Unicredit e Banco Bpm, a che punto siamo?

Unicredit e Banco BPM: a che punto siamo con l’intera questione? L’Ops è stata lanciata, il Golden Power applicato e attualmente il Tar del Lazio ha tra le mani ben due questioni inerenti all’operazione.

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Unicredit e Banco Bpm, il punto della situazione

La prima è il ricorso proposto da Unicredit per avere chiarezza in merito ai paletti imposti dal Governo con il Golden Power. La seconda è quella presentata dalla banca di via Meda contro il maggior tempo concesso dalla Consob alla banca di Orcel per la chiusura dell’operazione. Ricordiamo che la scadenza è stata fissata a luglio inoltrato.

Nel corso del 129° Consiglio Nazionale della FABI il ceo di Unicredit, Andrea Orcel, ha sottolineato che se dovessero rimanere queste le condizioni, l’operazione sarebbe da considerare tutt’altro che economica. Fattori che la renderebbero, in caso di mancata risoluzione a livello legale soggetta a un possibile ritiro e a una successiva, potenziale, riproposizione.

È ovvio che la decisione del Tar, attesa da entrambi gli istituti di credito, fungerà da discriminante dell’intera questione. Davvero, in questo momento, possiamo parlare di un effettivo risiko bancario. Dove i colpi di scena non mancano. Così come i cambiamenti da affrontare per tutti gli interlocutori, almeno quelli potenziali.

Per Unicredit, infatti, a livello industriale, questa operazione è senza dubbio conveniente e da portare avanti. I tempi potrebbero però allungarsi fino a coinvolgere il Consiglio di Stato. E superando le date di scadenza fissate vi sarebbero ulteriori costi importanti, con la conseguente necessità per la banca di Orcel di rivedere l’intera questione.

Maggiori costi e criticità

Il Golden Power e i paletti imposti dall’Esecutivo sono ostacoli legali superabili, ma la loro stessa natura li rende risolvibili solo con un aumento del costo economico dell’operazione. Un prezzo piuttosto elevato per Unicredit, soprattutto se le limitazioni dovessero permanere. Una criticità che si aggiungerebbe a quella potenzialmente legata alla decisione finale del Consiglio di Stato, che potrebbe essere richiesta da Banco Bpm. E che non arriverebbe in tempo utile per la chiusura dell’Ops.

Come già sottolineato, la banca di Andrea Orcel potrebbe ritirare l’offerta e ripresentarla in futuro. Nel corso dell’incontro si è parlato anche dell’Ops di Mediobanca su Banca Generali, ritenuta da molti una mossa molto interessante all’interno del risiko bancario attuale. La quale potrebbe aiutare la banca di Milano a gestire in modo migliore l’Opa di Mps nei suoi confronti.

Tutta questa voglia di “allargamento” dei grandi istituti di credito, nei confronti di altri dai buoni bilanci, deriva fondamentalmente dalla volontà di essere più competitivi a livello europeo. Dove un approccio di tipo paneuropeo viene visto come lo strumento più adatto per affrontare le nuove sfide, sia internazionali sia nazionali, del settore.

Warren Buffett si dimette da Berkshire

Warren Buffett ha annunciato che lascerà Berkshire Hathaway. Lo ha fatto il 3 maggio 2025, una data che entrerà nella storia della finanza.

Warren Buffett una leggenda vivente

L’uomo è una leggenda vivente nel mondo finanziario e a 94 anni ha deciso di metterci un punto. Non sappiamo se questa decisione sia legata a un particolare evento della sua vita, ma l’impressione è che il magnate non abbia preso una decisione non ponderata.

Per molti, l’idea che Warren Buffett lasci la sua creatura è qualcosa di sorprendente e incredibile. Altri pensano che questo annuncio fosse nell’aria già da tempo. La road map è già stata definita e l’annuncio è arrivato nel corso dell’assemblea annuale degli azionisti della holding.

Al suo posto subentrerà Greg Abel, vicepresidente della società. Il passaggio formale, ovviamente previa approvazione del consiglio di amministrazione, avverrà entro la fine dell’anno. Si racconta che, al momento dell’annuncio, i presenti abbiano tributato a Warren Buffett una standing ovation. Non poteva essere altrimenti, dato ciò che quest’uomo ha sempre rappresentato, non solo per la sua società ma per l’intera economia mondiale.

Ben poche persone, del resto, arrivano alla sua età con la stessa lucidità. Alcune critiche nei suoi confronti erano giunte alla fine dello scorso anno, a causa dell’elevato accumulo di liquidità da parte di Berkshire: parliamo di oltre 318 miliardi di dollari in cassa e in titoli a scadenza entro l’anno. Secondo alcuni, questa scelta indicava una strategia fallimentare, rivelatasi poi più efficace del previsto di fronte agli sviluppi attuali.

La sua ossessione per i mercati azionari

È vero, allo stesso tempo, che a 94 anni Warren Buffett è pronto per andare in pensione. Dopo oltre 80 anni di ossessione per la Borsa, forse è giunto il momento di abbandonare questa attenzione quasi maniacale per il mercato azionario. Vale la pena ricordare che acquistò i suoi primi titoli nel 1942, all’età di 11 anni.

Va detto che il suo interesse per i bilanci aziendali, i piani di ammortamento e la finanza in generale ha dato ampiamente i suoi frutti. Non solo è riuscito ad accumulare una fortuna straordinaria, ma è anche riuscito a scrivere una parte fondamentale della storia della finanza mondiale.

Uno dei suoi punti di forza è sempre stata la memoria. Dote che ancora oggi non gli manca, insieme alla capacità di condurre una vita estremamente frugale. La sua casa è ancora quella acquistata per 31.500 dollari nel 1958, e non ha mai sprecato denaro in auto di lusso.

Ha anche fondato The Giving Pledge, iniziativa che invita i miliardari a donare la maggior parte della propria fortuna. E si è sempre impegnato in cause filantropiche, spesso attraverso la Bill & Melinda Gates Foundation.

Mediobanca e Banca Generali, lanciata Ops

Mediobanca e Banca Generali, cosa succede? Semplice: la prima ha deciso di lanciare un’offerta pubblica di scambio sulla totalità delle sue azioni. Il risiko bancario in atto in Italia si caratterizza di nuove mosse interessanti.

Cosa accade in Mediobanca

C’è chi sostiene che si tratti di un modo per Mediobanca di difendersi dall’Opa lanciata su di lei da Monte Paschi di Siena. La stessa, ricordiamo, per la quale il governo non ha voluto applicare il Golden Power. L’Ops della banca guidata da Alberto Nagel riguarda il 13,1% del suo capitale in Generali in cambio del 100% della controllata.

La storia tra le due banche non è recente: nel 2020 Mediobanca aveva già pensato di acquistare Banca Generali. Un’operazione che non era andata in porto per via degli azionisti più rilevanti di Mediobanca, forse anche a causa di un aumento di capitale che non aveva trovato calda accoglienza. Evidentemente anche per questi motivi Mediobanca ha deciso di approcciarsi a Banca Generali in modo differente.

Con il beneplacito del mercato, se pensiamo al fatto che entrambi i titoli sono riusciti ad accrescere in modo rilevante. Parlando di numeri, Mediobanca mette sul piatto un’offerta dal valore di 6,3 miliardi di euro con la quale, si sottolinea nella nota, intende rendere più veloce il suo posizionamento nel mercato del wealth management. Per lei, in questo caso, tale settore diverrebbe il proprio business prevalente, non solo prioritario. L’offerta riguarda, per ogni titolo posseduto in Generali da Mediobanca, 1,7 azioni di Banca Generali ex dividendo, con un premio implicito (in base ai valori del 25 aprile) dell’11%.

Un interessante svolta nel risiko bancario

L’operazione potrà concludersi solo dopo l’accettazione minima del 50%+1 ed esclusivamente se Generali si impegnerà in un lock-up delle azioni per 12 mesi. Senza ombra di dubbio, l’Ops lanciata da Mediobanca apporta un taglio decisamente più emozionante al risiko bancario italiano. Con questa svolta legata alla bancassurance, Mediobanca porterebbe alla trasformazione della sua quota in Generali in una vera alleanza dallo stampo industriale.

Un elemento che risponderebbe in modo importante all’Opa lanciata da MPS su Mediobanca. E non solo. Perché quest’ultima diventerebbe un leader del wealth management, con attivi in gestione per 210 miliardi, due miliardi di ricavi e una capacità di crescita superiore ai 15 miliardi.

Tutto ciò potrebbe infatti portare alla revisione di qualcosa relativa all’Opa di Mps. L’Ops di Mediobanca nei confronti di Banca Generali ha ricevuto il via libera, accompagnato però dall’astensione dei soci della lista Delfin. Questi, insieme a Caltagirone, diventerebbero i primi singoli azionisti se l’operazione dovesse avere successo.

Mercati, oscillazioni e incertezza per i dazi

I mercati stanno vivendo dei veri e propri giorni di passione: tutto a causa dei dazi posti da Donald Trump a livello globale. Con conseguenze che, con molta probabilità, le economie pagheranno a lungo.

Cosa sta accadendo ai mercati

I movimenti e le incertezze dei mercati rappresentano sempre un ostacolo per un’economia stabile. Dobbiamo poi sottolineare che il momento attuale, tra l’altro, è uno dei più incerti vissuti a livello globale fin dalla crisi dei mutui subprime del 2008.

Basti pensare che, in meno di mezzora, l’8 aprile Wall Street ha mosso circa 6000 miliardi di dollari. Per dare un’idea della grandezza di cui si parla, questi equivalgono a tre volte il PIL del nostro paese. Un movimento molto importante che va analizzato perché corrispondente a un determinato fatto.

Si era infatti sparsa la voce di una sospensione di 90 giorni dei dazi. Un pettegolezzo finanziario, poi smentito, che ha visto in 20 minuti passare l’indice S&P500 statunitense da -4% a +4%, e nuovamente a -4% in soli 20 minuti.

Lo ripetiamo: sono giorni difficili per i mercati in tutto il mondo. Lo abbiamo visto con le borse orientali e con quelle europee. Tutte le piazze finanziarie hanno perso moltissimo, in base ai rapporti dei propri titoli con gli Stati Uniti. E il VIX, considerato l'”indice della paura“, comunemente riferito alla volatilità dei listini, si trova al momento agli stessi livelli dei primi giorni dell’emergenza pandemica.

Va sottolineato come l’acquisto di titoli sia essenzialmente comparabile a una scommessa sul guadagno futuro dell’azienda a cui sono legati. I dazi lavorano sui mercati come le nubi di un temporale sul cielo: hanno influenza sull’andamento dell’economia e su una potenziale crescita da rincorrere.

Pronte contromisure dagli altri paesi

Il movimento dei mercati è sempre più imponente quando le notizie che arrivano sul fronte finanziario ed economico non sono quelle che gli investitori si aspettano. Perché le varie borse stanno reagendo così male? Non dipende solamente dall’annuncio di queste ulteriori tassazioni, ma dal fatto che Donald Trump stia rivedendo sempre al rialzo questa misura.

In molti hanno sperato che le sue fossero solo minacce prive di concretezza. Donald Trump sembra essere immune agli avvertimenti che gli vengono dati in merito a una recessione per gli Stati Uniti, un fattore che sta iniziando a infastidire anche gli investitori che lo hanno sostenuto e che potrebbero vedere i loro titoli scendere e i guadagni crollare.

Il fatto che Europa e Cina siano intenzionate a rispondere per le rime al presidente degli Stati Uniti con controdazi non sta migliorando la situazione, dato che alcuni titoli sarebbero particolarmente sensibili al cosiddetto effetto gregge. Una reale idea di come si muoveranno effettivamente i mercati si acquisirà man mano con il passare dei giorni e delle decisioni prese.

Dazi, gli investitori puntano sull’oro

A causa dei dazi, gli investitori puntano sull’oro. La ragione è molto semplice: l’incertezza che questi contribuiscono a generare spinge il prezzo del metallo prezioso a crescere sempre di più.

oro

I dazi spingono il prezzo dell’oro

Un’occorrenza prevedibile nella sua interezza, se pensiamo all’attuale situazione economica mondiale. Donald Trump e i dazi rappresentano forse una delle più grandi sfide economiche degli ultimi 10 anni, se non di più. Tenendo conto del fatto che, anche per quanto riguarda la politica interna ed estera, ci troviamo davanti a un mandato molto differente da quello del 2016.

L’incertezza che scaturisce dalla politica attuale statunitense colpisce il sistema economico come mai successo prima. Ed essendo l’oro considerato un bene rifugio, va da sé che con la crescita del suo valore anche gli investitori decidano di puntare più su questo tipo di bene che su altri.

L’oro ha superato i 3.000 dollari l’oncia, raggiungendo i 3.148 dollari. Diventa, nella pratica, un’occasione imperdibile per qualsiasi investitore che voglia mantenere il proprio portafoglio il più stabile e fruttuoso possibile. Soprattutto perché l’incertezza attuale sembra essere più intensa di quella riscontrata addirittura durante il periodo del Covid.

I dazi difficilmente rappresentano uno strumento totalmente positivo e il presidente Donald Trump sembra non aver capito che, con molta probabilità, saranno un mezzo che si ritorcerà contro di lui. Impatteranno infatti molto sull’economia americana e anche su quella globale. L’oro rappresenta il bene rifugio per eccellenza e di conseguenza gli investitori punteranno sempre su di esso alla ricerca di una stabilità effettiva.

Investitori vogliono aumentare liquidità

sospensio dazi america

Secondo il Financial Times, la fuga dell’oro in atto sarebbe la più importante registrata da un qualsiasi asset di rifugio negli ultimi tempi, contanti e Treasury statunitensi compresi.

L’attuale presidente americano parla di “giorno della liberazione“: in realtà, i dazi faranno tutt’altro, facendo crescere l’inflazione e la crisi sul territorio americano. I maggiori esperti sottolineano la necessità di non prendere sottogamba un’eventuale guerra commerciale, al netto di chi sarà a pagarne di più. Gli investitori, secondo Bank of America, stanno cercando di aumentare la liquidità nei propri portafogli e stanno pianificando di aumentare i loro investimenti in oro.

Il metallo è giunto a New York fisicamente in gran numero e sotto forma di lingotti. Ricordiamo che nella città statunitense sono presenti le scorte sul COMEX. Cosa succederà quindi? La verità è che tutto dipende da come i destinatari dei dazi decideranno di reagire. Se vi fosse una diversificazione e un reindirizzamento dei mercati ben calibrato tra gli altri paesi, gli Stati Uniti potrebbero trovarsi a soffrire in maniera davvero significativa a causa della loro stessa politica.

Poste Italiane compra le quote Tim di Vivendi

Poste Italiane compra le quote di Tim appartenenti a Vivendi. Ed entra nell’azienda in grande spolvero, riportando di fatto il controllo italiano all’interno della società di telecomunicazioni.

Cosa ha fatto Poste Italiane

Come è successo tutto ciò? Se c’è un’occorrenza palese, è quella che Vivendi fosse in procinto di trovare il modo di svincolarsi dall’azienda italiana ormai da diverso tempo. Già lo scorso mese i francesi erano scesi al 18,3% da un iniziale 23,75% di quota capitale in Tim. Grazie alla vendita di oltre il 15% a Poste Italiane, Vivendi è riuscita a distaccarsi facilmente dal suo ruolo, portando di fatto Poste Italiane a diventare il nuovo socio di maggioranza.

Tecnicamente, l’operazione vale circa 684 milioni di euro, con ogni azione del pacchetto interessato quotata a 0,2975 euro. Il consiglio di amministrazione del gruppo, guidato da Matteo Del Fante, ha dato il proprio via libera senza troppi problemi.

Elemento che non ci stupisce più di tanto, dati i problemi ormai di lunga data tra Tim e Vivendi. In realtà, non è nemmeno una sorpresa che Poste Italiane abbia acquistato in modo così imponente dato che, grazie a uno swap di partecipazioni con Cassa Depositi e Prestiti, già lo scorso mese si era portata al 9,8% del capitale.

Dobbiamo sottolineare che l’azienda ha chiarito di non essere intenzionata a superare, all’interno di Tim, la quota del 25%. Nel caso questo dovesse accadere, infatti, sarebbe obbligata a lanciare un’OPA, azione che non vuole assolutamente intraprendere. Questa operazione e in generale il riassetto sono in linea, come sottolineano la maggior parte degli analisti, con l’intenzione governativa di mantenere una forte presenza nazionale nel settore delle telecomunicazioni. In modo tale da proteggere l’ex monopolista.

Natura strategica dell’investimento

Lo scorporamento della rete e il conseguente abbattimento del debito, infatti, potevano rendere Tim appetibile per un’eventuale scalata da parte di terzi di stampo internazionale. La storia dell’ex monopolista delle telecomunicazioni ci insegna che la parentesi Vivendi non sia stata una delle migliori per l’intera azienda, soprattutto per quanto riguarda la gestione.

In questo modo, Tim risulta ormai praticamente blindata contro attacchi provenienti dall’estero. Dobbiamo sottolineare che l’operazione è condizionata in maniera sospensiva dalla notifica dell’Antitrust. Più in generale Poste Italiane ha sottolineato, all’interno di un comunicato, che questo investimento è caratterizzato da una natura strategica fondamentale per il suo interesse industriale a lungo termine.

In questo modo, si favoriranno sinergie in grado di portare valore e guadagno sia per Poste Italiane che per Tim, nonché per gli stakeholder.

Avviare un’attività: come ottenere denaro da investire?

Avviare una nuova attività è un passo significativo e stimolante, ma richiede una pianificazione accurata e una buona gestione delle risorse finanziarie. Una delle prime sfide che molti imprenditori si trovano ad affrontare è quella di reperire il denaro necessario per finanziare la propria impresa. Fortunatamente, esistono diverse opzioni di finanziamento, tra cui contributi a fondo perduto e prestiti a tasso agevolato, che possono facilitare l’avvio di una piccola impresa.

avviare un'attività
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Stellantis, John Elkann: auto in Italia grazie a noi

Senza Stellantis l’industria delle auto non sarebbe più in Italia. E questo uno dei passaggi che hanno più attirato l’attenzione del discorso di John Elkann nel corso della recente audizione alla Camera.

Stellantis riferisce alla Camera sui suoi piani

Il presidente dell’ex Fiat sottolinea come la storia dell’Italia e dell’automobile siano strettamente legate. E di come nonostante il passare del tempo e le difficoltà acquisite dal mercato quella dell’automotive è una realtà ancora presente nella Penisola.

Non manca di mostrare orgoglio per Stellantis e per la storia decennale dell’automobile italiana. Il manager interviene nel corso dell’audizione come attuale responsabile della gestione operativa dell’azienda, in attesa di nominare il nuovo ceo dopo l’abbandono di Carlos Tavares. John Elkann sottolinea come la successione si stia muovendosi secondo i tempi stabiliti e di come il nuovo amministratore delegato di Stellantis sarà annunciato entro i primi sei mesi del 2025.

Il rapporto di Stellantis con il Governo e in generale gli italiani negli ultimi anni si è un po’ raffreddato rispetto al passato. E ce lo ricorda anche lo stesso Elkann nel momento in cui sottolinea come la Fiat negli anni 2000 abbia incontrato diversi problemi.

È evidente che il mercato un tempo fosse differente e di come, secondo Elkann, un po’ di colpa sia da attribuire anche alla transizione energettica. La realtà dei fatti vuole che siano cadute le immatricolazioni e con esse anche l’occupazione. E se una volta acquistare un auto era più semplice, adesso con il calo delle retribuzioni e la crisi una simile compravendita per i consumatori diventa più difficile.

È un cane che si morde la coda, qualcosa che non sempre risulta essere chiaro al comparto industriale.

Deve essere fatto di più in base a ciò che si è ricevuto

Bisogna infatti tenere da conto di come l’azienda in passato abbia potuto usufruire di aiuti di una certa tipologia, ai quali  econdo la politica dovrebbe corrispondere da parte dell’azienda non solo l’impegno attuale ma anche un tentativo maggiore di risoluzione delle criticità.

È infatti impossibile non tenere conto degli stabilimenti in cassa integrazione qui in Italia mentre l’azienda, come sottolineano diversi esponenti politici della maggioranza e dell’opposizione, ha investito e assunto all’estero.

Come riportato dalla maggior parte dei politici di entrambe le parti, tutti attendono i segni dell’applicazione dei piani di investimento relativi all’Italia. Dato che attualmente sembrano esservi più segnali di disinvestimento piuttosto che d’impegno.

Da una parte quindi vi è un’azienda che sottolinea come gli impegni presi siano in fase di realizzazione secondo i tempi prestabiliti. E dall’altra una politica che sottolinea come al momento a essere stati realizzati non siano i fatti. A prescindere da qualsiasi coinvolgimento dell’Europa nel settore.

Integratori, settore su cui investire?

Quello degli integratori è un settore sul quale conviene investire? Dipende dai punti di vista e soprattutto dalle idee che si hanno.

Settore ancora remunerativo quello degli integratori?

È una riflessione questa che nasce dalla chiusura, per molti improvvisa virgola di Foodspring, una delle realtà più importanti a livello europeo di integrazione. Per anni questa azienda tedesca è stata in grado di affermarsi come uno degli interlocutori migliori sul mercato, nella sua fetta specifica di competenza.

Nel 2019 è avvenuta la vendita all’americana Mars. E oggi ci troviamo davanti a una chiusura che non dà via di scampo. Più nello specifico l’azienda ha sottolineato di essere stata costretta alla chiusura per via delle difficili condizioni di mercato. Analizzando la situazione è facile scoprire come, a livello europeo e non solo tedesco, siano altri i nomi che al momento stanno spopolando.

Alcuni sono nuovi, altri sono realtà ben consolidate che si sono andati affermando anche per elementi diversi dalla integrazione. Parliamo di realtà come di GymBeam, My protein e Prozis. I giornali tedeschi ipotizzano come cause della caduta di Foodspring il crollo di visite al sito e di conseguenza un numero minore di ordini, una campagna marketing troppo costosa e priva dei risultati necessari e i reclami subiti in merito agli integratori.

Si tratta di tutti elementi che messi insieme, soprattutto se la concorrenza è importante, rischiano di affossare un’attività. E ci portano naturalmente a chiederci se effettivamente quello degli integratori sia un mercato sul quale conviene ancora investire.

Investire con giudizio anche nel marketing

La risposta è affermativa, a patto però che lo si faccia nel modo giusto. Non solo vendendo degli integratori di livello che siano in grado di mantenere ciò che promettono. Ma anche dando vita a delle campagne marketing efficaci che non costino eccessivamente.

Gettando uno sguardo alla realtà italiana è palese come vengano utilizzati influencer e più nello specifico quelli che effettivamente fanno uso dei prodotti. Offrendo talvolta personalizzazione a questi, in modo tale da attirare una maggiore clientela.

È importante, se si vuole investire in questo settore, comprendere che è di fondamentale rilevanza rimanere sempre aggiornati. Quello degli integratori è un mondo non legato esclusivamente alla realtà del fitness. Riuscire nel dare sempre alla propria clientela ciò di cui ha bisogno in base al momento consente di rimanere sulla cresta dell’onda.

Con molta probabilità qualcosa che non è riuscito tendenzialmente di fare all’azienda tedesca. Chiunque voglia investire in questo settore deve ricordare che osservare e intercettare le esigenze della clientela è fondamentale.

Mario Draghi, attenzione a dazi e investimenti

Mario Draghi bacchetta l’Unione Europea, lanciando un allarme nei confronti della politica economica anche presso l’European Parliamentary Week di Bruxelles, sottolineando come l’Europa necessiti di agire unita e in fretta.

Mario Draghi a proposito di dazi

E non solo sulla questione Ucraina, ma anche per ciò che concerne dazi e investimenti. Soprattutto per bloccare gli effetti della politica protezionistica di Trump che potrebbe causare molti danni agli Stati membri europei. In particolare per via degli effetti che questa ulteriore tassazione sulle importazioni dalla Cina potrebbero avere sulla ricollocazione di quei beni. Uno tsunami che potrebbe investire l’Europa e danneggiare il mercato delle industrie italiane.

La situazione è tutt’altro che rosea, come sottolinea Mario Draghi e la necessità di rispondere uniti come Europa si fa sempre più importante sotto ogni punto di vista. Secondo l’ex governatore della BCE  i dazi imposti sulle importazioni dall’Europa e dalla Cina reindirizzeranno in particolare la sovraccapacità produttiva cinese all’interno dell’Unione.

I dazi essenzialmente, infatti, “ostacoleranno l’accesso”, spiega Mario Draghi, al più grande mercato di esportazione europeo. Qualcosa che già preoccupa le grandi aziende presenti in Europa rispetto alla perdita di accesso generalizzata al mercato degli Stati Uniti.

L’ex premier ha sottolineato come vi potrebbe essere bisogno di dover affrontare, in modo importante, l’applicazione di politiche pensate per invogliare le aziende europee a produrre maggiormente negli Stati Uniti. Potrebbero essere usati strumenti come tasse più basse, deregolamentazione ed energia più economica. Bisogna essere abbastanza attenti da non cadere in questa trappola, in modo tale da non affondare involontariamente le imprese all’interno degli Stati membri.

Importanza dell’intelligenza artificiale e di giuste riforme

donald trump vuole taglio tassi di 100 punti

Soprattutto ricordando che l’America ha bisogno di una maggiore produzione negli Stati Uniti delle aziende estere in modo tale da combattere l’effetto inflazionistico che l’apposizione dei dazi nei confronti della Cina e dell’Europa (soprattutto) avranno sull’economia.

Mario Draghi nel corso del suo intervento non ha mancato di parlare di intelligenza artificiale e di come questa stia man mano migliorando, diminuendo i costi di formazione. Ma anche di come ancora la maggior parte dei progressi e degli investimenti avvenga al di fuori nei confini europei.

È importante che l’Unione Europea non rimanga estranea al progresso di questo settore in modo da rimanere competitiva. Dovrebbe, infatti, approfittare del calo dei costi per investire e recuperare terreno. Per quel che concerne i mercati capitali sottolinea come offrendo un tasso di rendimento più competitivo e una maggiore efficienza sarà possibile mantenere i propri risparmi all’interno dei confini europei.

Cosa comporterebbe questo? Come spiega l’ex presidente della BCE una maggiore riserva di capitale privato per finanziare industrie consolidate e nuove tecnologie. Mario Draghi su questo è molto chiaro: riforma adeguate consentiranno maggiori investimenti e una crescita più ampia.

Open Ai e X, lotta tra Musk e Altman

Open Ai è tornato a essere la fissazione di Elon Musk. Ma a quanto pare al momento Sam Altman, il suo inventore, sembra non avere assolutamente intenzione di cedere. Nemmeno davanti a grandi cifre offerte.

Open Ai e le mire di Elon

Dobbiamo infatti sottolineare che un consorzio di investitori capitanato proprio dal ceo di Tesla sarebbe interessato ad acquistare per ben 97,4 miliardi di dollari l’organizzazione no profit che controlla Open Ai. È decisamente chiaro a ogni esperto che sia in atto una nuova battaglia tra Sam Altman ed Elon Musk. E’ il Wall Street Journal a svelare i retroscena della questione, raccontando come l’avvocato del patron di Space X avrebbe già presentato l’offerta al consiglio di amministrazione di Open Ai.

Va sottolineato che tutto ciò rappresenta effettivamente un problema per Altman. O meglio per i suoi piani legati alla conversione della associazione no profit in una società a scopo di lucro. Con una spesa calcolata fino a 500 miliardi di dollari in infrastrutture di intelligenza artificiale grazie a una joint venture di nome Stargate.

Dobbiamo anche ricordare che attualmente per quel che riguarda la direzione di Open Ai Elon Musk e Altman sono già impegnati l’uno davanti l’altro in tribunale. Il ceo di X vuole infatti che open Ai ritorni a essere la “forza open source e incentrata sulla sicurezza per sempre che era una volta”.

La no profit creata da entrambi nel 2015

Per chi non lo sapesse questa è stata infatti fondata da Sam Altman ed Elon Musk nel 2015 come ente di beneficenza. Una sussidiaria a scopo di lucro è stata creata dopo che Altman è diventato amministratore delegato in seguito all’abbandono di Musk nel 2019. E’ attraverso di questa che vengono raccolti i fondi degli investitori per lo sviluppo della tecnologia.

La risposta di Sam Aaltman alla proposta di acquisto di Ppen Ai da parte di Musk non si è fatta attendere. “No grazie”, ha risposto su X. “Ma compreremo Twitter per 9,74 miliardi di dollari se vuoi”. Musk non ha preso benissimo la risposta, dando del truffatore ad Altman.

È possibile prevedere come questa non sarà l’ultima mossa di entrambe le parti. Soprattutto perché attualmente sono diverse le denunce presentate dal padron di Tesla nei confronti di Altman in merito alla no profit da loro creata10 anni fa. Tra le accuse anche quella di una collusione con Microsoft, il più grande investitore di Open Ai, per il dominio della tecnologia dell’intelligenza artificiale.

Chissà se il consiglio di amministrazione della società di Altman sarà intenzionato a seguire la linea del suo fondatore.

Cina, risposta dura ai dazi di Donald Trump

La Cina non rimane a guardare davanti ai dazi apposti dal presidente Donald Trump. E risponde immediatamente con una tassazione del 15% sul carbone e sul gas americano.

La risposta della Cina a Trump

Presentando in modo contestuale un ricorso contro Trump alla World Trade Organization. Va detto che la Cina non ha perso tempo, rispondendo in modo mirato. Fattore questo che le consentirà, con molta probabilità, di evitare particolari ritorsioni da parte degli Stati Uniti.

Analizzando infatti ciò che è stato fatto finora, va detto che non viene attualmente minata la possibilità di trovare una soluzione tra le due parti. Soprattutto perché viene lasciata aperta una strada potenziale di negoziazioni. Un approccio simile a quello intrapreso dall’Unione Europea. Ovvero la messa in discussione di determinate soluzioni per vedere quanto margine c’è prima di reagire in modo più duro e privo di sbocchi.

I dazi cinesi entreranno in vigore dal 10 Febbraio e saranno posti, come già anticipato, su carbone e gas naturale liquefatto per il 15%, del 10% sul petrolio, sulle auto di grossa cilindrata, pick-up e macchinari agricoli. Allo stesso tempo vi saranno controlli con effetto immediato sull’export di materiali legati al tungsteno. Inserendo inoltre nell’immediatotre aziende americane nella blacklist: Illumina per quanto riguarda il biotech e Calvin Klein e Tommy Hilfiger per quel che riguarda la moda.

Possibilità di un confronto

Donald Trump ha posto dei tassi già attivi dal primo febbraio contro la Cina. Ma ha allo stesso tempo sottolineato di avere intenzione di chiamare Xi Jimping per discutere della situazione. Gli analisti di Bloomberg sostengono come la scelta di una risposta mirata da parte della Cina sia volta a evitare uno sviluppo incontrollato della guerra commerciale tra le parti. Soprattutto perché lo Stato orientale al momento non gode di un’economia ti in salute come in passato. E gestire male la questione dazi potrebbe essere controproducente.

Allo stesso tempo però il Ministero delle Finanze cinesi ha deciso di presentare ricorso presso l’Organizzazione mondiale del Commercio contro gli Stati Uniti. Ovviamente per la sua forma di imposizione unilaterale dei dazi. Sebbene Donald Trump non riesca a capirlo, apporre dazi non solo non sarà di aiuto all’economia americana ma rischia anche di rovinare i rapporti di cooperazione commerciale di Washington.

Analizzando la situazione nello specifico bisogna sottolineare comunque che, pensando al gas e al petrolio, l’importazione della Cina dagli Stati Uniti è stata molto bassa. E anche per ciò che riguarda Illumina e quindi Google sembra più un’azione simbolica dato che e dal 2010 che il paese non sfrutta più i suoi servizi di ricerca e di Internet.

Fastweb e Vodafone, confermate le nozze

Fastweb e Vodafone Italia possono ufficialmente convolare a nozze. Swisscom infatti ricevuto il via libera lo scorso 31 dicembre, a questa importante unione. Ovviamente ottenendo tutte le autorizzazioni necessarie del caso.

Cosa accade con la fusione di Fastweb e Vodafone Italia

Swisscom ha potuto, in questo modo, completare l’acquisizione della branca italiana del gruppo inglese di telefonia dando origine, in questo modo, un operatore risultato dell’unione tra Fastweb e Vodafone Italia. Walter Renna, amministratore delegato di questo nuovo operatore esprime apertamente la soddisfazione relativamente all’operazione.

Inauguriamo una nuova era delle telecomunicazioni in Italia”: sono state queste le sue parole. Il manager ha, allo stesso tempo, sottolineato come queste due realtà fondamentali della telefonia italiana si siano riunite in una nuova dalla maggiore forza e più importante innovazione. Un’azienda che si occuperà di portare l’Italia, nell’ambito delle telecomunicazioni, verso un futuro sostenibile sia per i consumatori che le aziende.

Per quel che riguarda i marchi, sia Fastweb che Vodafone Italia continueranno a essere sfruttati a livello commerciale, nonostante la gestione congiunta delle due società. Le nozze confermate tra Fastweb e Vodafone sono caratterizzate da numeri importanti: parliamo di più di 20 milioni di linee mobili e circa 5,6 milioni di linee fisse.

Questo farà della società di nuova fattura il principale operatore per infrastruttura presente sul territorio italiano nel mercato delle telecomunicazioni. Potendo contare su più di 74.000 km di rete fissa e 20.000 siti radio mobili. Numeri che garantiscono una copertura importante su tutto il territorio nazionale per entrambe le modalità di cui il 50% in FTTH.

Presenza capillare sul territorio

Per quel che riguarda le infrastrutture, appare evidente che Vodafone Italia e Fastweb siano in grado di assicurare una presenza di tipo capillare sul territorio. Nella nota emessa ad annunciare l’unione tra le due aziende, è stato evidenziato come finanziariamente queste nozze porteranno a economie di scala, a sinergie pari a circa 600 milioni l’anno a regime e a una struttura dei costi più efficiente.

E questo porterà la società risultante ad avere una capacità finanziaria importante. In grado quindi di proseguire sulla linea degli investimenti, sia per quel che riguarda l’innovazione sia per quel che concerne le infrastrutture. A favore del mercato, delle imprese e dei consumatori.

Swisscom, con la conferma delle nozze, ha rivisto le previsioni dei propri margini perché necessitante di contabilizzare i costi fino a concorrenza di 200 milioni di euro. Le previsioni ebitda adeguate al 2024 sono tra i 4,3 e i 4,4 miliardi di franchi svizzeri (prima erano rispettivamente 4,5 e 4,6 miliardi). È stato evidenziato, inoltre, come non vi saranno conseguenze sul free cash flow dell’anno appena trascorso rimanendo intoccati anche gli investimenti, le previsioni per il fatturato e i dividendi.

Stellantis, ecco il piano per l’Italia

Stellantis rimarrà in Italia, ma avverte già che il 2025 sarà un anno davvero difficile. La priorità data al nostro paese rappresenta un maggiore costo?

Cosa ha proposto Stellantis

È una bella domanda da porsi, ma quel che è emerso dal tavolo col Ministero delle Imprese e del Made in Italy è abbastanza chiaro. Stellantis rimane in Italia e promette di mantenere un rapporto prioritario caratterizzato da conservazione dei posti di lavoro e da sviluppo.

Con la differenza, rispetto al passato, che stavolta un piano sembrerebbe esserci. Non vi sarebbero solo promesse. Il responsabile europeo di Stellantis, Jean Philippe Imparato, ha sottolineato come il “treno della storia” non si fermi due volte nello stesso posto. Per l’Italia si parla di due miliardi di investimenti da impegnare il prossimo anno, con un incremento di sei miliardi di acquisti dai fornitori operanti in Italia.

Le previsioni vogliono il raggiungimento di una crescita produttiva del 50% del 2026 e un piano di produzione specifico per ogni stabilimento fino almeno al 2032. L’obiettivo sarebbe quello di riuscire a coprire almeno l’80% del mercato europeo totale dell’automotive.

Si tratta ovviamente di un piano ambizioso, soprattutto se pensiamo all’attuale situazione nella quale Stellantis naviga, soprattutto per quel che concerne la situazione occupazionale. Il manager del gruppo Italofrancese ha assicurato che tutti gli stabilimenti italiani rimarranno aperti. Ma ha confermato allo stesso tempo che si tratterà di un anno molto duro.

Nessun aiuto pubblico è previsto per gli investimenti

Il fattore interessante del discorso di Imparato riguarda il fatto che il piano presentato al Ministero delle Imprese e del Made in Italy non prevede nessun aiuto pubblico. Gli investimenti saranno finanziati con risorse proprie.

Torino rimarrà una città centrale per la produzione e la soluzione per gli stabilimenti è stata trovata grazie ha una produzione di tipo ibrido per i modelli. Pomigliano è attualmente il polo che presenta almeno sulla carta le migliori soluzioni. La produzione della Panda continuerà infatti fino al 2030, comprendendone una di nuova generazione. E nel 2028 verrà apportata la piattaforma Stla smart.

L’Esecutivo, da parte sua, ha deciso di impegnarsi nei confronti di tutto il settore dell’automotive destinando 1,6 miliardi nel triennio 2025 -2027. Due terzi delle risorse saranno elargite direttamente il prossimo anno.

A tutto ciò dovrebbero aggiungersi anche 500 milioni di euro provenienti dal PNRR per i contratti di sviluppo dei settori in transizione. Importante: le risorse promesse dall’Esecutivo non andranno a coprire la cassa integrazione. Ma dovranno essere utilizzate per contratti di sviluppo, mini contratti di sviluppo e accordi per l’innovazione.