Inflazione, attenzione alle speculazioni

Nonostante l’inflazione sia scesa questo mese al 5,5% dal 6,1% di maggio i rialzi dei tassi della Bce non si fermeranno e il prossimo verrà annunciato nel corso della riunione del 27 luglio. Bisogna però farsi due domande su potenziali speculazioni.

Inflazione ancora troppo alta

Sono infatti comportamenti da sottolineare e combattere, soprattutto se messi in campo da aziende che nel loro “recuperare” il tempo perduto, rendono impossibile alle persone esercitare la loro capacità di spesa.

Nell’intera Eurozona l’obiettivo di inflazione del 2% è ancora lontano ed è normale che la Bce eserciti una politica monetaria restrittiva per abbassarla. Allo stesso tempo però questi continui rialzi non lavorano come dovrebbero e mettono in crisi i consumatori.

Buona parte delle difficoltà nei mesi scorsi è stata legata alla crescita del prezzo dei carburanti e al caro energetico. E se in quel momento il rialzo dei prezzi seppure in modo sofferente è stato accettato, ora non si può non parlare di speculazioni.

A fine mese per combattere l’inflazione verranno alzati di nuovo i tassi. E gli italiani soffriranno più di altri tale mossa. Questo perché il valore italiano dell’inflazione è mediamente più alto di quello del resto di Europa. Trainato ancora dall’energia, dai servizi finanziari e dal trasporto aereo. Unito a debolezze strutturali che lasciano il segno.

Attenzione alle speculazioni

A un quadro già di per sé difficile si aggiungono le speculazioni provenienti dalle aziende. Non vi è altro modo per definire dei rialzi dei prezzi non giustificati dalle condizioni economiche. Ora che il prezzo del carburante è sceso perché i prezzi non stanno calando?

La domanda ha una semplice risposta: alcuni produttori, in questo modo, guadagnano di più riuscendo a recuperare le perdite passate. Ma si tratta di un cane che si morde la coda, visto che arriverà un momento nel quale la popolazione non potrà più permettersi tali beni e servizi. Proprio per questo motivo.

Come spiega la Bce, in pratica, le imprese invece che assorbire parte degli aumenti intaccando i loro margini, hanno aumentato i profitti continuando ad alzare i prezzi. Qualcosa che non hanno smesso di fare. E questo con i salari fermi e nel caso italiano mai adeguati da circa venti anni, ha portato a una situazione di crisi per i consumatori.

Aggravata già dai rialzi e potenzialmente peggiorata nel futuro prossimo dagli altri aumenti dei tassi contro l’inflazione. Portando gli italiani a non avere più capacità di spesa. Sarebbe auspicabile un intervento governativo contro queste speculazioni, oramai divenute insopportabili.

Credit Suisse, molti posti di lavoro a rischio

Credit Suisse sarà costretto a tagliare almeno la metà dei suoi dipendenti. E questo quello che accadrà nelle prossime settimane secondo l’agenzia Bloomberg.

A rischio i dipendenti di Credit Suisse

UBS si è fatto avanti per salvare la situazione, ma questo comporterà da parte sua una scrematura dell’istituto da lei acquistato. Secondo gli statunitensi i licenziamenti avverranno in tre diversi scaglioni. Il primo avverrà a fine luglio, mentre gli altri due avranno luogo in autunno. Al momento UBS non smentisce né conferma questo fatto.

Acquisendo Credit Suisse l’istituto è arrivato da avere circa 120.000 dipendenti. Una situazione attualmente non gestibile e che prevede, secondo le indiscrezioni, un taglio del 30% pari almeno a 35.000 posti di lavoro. Da quel che si evince i tagli di personale maggiore per Credit Suisse dovrebbero riguardare il settore trading a New York, a Londra e in altre città orientali.

La scelta di agire con i licenziamenti su questa branca della banca proviene dal fatto che il settore stesso si trova in acque non calme. Più in generale deve essere notato che la maggior parte dei colossi bancari mondiali, cresciuti molto dopo durante la pandemia, sono stati costretti a ridurre il personale per affrontare la crisi.

Quel che è accaduto a queste realtà è nulla se paragonato all’impatto che avranno i tagli necessari per riportare normalità nella situazione di Credit Suisse. Non dobbiamo dimenticare che parliamo di una realtà che fino alla crisi di qualche mese fa era considerata praticamente indistruttibile perché è capace di autogestirsi in modo adeguato.

Non sono mancate reazioni

I tagli che verranno effettuati da UBS hanno scatenato la reazione dell’Associazione svizzera degli impiegati di banca (ASIB). La quale contesta la comunicazione a senso unico dell’istituto in merito al completamento della fusione con Credit Suisse. Una comunicazione dove non si parla del futuro piano sociale ma continuano a girare indiscrezioni su quanto alti saranno i tagli.

Un approccio che porta alla crescita della frustrazione dell’incertezza tra i dipendenti. I quali non sanno cosa succederà nel loro prossimo futuro. Dobbiamo ricordare che Bloomberg ha reso noto che secondo fonti anonime interne a Credit Suisse, sarebbero previsti più del 50% di licenziamenti. Fattore al quale Reuters aggiunge che nella sola Zurigo sarebbero 7000 i posti di lavoro incerti.

A prescindere o meno dalla conferma delle indiscrezioni, al momento è palese che è la situazione per i dipendenti di Credit Suisse sia tutt’altro che rosea. E che al momento mancano quelle certezze, anche in negativo, dalle quali si potrebbe partire per mitigare l’impatto.

Inflazione, problemi anche in Inghilterra

Anche l’Inghilterra sta combattendo con un’inflazione davvero fastidiosa. E la banca centrale del Regno unito, come la BCE sta tentando una politica monetaria restrittiva per risolvere la situazione.

Inflazione picchia duro anche oltremanica

Il problema, come accade in questi casi, è che tale approccio pur essendo l’unico sfruttabile in questa situazione, sta mettendo a dura prova la pazienza dei consumatori. Dati alla mano va detto che l’Inghilterra e gli altri Stati della Gran Bretagna stanno combattendo con una inflazione che al suo tasso core rimane al 7,1% nel tasso annuale di maggio. Più alto rispetto a quello del mese precedente e a quello stimato. Ciò significa per la Banca of England dover reagire in modo molto simile a quello della BCE: ovvero alzare i prezzi.

Raggiungendo un tasso principale del 5%. Per l’istituto centrale britannico si tratta del tredicesimo aumento di tasso consecutivo. Qualcosa che non dovrebbe stupirci più di tanto se si pensa alla necessità di dover gestire anche le conseguenze sul lungo termine della Brexit.

Va detto che le criticità e i dati relativi all’economia inglese sono differenti da quelli legati all’Europa o agli Stati Uniti. Per tutti quanti pesa ovviamente la crescita dei prezzi al consumo. Le cause alla base sono praticamente le stesse per tutti. Differente è il modo in cui si reagisce proprio grazie alla diversa impostazione.

Cosa succede alla popolazione

Negli Stati Uniti l’inflazione è scesa di più rispetto ad altri e ciò ha portato a un momentaneo stop del rialzo dei tassi, già arrivati intorno al 5%. In Europa, in tal senso, c’è ancora spazio di manovra. Ragione per la quale è difficile ipotizzare uno stop a rialzi in questo momento.

Per quanto riguarda la Banca d’Inghilterra si sa che sono già in programma altri due rialzi dei tassi di interesse. Il fatto che i salari siano cresciuti di circa il 7% tra febbraio e aprile fa ritenere probabile che vi siano forti effetti di una spirale salari-prezzi.

Ciò che bisogna comprendere è se nel suo seguire una politica monetaria restrittiva contro l’inflazione la Banca d’Inghilterra deciderà per un aumento soft o per un aumento aggressivo. In ogni caso, per la popolazione inglese sta diventando difficile gestire il rialzo del costo del denaro. Questi infatti soprattutto per quel che concerne i mutui, la restituzione del credito e le spese vive rischiano di peggiorare notevolmente le condizioni di vita di molte persone.

E in un paese come l’Inghilterra che, lo ripetiamo, sta ancora scontando gli effetti a lungo termine della Brexit, questo stato di cose è tutt’altro che auspicabile.

Bce, allarme per stabilità banche

La Bce lancia un allarme in merito alla stabilità delle banche europee. Un problema che la banca centrale europea non ha intenzione di sottovalutare, soprattutto in questo particolare periodo storico ed economico.

bce

Cosa preoccupa la Bce

La ragione di questa preoccupazione sarebbe da legare ai rapporti tra le banche tradizionali e le banche ombra. Sotto questo nome vengono riconosciuti hedge fund, fondi pensione e gestori patrimoniali che dalla crisi del 2008 hanno aumentato la loro presenza all’interna del mercato.

Qualcosa che ormai è dato per scontato ma che in caso di crisi finanziaria potrebbe portare a importanti conseguenze. La Bce sta osservando con attenzione ciò che sta accadendo nel settore bancario e ovviamente ha deciso di muoversi per tempo.

Non dobbiamo dimenticare ciò che è successo in Svizzera con Credit Suisse o negli Stati Uniti partendo dal crollo di Silicon Valley Bank. Alcune azioni intraprese, unite al quadro generale, possono dar vita a delle conseguenze imprevedibili e di difficile gestione.

La Bce lancia l’allarme ma al contempo ne è parte. Questo perché con il rialzo dei tassi di interesse per combattere l’inflazione, la situazione delle banche si è andata complicando, soprattutto per quel che concerne i prestiti.

I dati non sono confortanti

Una preoccupazione quella della banca centrale espressa nel rapporto dedicato pubblicato il 30 maggio scorso. Il quale racconta come i rapporti tra le banche tradizionali e quelle ombra mettano a repentaglio la stabilità economica. I dati ci spiegano che l’80% dei prestiti provenienti da banche ombra o intermediari finanziari di tipo non bancario è concentrato in tredici tra le maggiori banche europee.

Una potenziale crisi all’interno del mercato degli intermediari finanziari non bancari potrebbe avere effetti anche sul settore bancario tradizionale. Proprio perché questi potrebbero decidere dvi ritirare i loro depositi, mettendo in difficoltà gli istituti con la liquidità.

La Bce, insieme al rapporto sulla stabilità finanziaria, ha pubblicato anche i dati relativi i prestiti in Europa. Il racconta come il settore sia sotto pressione per via soprattutto dell’aumento dei tassi di interesse. Va ripetuto, è necessario per combattere l’inflazione ma al contempo è causa di diversi rischi in questo ambito.

Purtroppo ci troviamo davanti a una sorta di circolo vizioso dove la Bce fa benissimo a lanciare l’allarme sui rapporti tra le banche tradizionali è quelle ombra in merito alla stabilità. Ma allo stesso tempo dovrebbe verificare la possibilità di agire per limitare i danni dati dall’aumento dei tassi di interesse.

Soprattutto perché si tratta di una politica monetaria già alla quale l’Eurozona non può ancora rinunciare nel tentativo di far calare i prezzi al consumo.

Decreto maltempo approvato, ecco le misure

Decreto maltempo per l’Emilia Romagna è stato approvato, con uno stanziamento di oltre due miliardi di euro. Misure di emergenza da applicare per coloro che hanno subito danni in Emilia Romagna e nelle Marche per via della recente alluvione.

Decreto maltempo contiene misure immediate

Come spiegato dalla presidente del consiglio Giorgia Meloni si tratta di un decreto legge con i primi interventi di tipo urgente, deciso insieme alle parti sociali della regione al presidente dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini. I due hanno sottolineato che il governo regionale quello centrale lavoreranno insieme.

Non bisogna dimenticare che sono migliaia le persone che hanno dovuto lasciare le proprie case. E che le hanno viste devastate dall’acqua, come ha sottolineato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. È necessaria una risposta veloce alla sofferenza, sia a quella personale che a quella lavorativa. Il Decreto maltempo è stato preparato proprio in virtù di questa necessità.

Quali sono le misure presenti nel Decreto maltempo? Prima di tutto si è pensato agli ammortizzatori sociali: è infatti prevista la cassa integrazione in deroga per tutti i dipendenti fino a 90 giorni. I dipendenti pubblici delle zone colpite nel caso non possano recarsi a lavorare saranno comunque pagati. È prevista anche dal Decreto maltempo un una tantum fino a 3.000 euro per i lavoratori autonomi e sono costretti a interrompere la propria attività.

Cosa succede in ambito fiscale e altri settori

Per quel che riguarda il fisco sono stati sospesi i termini relativi ai versamenti tributari e contributivi fino al 31 agosto con ripresa dei pagamenti al 20 novembre. Mentre per quel che concerne le utenze Arera ha deliberato una sospensione. Per quel che riguarda le piccole e medie imprese è stato rafforzato l’accesso al fondo di garanzia con una previsione di aumento di questa fino al 100%.

In aiuto delle imprese esportatrici è stato pensato un contributo a fondo perduto a valere sul fondo Simest. E la creazione di una quota riservata di 400 milioni di euro per tassi agevolati a fondo perduto messi a disposizione dal ministero degli Esteri.

Per quel che concerne la scuola il ministro dell’Istruzione potrà con un’ordinanza gestire in maniera flessibile l’adempimento degli esami di maturità per i ragazzi iscritti agli istituti coinvolti nella alluvione. Nel decreto maltempo si sta valutando anche la possibilità di didattica a distanza sia per i licei che per le università.

È stato stabilito anche il rinvio dei processi civili e penali nel caso una delle parti o l’avvocato difensore risiedano nelle zone colpite dall’alluvione. Sono state poi autorizzate estrazioni straordinarie di superenalotto e lotto dedicate all’emergenza per coprire alcune delle spese.

Iveco e Nikola, matrimonio finito

Iveco e Nikola dopo quattro anni di collaborazione decidono di interrompere il proprio matrimonio aziendale, dividendo le proprie strade. L’annuncio è stato dato da una nota ufficiale firmata da entrambi i gruppi.

Il “divorzio da amici” di Iveco e Nikola

La loro unione ha vissuto la pandemia, qualche piccola criticità ma è stata anche caratterizzata da un proficuo lavoro comune. Ed hanno trovato soddisfacente l’aver lavorato insieme per offrire al mercato nordamericano ed europeo dei veicoli commerciali pesanti a zero emissioni. Ma con altrettanta soddisfazione annunciano l’inizio di una nuova fase.

Iveco, controllata di Exor, prenderà il pieno controllo della joint venture pagando il prezzo di uscita degli americani parte in contante e parte in azioni. L’obiettivo di Iveco è quello di cercare di assorbire l’impatto di cassa negativo nonostante la conferma dei target del 2023. Come? Generando flusso di cassa con un impatto negativo di 44 milioni di euro da inserire nel conto economico del primo trimestre di quest’anno.

Iveco e Nikola hanno sottolineato nella nota come vogliano concentrarsi sul proprio mercato di riferimento per quel che riguarda il trasporto pesante. Questo significa che l’italiana si concentrerà sull’Europa aumentando la commercializzazione e lo sviluppo di veicoli elettrici a celle a combustibile e a batteria. Mentre la statunitense metterà al primo posto il mercato americano offrendo un diverso approccio alla propria clientela. Mettendo sul piatto sia infrastrutture per la distribuzione di idrogeno tramite il marchio HYLA sia offrendo veicoli elettrici.

Due percorsi da separare per crescere

Oltre ad acquisire la partecipazione complessiva della joint venture Iveco otterrà una licenza di tipo illimitato per lo sviluppo e l’utilizzo dei software di controllo dei veicoli sopra citati. Ovvero i Bev, alimentati a batteria e gli FCEV ovvero motori elettrici alimentati a idrogeno. Programmi legati ai prodotti sviluppati insieme.

Nikola potrà invece usufruire della licenza della tecnologia Iveco S-way per il Nord America e la fornitura delle componenti necessarie diventando così contitolare della proprietà intellettuale della tecnologia sviluppata in modo congiunto. Ovvero gli assali elettrici di prima generazione. Iveco, è stato sottolineato nel comunicato, “manterrà anche un ammontare significativo di azioni Nikola”.

I due marchi nell’ultimo anno in borsa hanno avuto un percorso totalmente opposto: gli americani hanno perso fino all’83% mentre gli italiani sono cresciuti del 49%. Per quanto l’unione tra i due marchi abbia funzionato sia dal punto di vista tecnico che economico, va da sé che era giunto per entrambe il momento di muoversi da sole. In questo modo potranno adattare le loro strategie alle necessità del mercato senza archiviare perdite.

Rc auto, consigli per risparmiare

Risparmiare sulla Rc auto è possibile. Questa è un’assicurazione obbligatoria da sottoscrivere per chi guida una vettura. Negli ultimi mesi i prezzi sono cresciuti esponenzialmente: ma vediamo come ovviare a questo problema.

Rc auto in crescita nell’ultimo anno

Le stime parlano chiaro: il prezzo della Rc auto è salito di circa il 18%, superando i 525 euro. Qualcosa che dipende in parte anche dall’aumento del prezzo della manodopera e dei pezzi di ricambio dopo la pandemia, oltre che dall’inflazione e dal caro energetico. Sebbene gli aumenti siano più o meno importanti a seconda della regione, generalmente i prezzi sono più alti dovunque. Cosa fare per risparmiare?

Il primo passo è quello di valutare se fossero opportuno cambiare la compagnia di assicurazione. Come ho già sottolineato questa è necessaria per girare con un veicolo e di conseguenza, se non siamo più soddisfatti, è giusto cercare offerte migliori. Prima di agire verifichiamo anche se abbiamo una buona classe di merito e se per i nuovi clienti esistano dei vantaggi nella compagnia adocchiata.

Risparmiare con la Rc auto significa anche saper riconoscere i servizi che ci sono offerti e capire se ne abbiamo bisogno. Il prezzo delle polizze può variare anche in base ai servizi richiesti e continuare a pagare per qualcosa di inutile nel nostro caso non è conveniente.

Ecco quindi che verificare di avere o meno servizi utili consente di poter seguire una scrematura. Pagare per un supporto con il carro attrezzi, una scatola nera o un rintracciamento GPS se non ne abbiamo effettivamente bisogno non è il massimo della convenienza. Possiamo quindi confrontarsi col nostro agente assicurativo per capire se i servizi che loro utilizziamo possono essere detratti dal prezzo della polizza.

Si può risparmiare anche così

Possiamo risparmiare sull’Rc auto anche scegliendo la modalità di pagamento più adatta alle nostre esigenze. Sia scegliendo tra pagamento elettronico o in contanti sia lavorando sulla cadenza. La polizza può essere pagata in due rate semestrali, mensilmente o in altre scadenze messe a disposizione. Tra le quali figura quella annuale, che di solito consente di risparmiare.

Per risparmiare sulla polizza si può anche pensare di affidarsi alle compagnie dirette, ovvero quelle che sono presenti solo online che non posseggono agenzie fisiche. Questo consente loro di risparmiare sui costi di gestione e rimanere comunque delle opzioni valide. Soprattutto perché quasi sempre sono parte dei grandi gruppi assicurativi.

È importante anche in questo caso verificare di cosa si ha bisogno prima di sottoscrivere una polizza Rc auto. Infine, è possibile usufruire della legge Bersani sulla materia. Quella norma che consente di poter ottenere la stessa classe di merito di un’automobile già assicurata dallo stesso nucleo familiare. Ovviamente in questo caso le vetture devono appartenere alla stessa categoria.

Tim, nuove offerte per la rete

Nuove offerte per la rete di Tim e i fautori sono sempre gli stessi. E quindi il consorzio composto da Cassa depositi e prestiti e Macquire e il fondo KKR. Cosa è cambiato?

Le offerte presentate a Tim

Ovviamente le offerte che sono state messe sul tavolo delle trattative. In base a ciò riportato dall’Ansa l’offerta proposta da Cassa depositi e prestiti e dal fondo francese è pari a 19,3 miliardi. Questa avrebbe così un impatto sul debito dell’azienda di telecomunicazioni riducendolo di circa 17 miliardi. Il fondo KKR invece ha proposto in tutto 21 miliardi, di cui 19 di offerta e due di earn out.

Tim conferma l’arrivo di queste proposte non vincolanti, sottolineando in una nota di aver ricevuto offerte da “Cdp Equity e Macquarie Infrastructure and Real Assets (Europe) Limited” che fa le veci di un “gruppo di fondi di investimenti gestiti o assistiti dal gruppo Macquarie, e da Kohlberg Kravis Roberts & Co. L.P.”. Ovvero il fondo KKR.

Il consiglio di amministrazione di Tim ovviamente valuterà queste offerte e le esaminerà nel corso della riunione del prossimo 4 maggio, in seguito all’istruttoria del comitato delle parti correlate. Dobbiamo evidenziare che si tratta di offerte che ancora non accontentano Vivendi, l’azionista di maggioranza di Tim. Queste però potrebbero rappresentare un punto di partenza importante per una trattativa di tipo esclusivo con una delle due parti. Il Governo non commenta al momento, nonostante il Mef sia il principale azionista di Cassa depositi e prestiti.

Qual è la posizione di Vivendi?

Il ministro delle imprese e del made in Italy Adolfo Urso sottolinea come l’esecutivo in questo momento stia agendo come un governo saggio. Ovvero rimanendo in silenzio nel momento in cui è l’azienda a dover parlare. Cdp ha sottolineato che la sua nuova proposta è migliore della precedente e non commentando ulteriormente richiede di avere una risposta entro il 31 maggio.

Il nodo rimane comunque la posizione di Vivendi che ritiene che Tim valga almeno 31 miliardi di euro. Ragione per la quale suggerisce al consiglio di amministrazione dell’ex monopolista di prendere in considerazione solo le offerte che riguardano una valutazione equa della rete.

Vivendi sottolinea anche che la decisione finale spetta all’assemblea. Dobbiamo però ricordare che in caso ci si trovasse a votare nel corso di una riunione straordinaria Vivendi potrebbe comunque avere diritto di veto punto e questo dipende dal fatto che le delibere in quel caso passano con il voto favorevole di due terzi dei presenti.

Di certo avremo un’idea migliore di quale sarà il percorso che Tim intraprenderà dopo la riunione del 20 Aprile: in quel caso il consiglio di amministrazione è chiamato a nominare tre consiglieri ad approvare il bilancio.

Twitter, rimangono 1500 dipendenti

Twitter è rimasta con 1500 dipendenti dagli 8 mila iniziali. E questo forse uno dei dati più rilevanti riguardanti la gestione del social network da parte di Elon Musk.

Elon Musk obbligato a comprare Twitter

Il quale, dando un’occhiata a un’intervista concessa a James Clayton della BBC, non sembra tanto dispiaciuto quanto dovrebbe essere in realtà. Non si tratta di voler attaccare per forza il magnate di Tesla per quel che è successo con Twitter. Ma è evidente che qualcosa non vada propriamente per il verso giusto, se si pensa che ancora oggi lo stesso ripeta che è stato obbligato a comprare Twitter.

Questione solo parzialmente vera, visto che aveva comunque firmato un accordo con il consiglio di amministrazione del social network. E che avrebbe avuto un’alternativa con tanto di penale se proprio avesse desiderato tirarsi indietro.

Per quel che riguarda il licenziamento dei lavoratori di Twitter Elon Musk ha definito il processo come doloroso. Qualcosa che “non lo ha divertito per niente”. Sarebbe stato impossibile accettare il contrario, soprattutto tornando indietro e analizzando quello che Elon Musk ha fatto da quando ha concluso l’acquisizione.

Senza ombra di dubbio si è trattata di una operazione non semplice e abbastanza controversa. Ma è pur vero allo stesso tempo che il comportamento di Elon Musk non è considerabile totalmente irreprensibile. A partire da assurdi sondaggi fino ad arrivare a programmi di abbonamento controversi.

E questo senza contare ciò che ha dichiarato più volte nel corso del tempo attraverso dei tweet. L’ultima cosa più strana? Il cambiamento di icona sulla versione web con il cane di dogecoin. Insomma di elementi da poter presentare a Elon Musk ce ne sono in merito all’andamento di Twitter in questi ultimi mesi.

Tanti i licenziamenti occorsi

E nessuno vuole mettere in dubbio che per gestire un’impresa ci possa essere il bisogno di passare per dargli esuberi. Il magnate di Tesla dovrebbe forse però farsi qualche domanda in merito anche al suo comportamento. E su come questo ha influito sul valore di Twitter.

È interessante però vedere come Elon Musk sembri dimenticare che prima dell’imposizione del giudice era stato lui stesso a fare una congrua offerta per acquisire Twitter. Sono 6500 i licenziamenti avvenuti da quando l’ideatore di Space x ha preso le redini del social network.

Molti degli inserzionisti che si erano allontanati al momento dell’acquisizione sono poi tornati portando Twitter, come spiega il suo possessore, quasi in pareggio per quel che concerne il bilancio. Twitter, a quanto pare, presentava un flusso di cassa negativo di tre miliardi di dollari. Qualcosa che sarebbe ormai quasi risolto  e che avrebbe portato Twitter a trovare una stabilità anche dal punto di vista tecnico. Nonostante qualche malfunzionamento qua e là.

Oneri di sistema tornano nelle bollette

Gli oneri di sistema ritornano nelle bollette mentre Arera annuncia che per il mercato tutelato vi sarà un importante calo dei prezzi del gas. Cosa significa questo? Scopriamolo.

Cala il prezzo ma non cresce il risparmio

Le bollette del gas hanno subito un calo effettivo, almeno stando alle conferme dell’Arera. Ma allo stesso tempo non possiamo sottovalutare il fatto che ritorneranno gli oneri di sistema. Il loro ripristino avverrà infatti in questo mese di aprile e porterà un aggravio non indifferente sul costo totale delle nostre bollette.

In pratica col ritorno degli oneri di sistema si ritorna al regime abituale di pagamento. E di conseguenza a un risparmio decisamente minore rispetto a quello che ci si poteva aspettare. Per le associazioni dei consumatori gli oneri di sistema rappresentano una tassa occulta. Viene definita così perché e la stessa natura di questo pagamento richiesto a farne un tributo malcelato. Che però pesa sul totale.

Qualcosa che peserà senza se e senza ma quindi sui portafogli di coloro che fanno parte del mercato tutelato. E che hanno appena iniziato a godere dell’abbassamento dei prezzi. Gli oneri di sistema sono stati azzerati per questo primo trimestre del 2023, insieme alla componente UG2 negativa per i consumi negativi fino a 5000 smc annuali e una riduzione al 5% dell’IVA sul gas. Tutte agevolazioni che, come indicato dalla Legge di bilancio, pian piano si spegneranno gradualmente.

Oneri di sistema peseranno sui conti

misure a favore di lavoratori imprese e famiglie

Ma il ripristino degli oneri sarà pari al 65% da aprile a giugno 2023. Da luglio 2023 torneranno a pieno regime, arrivando a causare agli utenti un incremento pari a 459 euro. Cosa succederà quindi? Gli utenti si troveranno per forza di cose a dover pagare di più nonostante il calo della materia prima. Rimanendo comunque alta la spesa rispetto al periodo pre-crisi, ovvero ai numeri registrati nello stesso periodo del 2021.

Quello sugli oneri di sistema è un dibattito aperto da moltissimi anni. Una battaglia proposta dalle associazioni dei consumatori che continua a non essere risolta. E che scarica i suoi costi proprio sui cittadini. I quali spesso si trovano a pagare molto di più di quanto il mercato richiederebbe in base al valore della materia prima.

I risparmi ottenibili grazie ad alcune misure non bastano comunque a coprire complessivamente quello che è l’aumento della spesa. Sarà interessante vedere quale potrà essere la reazione nella popolazione una volta che le tariffe torneranno a pieno regime.

Saranno in grado i consumatori di riportare in auge la lotta legata agli oneri di sistema, spingendo affinché gli stessi vengano eliminati dalla bolletta?

Banche, Visco mette in guardia sulla crisi

La crisi delle banche deve risuonare come un campanello di allarme per l’Europa e per i suoi Stati membri. È questo il messaggio del presidente di Bankitalia Ignazio Visco nel corso di un’audizione alla commissione Finanze della Camera.

Unicredit aumenta bonus ai dipendenti

Unicredit aumenta il bonus 2022 per i suoi dipendenti. Per il momento si parla solo di indiscrezioni di stampa, ma a quanto pare tale pagamento aumenterà del 20% per coloro impiegati negli uffici della banca e nelle filiali.

unicredit modifica rotta su tassi negativi

Fed, inflazione ancora troppo alta

Per la Fed l’inflazione è ancora troppo alta e di conseguenza una stretta sulla politica monetaria necessaria. Viene utilizzato un termine come inaccettabilmente per definire il valore ancora troppo elevato.