nel caso questo dovesse accadere, infatti, sarebbe obbligata a lanciare un’OPA, azione che non vuole assolutamente intraprendere. Questa operazione e in generale il riassetto sono in linea, come sottolineano la maggior parte degli analisti, con l’intenzione governativa di mantenere una forte presenza nazionale nel settore delle telecomunicazioni. In modo tale da proteggere l’ex monopolista.

Natura strategica dell’investimento

Lo scorporamento della rete e il conseguente abbattimento del debito, infatti, potevano rendere Tim appetibile per un’eventuale scalata da parte di terzi di stampo internazionale. La storia dell’ex monopolista delle telecomunicazioni ci insegna che la parentesi Vivendi non sia stata una delle migliori per l’intera azienda, soprattutto per quanto riguarda la gestione.

In questo modo, Tim risulta ormai praticamente blindata contro attacchi provenienti dall’estero. Dobbiamo sottolineare che l’operazione è condizionata in maniera sospensiva dalla notifica dell’Antitrust. Più in generale Poste Italiane ha sottolineato, all’interno di un comunicato, che questo investimento è caratterizzato da una natura strategica fondamentale per il suo interesse industriale a lungo termine.

In questo modo, si favoriranno sinergie in grado di portare valore e guadagno sia per Poste Italiane che per Tim, nonché per gli stakeholder.

Avviare un’attività: come ottenere denaro da investire?

Avviare una nuova attività è un passo significativo e stimolante, ma richiede una pianificazione accurata e una buona gestione delle risorse finanziarie. Una delle prime sfide che molti imprenditori si trovano ad affrontare è quella di reperire il denaro necessario per finanziare la propria impresa. Fortunatamente, esistono diverse opzioni di finanziamento, tra cui contributi a fondo perduto e prestiti a tasso agevolato, che possono facilitare l’avvio di una piccola impresa.

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Stellantis, John Elkann: auto in Italia grazie a noi

Senza Stellantis l’industria delle auto non sarebbe più in Italia. E questo uno dei passaggi che hanno più attirato l’attenzione del discorso di John Elkann nel corso della recente audizione alla Camera.

Stellantis riferisce alla Camera sui suoi piani

Il presidente dell’ex Fiat sottolinea come la storia dell’Italia e dell’automobile siano strettamente legate. E di come nonostante il passare del tempo e le difficoltà acquisite dal mercato quella dell’automotive è una realtà ancora presente nella Penisola.

Non manca di mostrare orgoglio per Stellantis e per la storia decennale dell’automobile italiana. Il manager interviene nel corso dell’audizione come attuale responsabile della gestione operativa dell’azienda, in attesa di nominare il nuovo ceo dopo l’abbandono di Carlos Tavares. John Elkann sottolinea come la successione si stia muovendosi secondo i tempi stabiliti e di come il nuovo amministratore delegato di Stellantis sarà annunciato entro i primi sei mesi del 2025.

Il rapporto di Stellantis con il Governo e in generale gli italiani negli ultimi anni si è un po’ raffreddato rispetto al passato. E ce lo ricorda anche lo stesso Elkann nel momento in cui sottolinea come la Fiat negli anni 2000 abbia incontrato diversi problemi.

È evidente che il mercato un tempo fosse differente e di come, secondo Elkann, un po’ di colpa sia da attribuire anche alla transizione energettica. La realtà dei fatti vuole che siano cadute le immatricolazioni e con esse anche l’occupazione. E se una volta acquistare un auto era più semplice, adesso con il calo delle retribuzioni e la crisi una simile compravendita per i consumatori diventa più difficile.

È un cane che si morde la coda, qualcosa che non sempre risulta essere chiaro al comparto industriale.

Deve essere fatto di più in base a ciò che si è ricevuto

Bisogna infatti tenere da conto di come l’azienda in passato abbia potuto usufruire di aiuti di una certa tipologia, ai quali  econdo la politica dovrebbe corrispondere da parte dell’azienda non solo l’impegno attuale ma anche un tentativo maggiore di risoluzione delle criticità.

È infatti impossibile non tenere conto degli stabilimenti in cassa integrazione qui in Italia mentre l’azienda, come sottolineano diversi esponenti politici della maggioranza e dell’opposizione, ha investito e assunto all’estero.

Come riportato dalla maggior parte dei politici di entrambe le parti, tutti attendono i segni dell’applicazione dei piani di investimento relativi all’Italia. Dato che attualmente sembrano esservi più segnali di disinvestimento piuttosto che d’impegno.

Da una parte quindi vi è un’azienda che sottolinea come gli impegni presi siano in fase di realizzazione secondo i tempi prestabiliti. E dall’altra una politica che sottolinea come al momento a essere stati realizzati non siano i fatti. A prescindere da qualsiasi coinvolgimento dell’Europa nel settore.