Fed, taglio dello 0,25% dei tassi

La Fed ha annunciato una riduzione del tasso di interesse di riferimento di 0,25 punti percentuali. Il costo del denaro si trova ora tra la forchetta del 4%-4,25%. È il primo intervento di questo tipo da inizio anno e arriva in un momento delicato per l’economia americana.

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Cosa ha deciso la Fed

La decisione nasce da una combinazione di fattori economici e politici. Uno degli elementi più rilevanti è il rallentamento del mercato del lavoro. I dati recenti mostrano infatti un calo nel ritmo della crescita occupazionale e comincia a profilarsi il rischio che il tasso di disoccupazione possa salire. In questo scenario, mantenere tassi elevati potrebbe peggiorare la situazione, frenando ulteriormente consumi e investimenti.

A pesare sulla scelta della Fed è anche l’andamento dell’inflazione. Sebbene i prezzi al consumo restino ancora al di sopra dell’obiettivo ideale della banca centrale (intorno al 2%), l’inflazione non appare così fuori controllo da impedire una manovra espansiva. In altre parole, la Fed ha ritenuto che fosse possibile agire a sostegno dell’economia senza alimentare eccessivamente nuove pressioni sui prezzi.

Non va dimenticato nemmeno il contesto politico in cui questa scelta si inserisce. L’amministrazione Trump ha più volte fatto pressione affinché la Fed adottasse una linea più morbida, chiedendo tagli più marcati e rapidi. Alcuni membri del comitato direttivo della banca, soprattutto quelli nominati più di recente, avevano addirittura suggerito un taglio più ampio. I mercati dal canto loro si aspettano ulteriori tagli.

Elementi da tenere in conto

Un ulteriore elemento che ha contribuito a orientare la decisione è l’incertezza legata alle politiche commerciali in vigore. I dazi imposti da Donald Trump su vari beni importati hanno generato un clima di instabilità per le imprese. E un aumento dei costi di produzione, con potenziali ricadute sui prezzi e sulla domanda interna.

Il taglio dei tassi mira quindi a rendere più accessibile il credito, sia per le famiglie che per le aziende, con l’obiettivo di stimolare consumi, investimenti e occupazione. Una politica monetaria più accomodante dovrebbe anche indebolire leggermente il dollaro, rendendo più competitive le esportazioni americane. Alleggerendo in questo modo, almeno nel breve periodo, il peso del debito pubblico.

Inserendo questo provvedimento nel quadro più ampio della politica economica di Donald Trump, emerge un approccio fortemente espansivo. Tra dazi, pressioni sull’indipendenza della Fed e una politica fiscale basata su tagli delle tasse e spesa pubblica elevata, l’amministrazione ha puntato tutto sul rilancio della domanda interna. Tuttavia, questo atteggiamento comporta rischi, come la crescita del deficit e possibili nuove spinte inflazionistiche.

In definitiva, la mossa della Fed è un segnale di cautela, che cerca di prevenire un rallentamento più grave, senza però perdere di vista la necessità di mantenere un equilibrio macroeconomico. Le prossime settimane diranno se questa sarà la direzione scelta.

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